ROMA – La Corte di Cassazione militare ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sull’articolo 227 del Codice penale militare di pace, che prevede solo la pena detentiva per il reato di diffamazione commesso da personale in divisa.
Secondo i giudici, la norma potrebbe risultare in contrasto con i principi sanciti dagli articoli 3, 21 e 52 della Costituzione e con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutelano la libertà di espressione e il diritto di critica, anche nel contesto militare.
Il caso al centro del dibattito
La vicenda trae origine da una condanna inflitta a un appartenente alle Forze Armate, accusato di diffamazione a mezzo social e sito web per un post pubblicato dopo la morte di un militare.
Nel testo, l’autore aveva ipotizzato che il decesso fosse un suicidio e criticato la gestione del fenomeno dei suicidi tra le forze dell’ordine, parlando di “strage silenziosa” e mancanza di dialogo tra vertici militari e rappresentanze sindacali.
Successivamente si era accertato che la morte era avvenuta per cause accidentali.
Condanna e ricorso
Il Tribunale militare aveva inflitto una condanna a dieci mesi di reclusione, poi ridotta a otto dalla Corte d’appello militare.
La difesa ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che si trattasse di diritto di critica sindacale e chiedendo di estendere al sistema militare la possibilità di applicare sanzioni pecuniarie in alternativa al carcere, come già avviene per la diffamazione ordinaria dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 150 del 2021.
Il nodo costituzionale
La Cassazione ha riconosciuto la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione: il reato di diffamazione militare, a differenza di quello comune, non consente al giudice di scegliere pene alternative alla detenzione, neppure nei casi di modesta gravità.
Secondo la Suprema Corte, questa rigidità rischia di dissuadere i militari dall’esprimere opinioni o critiche legittime, anche su questioni di interesse pubblico, con possibili riflessi negativi sulla libertà sindacale e sul principio democratico previsto dall’articolo 52 della Costituzione.
Verso la Consulta
Il caso è stato quindi rimesso alla Corte Costituzionale, che dovrà stabilire se la disciplina attuale sia compatibile con i principi di proporzionalità e libertà di espressione.
In attesa della pronuncia, il dibattito sulla tutela della reputazione nelle Forze Armate e sul bilanciamento tra disciplina militare e libertà di parola si conferma uno dei temi più delicati del diritto penale militare contemporaneo.
