Cassazione conferma la condanna per collusione militare: due anni a un finanziere
Roma, ottobre 2025 – La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a due anni di reclusione militare per un appartenente alla Guardia di Finanza, riconosciuto colpevole del grave reato di collusione militare. La decisione chiude definitivamente un procedimento giudiziario che aveva già visto due precedenti gradi di giudizio, con la condanna emessa in primo grado dal Tribunale militare e poi confermata in appello.
Secondo quanto emerso, il militare avrebbe intrattenuto rapporti continuativi con soggetti estranei al Corpo, impegnati nel commercio di pneumatici usati, partecipando a operazioni commerciali irregolari e percependo compensi non dichiarati.
L’attività collusiva, finalizzata – secondo i giudici – ad aggirare le norme fiscali e a trarre profitto personale, è stata considerata in palese violazione dei doveri istituzionali del finanziere.
Nonostante in appello fosse stata dichiarata l’inutilizzabilità di alcune prove informatiche acquisite tramite copia forense del cellulare dell’imputato, la Corte militare d’appello aveva ritenuto comunque pienamente sufficienti le altre prove testimoniali e documentali, confermando la responsabilità dell’imputato.
La Cassazione, con sentenza depositata nel 2025, ha respinto il ricorso della difesa, ribadendo che il reato di collusione militare si configura già con il semplice accordo tra il militare e soggetti esterni finalizzato a frodare la finanza, anche se la frode non si realizza concretamente.
Si tratta, sottolineano i giudici, di un reato di pericolo che tutela due beni fondamentali: l’integrità delle entrate dello Stato e la fedeltà del militare all’Istituzione.
La Suprema Corte ha quindi confermato la condanna e disposto la condanna del ricorrente anche al pagamento delle spese processuali. Il caso ribadisce la gravità del reato di collusione militare, considerato uno dei più severi nell’ambito della giustizia militare, poiché mina il rapporto di fiducia tra lo Stato e chi è chiamato a tutelarlo.
