La condanna del Generale Stano ancora fa discutere. Fratelli d’Italia interroga il governo in merito alla relazione dell’esperto di strategia militare, Gianandrea Gaiani, secondo cui appare contraddittorio che un comandante non condannato da Corti marziali o tribunali militari o penali, venga poi costretto a risarcire le famiglie delle vittime per altro già indennizzate dallo Stato per la morte dei loro cari.
DEIDDA e GALANTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
con sentenza del 10 settembre 2019, la Corte di Cassazione ha condannato il generale di corpo d’armata Bruno Stano – nella sua qualità di comandante dell’Italian Joint Task Force Iraq nel periodo ottobre 2003-gennaio 2004 – a risarcire le famiglie delle vittime dell’attentato terroristico di Nassiriya del 23 novembre 2003;
per i fatti suindicati, il generale Stano ha subito un procedimento penale per il reato aggravato di distruzione colposa di opere militari dal quale, in data 24 novembre 2009, è risultato assolto dalla Corte d’appello militare di Roma;
il generale Stano ha più volte ribadito di avere adempiuto ai propri doveri anche in considerazione del fatto che l’attentato in questione era, sulla base delle informazioni disponibili, assolutamente imprevedibile e che, in ogni caso, non sarebbe stato possibile ovviare, con gli uomini e i mezzi a disposizione, ad un evento di tale portata;
l’Esercito italiano e il Governo hanno sempre riposto piena fiducia nel generale Stano, il quale, infatti, ha lasciato il servizio attivo nel 2017, raggiungendo il grado apicale di generale di corpo d’armata e ricoprendo, da ultimo, l’incarico di Comandante delle Forze Operative Nord;
il generale Stano tuttavia è stato condannato in sede civilistica a risarcire le famiglie delle vittime di Nassiriya;
nella relazione dell’esperto di strategia militare, Gianandrea Gaiani, si legge come appaia a dir poco contraddittorio che un comandante non sia stato condannato da Corti marziali o tribunali militari o penali, ma venga poi costretto a risarcire le famiglie delle vittime per altro già indennizzate dallo Stato per la morte dei loro cari. Il precedente risulta devastante per la credibilità militare dell’Italia e per il messaggio che trasmette ai comandanti di oggi e di domani. Nella relazione ci si chiede quale generale possa essere sereno nel guidare i suoi uomini in operazioni se rischierà di dover rispondere di tasca sua per feriti e caduti e si afferma che né certo potrà esserlo un giovane capitano nell’ordinare alla sua compagnia di attaccare terroristi o miliziani. Le guerre sono piene di errori di valutazione ma un soldato può risponderne davanti ad una Corte marziale non in termini di risarcimenti;
nella medesima relazione, si precisa che se le truppe italiane in Iraq avessero avuto più unità del Genio avrebbero potenziato in tempo utile le mura delle basi, se avessero avuto i carri armati avrebbero potuto porli a difesa degli accessi a ponti e basi bloccando ogni minaccia –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e se intenda assumere iniziative normative al fine di escludere l’applicazione al personale militare – nello svolgimento di operazioni in territorio nazionale e/o estero – della disciplina vigente per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche in materia di responsabilità civile (così come previsto dall’articolo 532 del decreto legislativo n. 66 del 2010 – Codice dell’ordinamento militare), limitando, se del caso, per fattispecie analoghe a quella in questione, la scelta del danneggiato a far valere la responsabilità esclusivamente nei confronti dello Stato;
se intenda assumere iniziative per provvedere a risarcire direttamente ed integralmente le famiglie delle vittime.
(5-03050)