Colonnello del Ruolo d’Onore dell’ Esercito Italiano Carlo Calcagni: una storia di vita e di speranza

Il suo nome è  Carlo Calcagni, è  un Colonnello del Ruolo d’Onore dell’ Esercito Italiano che sta svolgendo un’ intensa attività, soprattutto nelle scuole, per portare il suo messaggio di vita e di speranza.

Riceviamo e pubblichiamo:

Lui è un Colonnello del Ruolo d’Onore dell’Esercito Italiano, Paracadutista e pilota istruttore di elicotteri, originario di Guagnano (LE) che ha scelto di combattere tutti i giorni la sua battaglia per la vita. Consapevole di essere un condannato a morte, non ha paura di lottare contro le malattie contratte nel 1996 in Bosnia-Erzegovina. Una storia di coraggio che ci farà riflettere e commuovere.

È una vittima della cosiddetta “Sindrome dei Balcani” che gli ha procurato una invalidità permanente del 100%.



Oggi soffre di patologie multiorgano, ognuna molto grave e che nell’insieme sono ancor più devastanti e difficili da curare.
Nel decreto di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, emesso dal Ministero della Difesa che gli ha riconosciuto una invalidità permanente del 100%, concedendogli anche il Distintivo d’Onore di Ferito in Servizio e il Distintivo d’Onore di Mutilato in servizio, sono riportate: Sindrome Mielodisplastica Secondaria, con citopenia refrattaria e con marcata Displasia Multilineare, mancato funzionamento dell’Ipotalamo e dell’Ipofisi, insufficienza renale cronica, riscontro di corpi estranei metallici non asportabili ed encefalopatia tossica da metalli pesanti.

el 2010 gli viene certificata la necessità di un trapianto allogenico di midollo, successivamente una Displasia Aritmogena del Ventricolo destro, una Cardiopatia da Metalli Pesanti con una funzionalità cardiaca ridotta al 35% ed una Encefalite Demielinizzante Autoimmune di tipo cronico degenerativo e irreversibile, con sindrome Atassica.

A maggio del 2015 gli viene diagnosticata una Polineuropatia Sensitivo Autonomica e Deficit Multiorgano da esposizione a metalli pesanti e appena un mese dopo, il Morbo di Parkinson.

A dicembre 2015, viene riscontrato un peggioramento della insufficienza respiratoria già nota: fibrosi polmonare; i suoi polmoni avevano già subito un intervento molto invasivo per l’asportazione di tre noduli di circa 3 cm ciascuno.



Oggi Carlo è costretto a sottoporsi a terapie quotidiane e ogni quattro mesi deve effettuare ricoveri in un centro di altissima specializzazione in Inghilterra il “Breakspear Medical”, della durata di circa 20 giorni, unico centro in Europa per la cura della MCS (sensibilità chimica multipla).

Ogni giorno deve:
appena alzato, fare 7 iniezioni di immunoterapia a basso dosaggio (ogni iniezione contiene un mix di 25 antidoti, 175 complessivamente) per far fronte alla MCS (sensibilità chimica multipla);
assumere oltre 300 compresse;
affrontare 18 ore al giorno di ossigenoterapia per una gravissima ipossia dei tessuti;
effettuare due ore di ossigenoterapia in camera iperbarica;
4-5 ore di flebo;
fare almeno 30 minuti al giorno di sauna ad infrarossi;
ogni sera, prima di coricarsi deve indossare la maschera del ventilatore polmonare collegato all’ossigeno che deve sopportare per tutta la notte;
una volta alla settimana si sottopone a plasmaferesi, una sorta di dialisi;

È necessaria una straordinaria forza mentale pee accettare tutte queste cure, che non “guariscono” e non avranno un termine, se quello che coincide con il decesso.

Servono a “contrastare” il male che avanza e aiutano a VIVERE una vita quasi normale.

È dell’individuo la capacità di trasformare un evento critico destabilizzante in nuova energia personale che consente di riorganizzare la propria esistenza in maniera positiva.

Il punto di partenza di tale riorganizzazione è l’elaborazione di un progetto di vita nuovo, in grado di integrare la sofferenza per ciò che è andato perso a causa dell’evento critico con la forza che si può e si deve trarre valorizzando ciò che invece rimane.

Diversi i fattori determinanti per tale riorganizzazione esistenziale.
Decisivo è il ruolo svolto dalla rete familiare e sociale.

L’isolamento è senza dubbio nemico della resilienza, mentre la certezza di poter contare sugli altri aiuta a trasformare il buio dello sconforto, in cui confina l’evento critico, in vera luce di speranza per un domani che sia migliore.

La persona resiliente ha sviluppato l’attitudine a trasformare l’evento doloroso e stressante in un processo di apprendimento e di crescita, umana e personale.

Tale abilità deve essere allenata sin da piccoli affinché diventi parte della personalità. Lo sport è un valido strumento per incrementare la resilienza. La vittoria aumenta l’autostima e la sicurezza. Invece la sconfitta insegna a riprovarci, a rialzarsi sempre, in modo da rendere l’esistenza meno scalfibile sotto i colpi traumatici che la vita può riservare.

La narrazione personale e la condivisione della propria esperienza è una metodologia di lavoro utile per rafforzare la resilienza, mettendo a disposizione degli altri la propria esperienza che diventa uno strumento molto utile per tutti, soprattutto nei momenti di difficoltà.

Raccontare gli eventi negativi, analizzarli anche dal punto di vista dell’altro, consente di ricordare e riorganizzare pensieri ed emozioni.Con questa pratica è possibile caricare la propria storia di nuovo significato positivo, così che gli effetti emozionali del trauma diventino più facilmente gestibili.




I processi psicologici, volti alla risoluzione e all’approccio positivo delle criticità, sono funzionali alla resilienza e possono essere trasferiti agli altri, soprattutto con l’esempio.La mia esperienza di vittima del dovere vuole essere un esempio concreto di riorganizzazione esistenziale.

La gravissima malattia multiorgano che ho contratto nell’adempimento del dovere di Soldato, ha modificato il mio progetto di vita originario, ma non mi ha impedito di continuare ad indossare l’uniforme, che considero la mia seconda pelle, di servire la Patria, di onorarla, di rendermi utile agli altri, di coltivare le passioni e di vincere ancora.

Mi hanno chiamato eroe: ma lo hanno fatto le persone comuni.
Mi hanno dato il premio internazionale Don Pino Puglisi con la seguente motivazione: “Donarsi agli altri senza mai nulla chiedere”.
Il mio compito è questo ora: portare un messaggio di speranza a tutte le persone in difficoltà, voglio essere d’esempio, voglio far vedere che lo sport può regalare una nuova possibilità a tutti coloro che ora si sentono diversi… NON SIETE SOLI!

Tutto ciò è ancora possibile perché non mi sono arreso, mai, e mai lo farò!

Ho il piacere di informarvi dell’attività appena conclusa in Sardegna e del convegno che si terrà lunedì a Roma.. presso il Senato della Repubblica.. che mi vedrà nelle vesti di relatore. Clicca QUI

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