La Corte dei Conti ” Regione Veneto” continua a negare i benefici dell’art. 54

Le sentenze della Corte dei Conti “Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto”, contrariamente a molte altre Sezioni Regionali,  continua a non riconoscere i benefici dell’art. 54, comma 1, del TU n. 1092 del 1973.

Questa volta a pagarne le spese è stato un Luogotenente dell’ Aeronautica Militare in quiescenza per dimissioni volontarie dal 1.10.2015.



Il tentativo di far valere il proprio diritto al ricalcolo e alla riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento, con applicazione, alla parte retributiva della pensione,dell’aliquota di rendimento del 44% ai fini del calcolo della base pensionabile secondo il disposto dell’art. 54, comma 1, del TU n. 1092 del 1973 lo ha visto soccombere.

Stralcio di sentenza della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto.

Il ricorso dev’ essere respinto. In via preliminare, dev’essere, altresì, respinta la doglianza sollevata dall’INPS di inammissibilità del ricorso, ex art. 205 DPR n. 1092/73, per non aver il ricorrente, titolare di pensione definitiva sin dal 2015, proposto all’INPS istanza volta alla riliquidazione della pensione entro il termine di decadenza triennale previsto dalla normativa.

In aderenza a condivisibile orientamento giurisprudenziale (Corte dei conti, Sezione I giurisdizionale di appello, sent. n. 349/2018), questo Giudice ritiene che la norma in esame si riferisca esclusivamente alla possibilità per l’interessato di sollecitare l’Amministrazione ad esercitare il proprio potere di revoca o modifica della liquidazione della pensione.

Il termine in esame – previsto per la proposizione di tale istanza all’amministrazione – non costituisce, quindi, un presupposto processuale per l’esercizio del diritto dell’interessato a far valere dinnanzi al giudice contabile le pretese afferenti al proprio trattamento pensionistico.



Nel merito – si apprende dalla sentenza – questo Giudice prende atto del contrasto giurisprudenziale che si è formato sulla questione sottoposta al proprio vaglio – concernente l’applicazione dell’art. 54 D.P.R. n. 1092 del 1973 – nonché delle argomentazioni esposte, anche dal Giudice d’appello di questa Corte, con le sentenze richiamate dalla difesa del ricorrente (per tutte, Sez. Giurisd. Calabria n. 39/2019, Sez. I Centr. Appello n. 422/2018, Sez. II Giurisd. App. nn. 61/2019, 208/2019, e 395/2019, Sez. III Giurisd.App. n. 92/2019 e n. 228/2019).

Tuttavia, non reputa di aderire all’impianto motivazionale che ha indotto le diverse Sezioni di questa Corte ad accogliere i ricorsi dei militari afferenti alla medesima questione di cui è causa, ritenendo, viceversa, di condividere la lineare ricostruzione normativa e le ragioni esplicitate da questa Sezione giurisdizionale con le proprie pronunce (vedasi, per tutte, sentenze nn. 42, 43, 54, 55/2019 ed, in particolare, le più recenti n. 186/2019 e n. 221/2019) nonché dalla Sezione Giurisdizionale per l’Abruzzo con le sentenze n. 76 e n. 105 del 2019 e, da ultimo, dalla Sezione Lombardia con le sentenze n. 155/2019 e 317/2019.

Le richiamate decisioni affrontano, infatti, tutte le tesi poste a sostegno dell’accoglimento dei gravami proposti, innanzi al Giudice contabile, dai militari tratteggiando, preliminarmente e compiutamente, l’evolversi della normativa pensionistica di cui va tenuto conto nella risoluzione delle sollevate questioni interpretative.

In particolare, con le sentenze di questa Sezione Giurisdizionale, di quelle per la Regione Abruzzo e Lombardia testé richiamate, si è cercato, ancora una volta, di fare chiarezza circa il quadro normativo di riferimento sottolineando, tra l’altro, come le pronunce delle Sezioni centrali d’appello, nel riformare le sentenze di rigetto in primo grado, finiscano per riconoscere, di fatto, una doppia, non consentita, valutazione, a fini pensionistici, dello stesso periodo di servizio, con un esborso di danaro pubblico non giustificato.

E’ già stato messo in luce, nelle precedenti pronunce di questa Sezione, come il contesto normativo [D.P.R. n. 1092/1973 – Capo II: Personale militare. Art. 52 (diritto al trattamento normale), Art. 53 (Base pensionabile); Art. 54 (misura del trattamento nomale)] e il tenore letterale della norma di cui si chiede l’applicazione (“La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di vent’anni di servizio utile è pari al 44% della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo”) consentano di affermare che, con l’art. 54 del D.P.R. cit., il legislatore abbia inteso attribuire – nella vigenza di un sistema pensionistico “retributivo puro” (art. 53 – ultima retribuzione percepita) – un trattamento di favore nei confronti di una limitata categoria di militari (ove certamente non rientra l’odierno ricorrente) e cioè a favore di coloro che cessavano dal servizio avendo maturato il minimo pensionabile (15 anni) senza poter contare su vent’anni di servizio utile (“e non più di vent’anni”), salvo prevedere un aumento percentuale di 1,80 per ogni anno di servizio utile in più oltre al ventesimo.

In tal senso, è stato, già, correttamente rilevato che la previsione del secondo comma dell’art. 54, riferita ai militari con un’anzianità di servizio superiore ai vent’anni, in verità non presuppone il trattamento più favorevole dettato dal primo comma dell’art. 54, ma l’applicazione del trattamento ordinario previsto all’art. 44 e applicato dall’Inps all’odierno ricorrente.

Come evidenziato dal Giudice delle pensioni, i citati artt. 54 e 44 “non sono tra loro antitetici, né il secondo è norma “speciale” rispetto al primo, ma costituiscono entrambi esplicazioni di uno stesso criterio generale, sicché la norma dettata per i civili può essere utilizzata per colmare, in via analogica, lacune applicative della legge” (…) nel caso in esame “non si tratta di liquidare la pensione al 31.12.1995, bensì di imputare temporalmente la maturazione dell’aliquota del 44%, agli specifici effetti della ripartizione della pensione tra la parte retributiva e quella contributiva, nell’arco del quinquennio compreso tra il quindicesimo e il ventesimo anno di servizio” (Sez. Giurisd. Abruzzo sent. n. 105/2019).

Come si è avuto modo di precisare nei precedenti giurisprudenziali di questa e altre Sezioni territoriali “al dipendente che venga posto in quiescenza con 15 anni di servizio, spetta una pensione calcolata nella misura del 35% della base pensionabile e per gli anni successivi si applica l’aliquota annua dell’1,80% sino al raggiungimento del massimo dell’80%. A ben vedere, dunque al dipendente, civile o militare che sia, che ha raggiunto l’anzianità di servizio utile di vent’anni, spetta una pensione calcolata nella misura del 44% della base pensionabile (35%+ 1,80%x 5= 44); per gli anni successivi l’aliquota è in ogni caso pari all’1,80% con il tetto massimo dell’80%. Ciò conferma – continua il giudice – che il primo comma dell’art. 54 costituisce disposizione di favore per coloro che siano costretti a cessare dal servizio con un’anzianità compresa tra i 15 e i vent’anni mentre il secondo comma si limita a ribadire che, per coloro che maturano un’anzianità di servizio maggiore, continuano a valere le aliquote previste dall’art. 44.

Deve, infine, considerarsi che è principio generale che il trattamento di quiescenza si determina con riferimento alla situazione e alle norme vigenti al momento della cessazione dal servizio (Sezione Terza Centrale, sent. n. 273/2018) .

Non ignora questo Giudice che, con le recentissime sentenze n. 228 del 2019 e n. 395/2019 sia la Terza che la Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale d’appello di questa Corte hanno confermato l’indirizzo assunto con altri precedenti; le Sezioni, nel ritenere che non vi fossero gli estremi per rimettere la questione alle Sezioni Riunite, hanno motivato in ordine all’applicazione generalizzata dell’art. 54, primo comma, D.P.R. n. 1092/1973 a tutti i militari che – pur cessati dal servizio nella vigenza del sistema misto – hanno maturato alla data del 31/12/1995 dai 15 ai 20 anni di servizio utile.

Al riguardo, si osserva, tuttavia, che le richiamate pronunce non solo contengono alcuni passaggi contraddittori, ma non appaiono convincenti circa l’ambito applicativo della norma in esame soprattutto in relazione agli effetti che dalla sua applicazione, nella vigenza di un sistema misto, scaturiscono quanto a valutazione del servizio reso successivamente al 1995.

Va, inoltre, rilevato – diversamente da quanto sostiene il Giudice d’appello – che l’aumento della base pensionabile del 44% non valorizza le anzianità maturate sino al 31.12.1995 solo in quota A, ma, viceversa, si presta ad essere valutato anche nella quota contributiva (quota C) con la conseguenza che – seguendo i criteri addottati con la sentenza n. 228/2019 – si finisce per riconoscere una non consentita doppia valutazione dello stesso periodo di servizio.

Si rammenta, al riguardo, che per determinare la quota contributiva (quota C) della pensione, devono essere presi in considerazione il montante contributivo e il coefficiente di trasformazione e che il primo si determina accantonando una quota della retribuzione pensionabile da rivalutare annualmente al tasso di capitalizzazione; di conseguenza, l’applicazione del bonus del 44% operato sulla base pensionabile dall’art. 54 non assume carattere neutro e limitato alla quota A, ma esplica i suoi effetti (anche distorsivi) sull’aliquota di rendimento.

Conclusivamente, per le motivazioni esposte, questo Giudice ritiene di non aderire alle conclusioni cui sono pervenute le più recenti sentenze richiamate dal ricorrente in quanto le stesse non forniscono una risposta convincente agli argomenti finora esplicitati dalla giurisprudenza contraria di questa Sezione giurisdizionale con le pronunce più volte richiamate e non assumono valenza nomofilattica e, quindi, carattere vincolante.

Di conseguenza, la domanda attorea va respinta.






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