Di Luca Kocci
Oltre 84mila persone, in appena tre settimane, hanno firmato una petizione che chiede al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al presidente dell’Inps Tito Boeri di abolire la pensione da generale di Corpo d’armata percepita dal card. Angelo Bagnasco in quanto ex ordinario militare per l’Italia (il massimo livello della gerarchia ecclesiastica militare, equiparata appunto al grado di generale di Corpo d’armata).
«Bagnasco percepisce dallo Stato italiano una pensione da generale… ora basta!», si legge nella petizione lanciata lo scorso 13 febbraio sulla piattaforma Change.org da Ciro Verrati, presidente dell’associazione Laicitalia. «I cappellani militari – prosegue il testo – costano allo Stato oltre 15 milioni di euro l’anno, tra cui anche l’attuale capo della Conferenza episcopale italiana. Bagnasco percepisce una pensione come cappellano militare col grado di generale di Corpo d’armata, grado poco teologico e poco apostolico. E in Italia nell’esercito ci sono 176 sacerdoti, 5 vicari episcopali, un provicario generale, un vicario generale e l’arcivescovo ordinario, per una spesa totale in stipendi di almeno 8,5 milioni. Non solo, c’è anche il capitolo delle pensioni. L’Inpdap, ha ammesso candidamente il ministro, non riesce a fornire cifre precise sulle pensioni ai cappellani, perché in quanto integrati nell’esercito rientrano nel computo generale. Tramite l’ordinariato militare si è venuto a sapere che negli ultimi vent’anni sono andati in pensione quattro ordinari militari (in realtà sono cinque:mons. Gaetano Bonicelli, ordinario dal 1981 al 1989; mons. Giovanni Marra, dal 1989 al 1996; mons. Giuseppe Mani, dal 1996 al 2003; card. Angelo Bagnasco, dal 2003 al 2006; mons. Vincenzo Pelvi, dal 2006 al 2013, n.d.r.), quattro vicari generali, otto ispettori e circa 140 cappellani militari. E la Difesa ha stimato pensioni per circa 43mila euro lordi per ognuno di questi. Non solo, i cappellani ricevono stipendi e pensioni dallo Stato. Ma possono maturare la pensione con largo anticipo rispetto ai comuni mortali: non mancano casi di baby-pensionati. Tra cui lo stesso cardinale Angelo Bagnasco, che non è solo presidente della Cei ma ex ordinario militare. Il prelato, che è anche un generale di brigata, ha diritto ad una pensione fino a 4.000 euro mensili. Nonostante abbia prestato servizio solo tre anni, arrivato a 63 primavere ha maturato il vitalizio. Chiedo a Matteo Renzi di abolire questo ingiusto vitalizio e privilegio, che si va a sommare a una situazione già profondamente impari».
Dal canto suo Bagnasco, va ricordato, in passato ha parzialmente smentito le notizie riguardanti la sua pensione: «I cappellani militari – dichiarò il presidente della Cei all’Adnkronos nell’aprile 2012 – prendono lo stipendio prima e la pensione poi, ma loro fanno un lungo periodo di servizio, io ho fatto solo tre anni. Per i miei contributi è stato fatto il ricongiungimento tra Inps e Istituto del clero».
Ma la petizione degli 84mila, pur puntando prevalentemente su Bagnasco, in realtà mette in discussione l’intero sistema dell’Ordinariato militare i cui componenti, secondo la legislazione vigente, sono a pieno titolo inseriti nelle Forze armate, con gradi e stipendi corrispondenti, che vanno dai 2.500 euro lordi per i cappellani semplice (tenente) ai 9mila per l’ordinario (generale di Corpo d’armata). E anzi i numeri e le cifre fornite sono anche in difetto rispetto alla realtà. Infatti secondo la legge di bilancio 2015, nel corso dello scorso anno i cappellani militari in servizio sono stati 205, con una spesa a carico dello Stato di 10.445.732 euro, a cui vanno aggiunti altri 7 milioni di euro per il pagamento delle pensioni.
Un nodo impossibile da sciogliere, se non con un taglio netto: la smilitarizzazione dei cappellani militari, così da sganciare le spese dell’Ordinariato dal bilancio della Stato. Ci hanno provato in diversi negli ultimi anni: nel 2014 il deputato del Partito democratico, nonché vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti (v. Adista Notizie n. 43/14); nel 2012 i Radicali Maurizio Turco e Marco Perduca (v. Adista Notizie n. 47/12); prima ancora, nel 2007, il Verde Gianpaolo Silvestri (v. Adista nn. 43 e 57/07). A tutti è stata data sempre la resta risposta: proposta «inammissibile» perché la questione è oggetto di un’Intesa fra Stato italiano e Cei e quindi non può essere modificata unilateralmente. Peccato però, come come Adista ha spiegato più volte, che quell’Intesa non esiste (v. Adista Notizie nn. 4, 5 e 15/14).
Così come è sistematicamente respinta al mittente la proposta di Pax Christi, che da oltre vent’anni chiede che i cappellani vengano smilitarizzati, senza con questo impedire il servizio pastorale nelle caserme, che però non verrebbe più affidato ai preti-soldato, ma a semplici presbiteri (v. Adista nn. 81/95, 67/97, 81/00, 49/06 e 81/06; Adista Segni Nuovi n. 7/12; Adista Notizie n. 46/12, 18, 37 e 41/13, 5 e 15/14). Ma come quelle civili, anche le autorità religiose sono sorde: «La realtà militare può essere capita bene solo dal di dentro», spiegava l’attuale ordinario militare per l’Italia, mons. Santo Marcianò, a Famiglia Cristiana nel novembre 2014 (v. Adista Notizie n. 41/14). «Le “stellette”, per un cappellano militare, non sono inutili o pericolose: sono semplicemente espressione di quel senso di appartenenza che in questo mondo è molto marcato», un «segno di condivisione». E anche «lo stipendio è calcolato in base al servizio reso allo Stato, così come avviene per gli insegnanti di religione nelle scuole».
Articolo tratto da www.lucakocci.wordpress.com