RICORSO PER IL MANCATO AVVIO DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE. IL NO RAGIONATO DEL “SIAMO ESERCITO” NEL RISPETTO E NELLA TUTELA DEI PROPRI ISCRITTI

Negli ultimi mesi sono giunte numerose richieste di chiarimenti da parte di colleghi in merito ai ricorsi promossi da alcune sigle sindacali o studi legali inerenti il mancato avvio della previdenza complementare a favore del personale militare.

Il SIAMO ESERCITO, nella piena consapevolezza della delicatezza e importanza della materia, prima di prendere una decisione che comunque incide sulle “tasche” dei propri iscritti ha voluto approfondire la tematica adottando una linea prudenziale proprio per valutarne meglio nel dettaglio la validità ed i fondamenti giuridici.

Prima però di chiarire la posizione di questo Sindacato, è opportuno riassumere brevemente lo stato dei fatti.

La legge n. 335 del 1995 (c.d. Legge Dini), al fine di rendere economicamente sostenibile il sistema previdenziale da parte dello Stato, ne ha modificato radicalmente il sistema di calcolo, introducendo al posto del vantaggioso sistema retributivo (cioè una pensione calcolata sugli importi stipendiali percepiti negli ultimi anni di servizio), un sistema misto/contributivo, molto più svantaggioso, rivolto a chi aveva meno di 18 anni di servizio al 31/12/1995.

In questo caso, l’importo della pensione spettante, per gli anni dal 1996 in poi, si basa sui contributi versati ciascun anno rivalutati di un coefficiente percentuale stabilito.

Al fine di mitigare gli effetti negativi di tale principio, il legislatore, accanto a questo “primo pilastro” pensionistico, basato cioè sulla previdenza sociale obbligatoria, ne ha previsto un secondo che si deve realizzare attraverso i fondi pensione di categoria ai quali i lavoratori aderiscono in forma collettiva destinando principalmente il proprio TFR (trattamento di fine rapporto, diverso da quello attualmente percepito dal personale militare che è il più favorevole Trattamento di fine servizio, la cosiddetta “buonuscita”) e contributi volontari. I fondi sono gestiti secondo il sistema della capitalizzazione (cioè raccolti ed investiti al fine di generare un montante da convertire in rendita al momento del pensionamento, attraverso una gestione che non passa più attraverso lo Stato ma tramite gestori appositamente selezionati dai fondi).

L’avvio di questo secondo pilastro doveva essere avviato solo tramite un tavolo di concertazione/contrattazione del quale facevano parte le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per le Forze di Polizia), i Comitati centrali di rappresentanza per le Forze Armate e le Istituzioni Politiche.

Il mancato avvio della previdenza complementare ha portato il personale militare, nel corso degli anni, a promuovere numerosi ricorsi per vedersi riconosciuta in via prioritaria la possibilità di ottenere il rinvio del passaggio dal precedente sistema retributivo a quello contributivo, in via subordinata a domande risarcitorie per il danno subito a seguito del perdurare della situazione di inerzia sopra rappresentata.

Ed ora avviciniamoci al presente…. La quasi totalità di questi ricorsi hanno visto soccombente il personale interessato, da una parte perché la Giustizia amministrativa ha subito negato la propria giurisdizione in favore di quella della Corte dei Conti, unica deputata a dirimere controversie in materia pensionistica dall’altra, i pronunciamenti delle Corti dei Conti Regionali hanno dichiarato che il personale in servizio non ha ancora un interesse diretto ad agire (non essendo collocato a riposo), né può far valere richiesta risarcitoria in quanto trattasi di danno ipotetico e futuro. Al riguardo, è stato anche depositato un ricorso presso la Corte Suprema di Cassazione affinché

venga stabilito una volta per tutte quale Giudice (Corte dei Conti o Giudice Amministrativo) sia deputato a dirimere tali controversie.

Ad oggi quindi, fatta salva la sentenza 40/2017 della C.d.C. Abruzzo, che seppur respingendo le doglianze dei ricorrenti e dichiarando il proprio difetto di giurisdizione, ha riconosciuto un teorico diritto risarcitorio a seguito dell’inerzia delle parti in causa, l’unica sentenza che apparentemente vede vincitore personale militare è la n. 207/2020 della C.d.C. Puglia.

Abbiamo usato il termine “apparentemente” perché, a parte iniziali e comprensibili entusiasmi, vanno fatti degli opportuni e doverosi distinguo, di seguito meglio elencati:

la sentenza rappresenta un caso assolutamente isolato e non riconosce al ricorrente il mantenimento del sistema retributivo né stabilisce in maniera certa il “quantum” da corrispondere ma ne decreta esclusivamente la risarcibilità secondo un criterio basato sul calcolo del 25% del danno futuro quantificato mettendo a “confronto il montante in regime di TFR, ossia in caso di avvio tempestivo del fondo pensione e contestuale esercizio dell’opzione, con quello in regime di TFS, ossia in caso di mancato avvio del fondo”;

la sentenza non è definitiva, cioè passata in giudicato, quindi bisognerà attendere in sede di appello la pronuncia della Corte dei Conti Centrale che potrebbe ribaltare il giudizio di primo grado;
il riconoscimento dell’indennizzo impone, come condizione propedeutica, la richiesta del ricorrente di passare dal regime misto a quello puramente contributivo con conseguenti perdite economiche per la maggior parte del personale interessato.

Quanto detto per due ordini di ragioni, la prima è che per i più anziani gli anni fatti fino al 1995 non verrebbero più valorizzati secondo il sistema retributivo mentre, per tutti, il Trattamento di Fine Servizio (c.d “buonuscita” ) calcolato ad oggi con un criterio “retributivo” che tiene conto cioè dell’ultimo stipendio percepito all’atto del collocamento in pensione per il numero di anni di servizio svolti passerebbe al meno favorevole T.F.R. (trattamento di fine rapporto) basato sui contributi versati anno per anno durante la vita lavorativa;

avendo il giudice affermato che il calcolo del danno patrimoniale deve essere riferito sulla base del montante accumulato fino ad oggi, per i più giovani l’importo sarebbe sicuramente molto esiguo.
Da quanto sopra esposto, appare evidente che questa ultima sentenza ha avuto senz’altro il pregio di aver portato nuovamente alla ribalta un tema così importante e sentito come quello della previdenza complementare ma non può indurre in alcun modo a cantare vittoria.

Per queste ragioni il SIAMO ESERCITO ritiene che al momento promuovere un ricorso porterebbe magari indubbi vantaggi propagandistici per il Sindacato ma un inutile esborso economico per i propri iscritti andando contro i principi di trasparenza e tutela del personale, cardini del nostro operare. Riteniamo che la strada maestra sia quella di porre con maggior fermezza ed incisività la tematica all’attenzione delle Istituzioni preposte coinvolgendo gli altri organismi di rappresentanza affinché dopo 25 anni sia finalmente dato avvio e conclusione a questi procedimenti “negoziali” e vedere così soddisfatte le legittime aspettative di tutto il personale in divisa riguardo una materia così delicata e sentita e che coinvolge il futuro di tutti noi.

Noi ci SIAMO sempre! Roma, 6 ottobre 2020


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