Si ammala dopo Mix nei Balcani – L’università “La Sapienza” non trova il “nesso”

A febbraio scorso, il tar aveva deciso di “verificare la sussistenza del nesso causale tra la patologia che ha attinto il ricorrente ed il servizio svolto nell’area balcanica”, incaricando l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, Dipartimento di Scienze Radiologiche, Oncologiche e Anatomo-Patologiche. L’udienza è stata dunque aggiornata.

Impossibile dimostrare il nesso tra il tumore e l’esposizione all’uranio impoverito. Un ex soldato di Aprilia ha perso la sua battaglia contro lo Stato, al quale aveva chiesto 2,7 milioni di euro a titolo di risarcimento.

La sentenza pubblicata dal Tar l’11 dicembre 2017 è piena di “omissis”, nel rispetto dell’identità e dello stato di salute di un ex Caporal maggiore dell’Esercito Italiano, residente ad Aprilia, che dall’8 marzo 2000 al 13 luglio 2000 ha prestato servizio nel contingente italiano inviato in missione internazionale di pace in Kosovo e che si è successivamente ammalato, probabilmente a causa dell’esposizione senza mezzi di protezione in zone bombardate da uranio impoverito.

L’ex soldato aveva trascinato in Tribunale il Ministero della Difesa, Stato Maggiore della Difesa e Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali provocati dalla malattia. Sono 317 i militari morti e oltre 3600 i malati di varie forme di cancro dipeso con tutta probabilità dall’uranio impoverito. Ad oggi sono oltre 30 le sentenze a carico del ministero della Difesa, di cui la maggior parte ormai definitive, che danno ragione a militari italiani ammalatisi o familiari di militari deceduti. Sentenze che segnano la storia del cosiddetto caso “Sindrome dei Balcani” scoppiato nel 2001 con l’emergere dei primi casi di militari italiani ammalatisi o deceduti al rientro dalle missioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo. A queste non si aggiungerà quella dell’ex Caporal Maggiore. Per continuare a leggere l’articolo clicca QUI  mentre se vuoi leggere la sentenza integrale, clicca QUI

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