Era il lontano 2005 quando il militare Marco “Omissis” venne espulso dall’ Arma dei Carabinieri. La sua unica colpa fu quella di infortunarsi in seguito ad una caduta , rompendosi una mano.
Il carabiniere nell’ ottobre del 2004 cadde dai gradini della caserma mentre si recava in sala mensa. Da qual momento ne conseguì una trafila buroratico-giudiziaria che si è conclusa ( almeno sembra) soltanto oggi. Dopo 14 anni il Consiglio di Stato ha annullato il mancato riconoscimento della causa di servizio, con tutte le conseguenze del caso.
Quando si infortunò, il militare fu inviato in licenza di convalescenza e l’infermeria medica del reparto non dispose l’avvio d’ufficio della procedura di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
Nell’aprile del 2005, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, su proposta del Comando dell’8^ Battaglione (BTG) Carabinieri, determinò la sua dimissione dall’Arma , nella quale si era arruolato come carabiniere ausiliario.Aveva superato, alla data del 18 gennaio 2005, il limite dei 90 giorni di licenza straordinaria di convalescenza per infermità non riconosciuta dipendente da causa di servizio.
L’ormai “ex” militare impugnò il provvedimento presso il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio e nel febbraio 2005 chiedendo anche il riconoscimento della causa di servizio, reiterando l’istanza il 6 maggio dello stesso anno. La prima istanza andò persa. La commissione del “Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – Direzione di Amministrazione – Sez. equo indennizzo” comunque negò il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infortunio in questione con un decreto del settembre 2009.
Il Tar Lazio concordò con l’Amministrazione sull’avvenuta espulsione, contestando all’ ex carabiniere di non aver mai prodotto alcuna istanza volta ad ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, ovvero , quella prodotta era stata presentata fuori tempo massimo . Inoltre, a detta dei giudici del Tar , il mancato ricovero in uno stabilimento sanitario militare e la mancanza di una determinazione di carattere medico-legale in base alla quale poter affermare che la lesione fosse realmente dipendente da causa di servizio non faceva neppure astrattamente ipotizzare il dedotto vizio di eccesso di potere col quale l’ex carabiniere lamentava di essere stato espulso dall’Arma.
Stralcio della sentenza del Consiglio di Stato
A base del disconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infortunio di cui trattasi – sostengono i giudici – vi è il parere negativo del Comitato di verifica per le cause di servizio (n. -OMISSIS-del 17 giugno 2009 che rettifica il parere n. -OMISSIS-/2008 del 21 gennaio 2009) secondo il quale “le circostanze di modo, tempo e luogo in cui si è verificato l’incidente escludono la possibilità di riconoscerlo come avvenuto “in servizio””.
Nel rapporto informativo redatto nel procedimento per il riconoscimento della causa di servizio – continuano i giudici – è precisato che fruiva di vitto e alloggio presso il reparto di appartenenza e nella diagnosi redatta dalla Infermeria presidiaria del Comando Unità Mobili e Specializzate Carabinieri “Palidoro” – dove, recatosi a visita, aveva dichiarato che mentre “si accingeva a scendere le scale per recarsi in mensa per il vitto, accidentalmente a causa dei gradini bagnati scivolava rovinosamente candendo a terra e battendo rovinosamente la mano dx contro il muro” – si afferma che “E’ verosimile che la lesione sia avvenuta nelle circostanze di modo, tempo e luogo riferite dall’interessato”.
Sul presupposto, dunque, dell’accasermamento dell’interessato e delle incontestate modalità dell’infortunio, debbono trovare applicazione, nel caso di specie, i principi già affermati in materia dalla giurisprudenza.
Vigente l’art. 1 della legge 3 giugno 1981, n. 308 (ancora in vigore anche all’epoca di adozione del provvedimento di cui ora si tratta), il quale – rammentano i giudici amministrativi , nel dettare norme in favore dei militari di leva e di carriera che avessero subito un evento dannoso per causa di servizio o durante il periodo di servizio, ne aveva escluso “i militari in licenza, in permesso e quelli che, al momento dell’evento dannoso, si trovino fuori dal presidio senza autorizzazione” , è già stato osservato che con quella norma “il legislatore ha inteso ricomprendere nel contesto del servizio tutti gli infortuni che, incolpevolmente, attingono il militare accasermato” (T.A.R. Lazio, sez. I bis, 21 agosto 2017, n. 9332).
Nel caso in esame, costituisce circostanza pacifica che l’odierno appellante non era in licenza, permesso o libera uscita e che l’incidente gli è occorso all’interno del presidio di appartenenza, nel mentre si recava in mensa. Continua ↓
Pertanto, alla luce di quanto poc’anzi chiarito, non può sostenersi che “le circostanze di modo, tempo e luogo in cui si è verificato l’incidente escludono la possibilità di riconoscerlo come avvenuto “in servizio”, come invece si è fatto nell’atto impugnato.
Quest’ultimo va, conseguentemente, annullato in accoglimento del motivo aggiunto non esaminato in primo grado, con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione. Per tutte queste ragioni, in conclusione, l’appello deve essere accolto in parte.
Per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, va accolto il ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado ed annullato l’impugnato decreto del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri n. -OMISSIS-del 15 settembre 2009. L’esito della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado del giudizio
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