Al militare vennero contestati alcuni periodi di malattia, tra i quali uno espletato all’estero anziché presso la propria residenza. Dopo la condanna da parte in tre distinte sedi di giudizio, è arrivata anche quella della Corte dei Conti.
Le contestazioni furono indirizzate a certificazioni mediche compiacenti, o comunque non corrispondenti alle effettive condizioni fisiche. L’accusa fu di aver simulato l’esistenza di patologie.
In seguito, il Tribunale Militare lo condannò per due distinti episodi. Di concorde avviso fu anche la Corte Militare d’Appello.↓
Dopo la condanna in entrambe le sedi, l’uomo adì la Cassazione.
La sentenza lo vide nuovamente soccombere e la Corte dei Conti, che nel contempo era rimasta in attesa della decisione definitiva, a sua volta lo adì per chiedere la restituzione all’erario di quanto indebitamente percepito durante i giorni di malattia ritenuti “fasulli”.
I FATTI
Il maresciallo, un Comandante di Stazione dei Carabinieri , non potendo fruire del congedo matrimoniale di 15 giorni (per avere già richiesto nell’anno di competenza numerosi congedi per motivi di salute), ottenne una licenza straordinaria di soli cinque giorni. In seguito fece pervenire una certificazione medica attestante l’impossibilità di riprendere servizio.
La certificazione però venne rilasciata mentre egli era pacificamente all’estero.Tale certificazione infatti, venne ritirata – presso il medico che l’aveva predisposta – da militari della stessa Stazione in cui prestava servizio.
Tale richiesta fece emergere delle anomalie significative, quali la falsa indicazione da parte dell’imputato della destinazione del viaggio di nozze.
Condannato in cassazione, a conferma delle precedenti due sentenze, per i reati di simulazione d’infermità aggravata continuata e truffa militare pluriaggravata , in seguito è stato convocato anche dalla Corte dei Conti per ottemperare al risarcimento, in favore del Ministero della Difesa, del danno erariale di euro 43.015,91 oltre rivalutazione, interessi e spese di giustizia.
STRALCIO DI SENTENZA DELLA CORTE DEI CONTI
Con apposita ordinanza, la Corte dei Conti ha sospeso il giudizio “sino alla definizione, con sentenza passata in giudicato, del processo penale a carico del convenuto.
La Corte Militare di Appello II Sezione ha confermato integralmente la pronuncia di primo grado. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal militare. Conseguentemente, con atto di citazione ex art. 107 c.g.c. del 7 novembre 2019, la Procura regionale ha riassunto la domanda attorea limitatamente ai periodi per i quali è stata accertata con efficacia di giudicato la falsità dei certificati medici prodotti.
Di recente la Corte EDU – sostiene il giudice- nella sentenza A. e B. c. Norvegia del 15 novembre 2016, ha modificato il proprio orientamento sul ne bis in idem convenzionale (art. 4, Protocollo n.7 della CEDU), conferendo rilievo fondamentale alla sua dimensione sostanziale (divieto di punire due volte il medesimo fatto) più che a quella processuale (divieto di un doppio giudizio per il medesimo fatto), riconoscendo peraltro la possibilità non solo di sottoporre a processo ma anche di “punire” due volte una medesima persona per fatti analoghi, nel limite del rispetto del principio di proporzionalità complessiva (accertamento demandato al giudice nazionale del secondo giudizio) della “pena”, in rapporto al disvalore complessivo dell’illecito.
Orbene, con riguardo al caso di specie, si osserva come una condanna per responsabilità amministrativa, attesa la sua natura e funzione prevalentemente risarcitoria, non possa esser ritenuta quale indebita duplicazione di una già intervenuta sanzione disciplinare, avente funzione eminentemente sanzionatoria e punitiva rispetto al rapporto di impiego, quand’anche possa comportare, come nella specie (decurtazione stipendiale), conseguenze anche di ordine patrimoniale.
Sempre in via pregiudiziale, deve essere rigettata l’istanza, avanzata dal convenuto, in sede di udienza, di sospensione del giudizio sino al termine dell’espiazione della sanzione .
Nel merito, il Collegio ritiene innanzitutto di dover prendere atto della rideterminazione della richiesta risarcitoria.
Ad ogni modo, il giudice penale militare, ad esito del processo (snodatosi in ben tre gradi di giudizio), ha ritenuto “dimostrate due distinte vicende:
la prima occorsa in occasione del matrimonio dell’imputato che, faceva pervenire una certificazione medica attestante l’impossibilità di riprendere servizio rilasciata mentre l’imputato era pacificamente all’estero, certificazione ritirata – presso il medico che l’aveva predisposta – da militari della stessa Stazione incaricati del materiale ritiro” (in questi termini, la richiamata sentenza della Corte di Cassazione ).
Per quanto attiene al certificato medico del 2011, le testimonianze del militari hanno indotto i giudici a decidere per la sentenza.
Per quanto concerne il secondo episodio, il giudice penale militare ha accertato che la certificazione rilasciata nel 2012 era “senza diagnosi e prognosi di 5 giorni (integrato in udienza dalla difesa con uno avente diagnosi )”;
Il controllo dei tabulati telefonici evidenziava due contatti telefonici , mentre l’imputato si trovava tra Capri (ove aveva soggiornato sino al mattino) e Napoli, diretti a raggiungere il sanitario che avrebbe rilasciato la certificazione.
La sentenza impugnata ha, poi, messo in rilievo il contenuto della deposizione del professionista del tutto vaga e imprecisa sulle circostanze del rilascio della certificazione, conclusa con un’implicita ammissione di superficialità della propria condotta, per aver redatto certificati medici anche senza visitare il paziente>> (in questi termini, ancora la menzionata sentenza della Corte di Cassazione).
Dalle condotte illecite accertate è derivato (nesso di correlazione causale) un danno all’erario pari alla retribuzione percepita nel periodo di assenza sine titulo.
Pertanto e conclusivamente, in accoglimento della domanda attorea, per come rideterminata in sede di atto di riassunzione del giudizio, ritiene il Collegio di dover condannare il militare a risarcire, a beneficio del Ministero della Difesa, il danno all’erario di euro 1.423,95, oltre rivalutazione monetaria secondo indici Istat dal dies di percezione a quello del deposito della presente pronunzia, nonchè interessi nella misura legale a decorrere dal deposito della presente sentenza e fino all’effettivo soddisfo.
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