Sindacato ai militari – Ecco la sentenza – Subito più poteri alla Rappresentanza Militare?





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Pubblichiamo, in anteprima, la sentenza della Corte Costituzionale relativa alla concessione del sindacato ai militari. Portiamo alla vostra attenzione uno dei passi, che come disposto dalla Corte Costituzionale,  dovrà essere adottato in breve tempo:

Con riguardo agli ulteriori limiti, invece, è indispensabile una specifica disciplina legislativa. Tuttavia, per non rinviare il riconoscimento del diritto di associazione, nonché l’adeguamento agli obblighi convenzionali, questa Corte ritiene che, in attesa dell’intervento del legislatore, il vuoto normativo possa essere colmato con la disciplina dettata per i diversi organismi della rappresentanza militare e in particolare con quelle disposizioni (art. 1478, comma 7, del d.lgs. n. 66 del 2010) che escludono dalla loro competenza «le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale». Tali disposizioni infatti costituiscono, allo stato, adeguata garanzia dei valori e degli interessi prima richiamati.

Nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), promossi dal Consiglio di Stato e dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con ordinanze del 4 maggio e del 3 novembre 2017, iscritte rispettivamente ai numeri 111 e 198 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2017, e n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti l’atto di costituzione dell’Associazione solidarietà diritto e progresso (AS.SO.DI.PRO.) e di F. S., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, di P. D.N. e altri, della SILP CGIL – Sindacato Italiano Lavoratori Polizia CGIL, della FICIESSE – Associazione Finanzieri Cittadini e Solidarietà, della F.P. CGIL – Federazione Lavoratori della Funzione Pubblica CGIL, della CGIL – Confederazione Generale Italiana del Lavoro, di S. D. e altri, di P. C. e altri e di A. B. e altri;

udito nella udienza pubblica del 10 aprile e nella camera di consiglio dell’11 aprile 2018 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;




uditi gli avvocati Andrea Saccucci per AS.SO.DI.PRO e F. S., Emanuela Mazzola per P. D.N. e altri, per la SILP CGIL, per la FICIESSE, per la F.P. CGIL, per la CGIL e per S. D. e altri, Romano Vaccarella per P. C. e altri, e Egidio Lizza per A. B. e altri e gli avvocati dello Stato Maurizio Greco e Carlo Sica per il Presidente del Consiglio dei ministri.

RITENUTO IN FATTO

1.- Con ordinanza del 4 maggio 2017 (reg. ord. n. 111 del 2017), il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione sia agli artt. 11 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e alle sentenze emesse in data 2 ottobre 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, Matelly contro Francia e Association de Défense des Droits des Militaires (ADefDroMil) contro Francia; sia all’art. 5, paragrafo unico, terzo periodo, della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30.

2.- Premette il giudice a quo che, con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, F. S., brigadiere della Guardia di finanza, e l’Associazione solidarietà diritto e progresso (AS.SO.DI.PRO.) avevano impugnato la nota con cui il Comando generale della Guardia di finanza aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere «l’autorizzazione a costituire un’associazione a carattere sindacale fra il personale dipendente del Ministero della difesa e/o del Ministero dell’economia e delle finanze o, in ogni caso, ad aderire ad altre associazioni sindacali già esistenti», in ragione del divieto sancito dal comma 2 dell’art. 1475 del d.lgs. n. 66 del 2010, a tenore del quale «i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali».



I ricorrenti avevano lamentato la contrarietà di tale disposizione con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 11 e 14 della CEDU.

Il giudice amministrativo di primo grado aveva escluso la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata dai ricorrenti in relazione al citato art. 1475, comma 2, cod. ordinamento militare, e aveva rigettato il ricorso richiamando la sentenza n. 449 del 1999 della Corte costituzionale.

La decisione del TAR veniva appellata davanti al Consiglio di Stato, chiedendosene la riforma anche in ragione di due sopravvenute pronunce della Corte EDU, Matelly contro Francia e ADefDroMil contro Francia, nonché della decisione del Comitato europeo dei diritti sociali, in data 4 luglio 2016, emessa su un reclamo collettivo proposto da un sindacato francese di appartenenti alla Gendarmerie nationale (reclamo n. 101/2013, Conseil Européen des Syndicats de Police – CESP – contro Francia).

3.- Il Consiglio di Stato ha ritenuto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010 rilevante e non manifestamente infondata.

4.- Affermata la rilevanza in re ipsa della questione, il rimettente ha osservato quanto segue a sostegno della non manifesta infondatezza.

L’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010 vieta in radice ai militari di «costituire associazioni professionali a carattere sindacale», nonché di «aderire ad altre associazioni sindacali».

Il principio di diritto chiaramente affermato dalle due pronunce della Corte EDU richiamate dai ricorrenti è, invece, di segno opposto: la restrizione dell’esercizio del diritto di associazione sindacale dei militari non può spingersi sino alla negazione della titolarità stessa di tale diritto, pena la violazione degli artt. 11 e 14 della CEDU.

In relazione al suddetto parametro interposto il ricorrente ricorda la sentenza n. 348 del 2007, ove la Corte costituzionale ha affermato che «tra gli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione». Il giudice a quo soggiunge che le norme della CEDU vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte EDU; pertanto, la verifica di compatibilità costituzionale deve riguardare la norma come prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata.

Il rimettente osserva che la norma denunciata ha il fine di assicurare la coesione interna, la neutralità e la prontezza delle Forze armate, presupposti strumentali necessari ed imprescindibili per assicurare l’efficacia della relativa azione, posta a tutela di un valore dell’ordinamento di carattere supremo e per così dire primario, quale è la difesa militare dello Stato. Tuttavia – ad avviso dello stesso rimettente – tali finalità non possono determinare l’esclusione del diritto di associazione sindacale; né la predisposizione legislativa di un articolato sistema istituzionale di organismi di rappresentanza militare (artt. 1476-1482 del d.lgs. n. 66 del 2010) può comunque soddisfare le esigenze indicate dalla Corte EDU, giacché la libertà sindacale presuppone ontologicamente la facoltà di dare vita a forme autonome di rappresentanza anche al di fuori di eventuali strutture create ex lege.

5.- Il Consiglio di Stato dubita della legittimità costituzionale della norma in esame in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., anche in relazione all’art. 5, paragrafo unico, terzo periodo, della Carta sociale europea.

Ricorda che la Carta sociale prevede un organo denominato Comitato europeo dei diritti sociali, nominato dagli Stati contraenti, cui è rimessa, tra l’altro, la decisione dei reclami collettivi circa un’attuazione insoddisfacente della Carta che possono essere proposti da associazioni, nazionali od internazionali, di lavoratori e datori di lavoro. La decisione su tali reclami, tuttavia, non solo è priva di efficacia diretta negli ordinamenti degli Stati membri, ma, prima ancora, non è idonea a costituire obblighi di carattere internazionale a carico dello Stato interessato. La Carta sociale europea, inoltre, non assegna al Comitato europeo dei diritti sociali la competenza esclusiva ad interpretare la Carta stessa. Continua a pag. 2 o clicca QUI



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