Il caso di un aspirante militare: per il TAR il concetto penalistico di imputato non può essere applicato in modo formalistico.
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di Mattia Murra
Un cittadino italiano, già appartenente al Corpo dell’Esercito Italiano in qualità di Volontario in Ferma Prefissata di 1 anno (c.d. VFP1) adiva il T.A.R. Lazio, evocando il Ministero della Difesa, per ottenere l’annullamento del provvedimento emanato dal Ministero della Difesa col quale era stata rigettata la sua domanda di partecipazione al concorso, per titoli ed esami, finalizzata al reclutamento di n. 2.027 Volontari in Ferma Prefissata di 4 anni (c.d. VFP4) nell’Esercito, nella Marina Militare e nell’Aeronautica Militare.
In buona sostanza, la misura dell’esclusione dal concorso era stata adottata in quanto il ricorrente sarebbe stato risultato imputato per il delitto non colposo previsto dall’art. 164 del Codice penale militare di pace e, pertanto, non avrebbe mantenuto fino alla data di effettiva ammissione alla ferma il possesso del requisito previsto dall’art. 2, comma, 1 lettera e) del relativo bando il quale non consentiva la partecipazione al concorso a coloro i quali “…sono stati condannati per delitti non colposi, anche con sentenza di applicazione della pena su richiesta, a pena condizionalmente sospesa o con decreto penale di condanna, ovvero non essere in atto imputati in procedimenti penali per delitti non colposi”.
Ai fini di un corretto inquadramento, fattuale dapprima e giuridico poi, della vicenda in esame occorre precisare che nell’anno 2016 il ricorrente veniva coinvolto in un procedimento penale incardinato presso la Procura Militare di Roma e veniva indagato in ordine al reato di “Dispersione di oggetti di munizionamento” (art. 164 c.p.m.p.) avendo poi ricevuto, nel marzo dell’anno seguente, l’atto di rinvio a giudizio predisposto dalla Procura medesima.
Il ricorrente, a questo punto, veniva escluso dalla procedura concorsuale, a prove già espletate.
La ratio sottesa al comportamento dell’Amministrazione era indubbiamente da ricondurre all’assunzione, da parte del militare, della qualità di imputato dopo la presentazione della domanda ma prima dell’immissione in servizio permanente in violazione della previsione del bando sopra riportata. All’esito dell’udienza preliminare – nel giudizio penale – tuttavia, veniva pronunziata dal Giudice delle Indagini Preliminari sentenza di non luogo a procedere nei confronti del medesimo ricorrente in quanto il fatto non costituiva reato.
In definitiva, in data 9 maggio 2017, veniva approvata la graduatoria di merito del concorso, nella quale il ricorrente non veniva ricompreso.
Parte ricorrente, dunque, a seguito dell’ordinanza cautelare con la quale veniva accolta dal TAR l’istanza sospensiva, era ammesso con riserva al concorso e collocato, sempre con riserva, nella posizione n. 17 bis nella graduatoria di merito.
Il Collegio giudicante, con la sentenza n. 15 del 2 gennaio 2019, accoglieva il ricorso adducendo diverse motivazioni che meritano di essere analizzate in questa sede.
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A tal proposito i Consiglieri di Via Flaminia hanno deciso di interpretare l’art. 635 lett. g) del Codice dell’ordinamento militare nel peculiare contesto amministrativo. In sostanza è stato osservato che lo “…status di imputato, previsto dalla normativa di cui all’art. 60 del c.p.p. e costituente motivo di esclusione dal concorso, non può essere pedissequamente mutuato dal significato proprio dell’ordinamento penale”, perché in tale contesto l’istituto assume una funzione di garanzia dei diritti del cittadino, mentre tale nozione introdotta, senza i necessari correttivi nel giudizio amministrativo, avrebbe una funzione opposta, pregiudicando oltremodo il cittadino, facendo, cioè, prevalere una esigenza amministrativa di immissione nei ruoli militari di persone immuni da pregiudizi penali attraverso un mero riscontro formale. Ciò comporta un possibile e irreversibile pregiudizio del cittadino, sia per essere stato oggetto di un procedimento penale, nel caso in cui l’esito finale ha poi smentito (come nel caso) l’originaria ipotesi investigativa, che per la perdita di chance di ottenere un’attività lavorativa.
In pratica, per il diritto amministrativo, la richiesta di decreto di rinvio a giudizio del P.M., considerato dalla P.A. per l’adozione del provvedimento di esclusione del ricorrente, non costituisce lo status di imputato.
Il Collegio giudicante ha osservato che “…la mera trasposizione terminologica del concetto di imputato dal sistema penale in quello amministrativo, proprio per le differenti ed antitetiche finalità che l’istituto persegue nei due ordinamenti, comporta una diversa attività ermeneutica che non si limiti ad una mera ricostruzione formale, ma, in relazione alla ratio della norma, penetri il suo reale significato costituzionalmente orientato. Pertanto, il Collegio ritiene che il concetto di imputato, indicato dall’art. 60 del c.p.p. rubricato proprio: “assunzione della qualità di imputato” ed il cui articolato prevede sei ipotesi in cui tale status si acquista, non possa essere, nel sistema amministrativo, mutuato in senso formale. E’ proprio la finalità e la funzione dell’istituto nel contesto processual-penalistico che non consente […] tale trasferimento formale nel contesto amministrativo.
La connotazione prevalente e prioritaria dell’istituto in ambito penale non è solo quella morfologica e/o formalistica, ma assume un peculiare significato in termini di salvaguardia dei diritti della persona. […] In altri termini allo status di imputato inferiscono peculiari e significative tutele inderogabili e non comprimibile. Né il legislatore penale attribuisce all’indicato istituto una valenza negativa, come, invece, emerge dalle previsioni normative in tema di accesso nelle Forze Armate. Pertanto, trasferire nel contesto amministrativo l’istituto in questione in forza del solo aspetto nominalistico, costituisce, a parere del Collegio, una forzatura sistematica”.
In definitiva, il concetto di imputazione utilizzabile nel contesto amministrativo è necessariamente diverso, ossia ridotto, rispetto a quello penale, proprio perché in tale ambito risultano significativi i principi costituzionali che possono essere compresi solo a valle di un necessario bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco: in altre parole, solo quando il fatto contestato ed oggetto di scrutinio penale è stato preventivamente valutato da un giudice terzo che ha ritenuto sussistente il fumus del commissi delicti da parte del candidato, tale misura appare adeguata e prevalente sulle esigenze personali, anche costituzionalmente tutelate.
fonte: http://www.ilquotidianodellapa.it
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