Un Assistente Capo in servizio presso l’Ufficio Immigrazione della questura di Bologna, per concedere i permessi di soggiorno abusava dei suoi poteri pretendendo sesso .
L’uomo, da quanto si apprende dalle sentenze passate in giudicato, mentre svolgeva l’incarico degli accertamenti esterni, ossia i controlli per verificare l’esistenza ed attualità della convivenza tra coniugi,per il rilascio del permesso di soggiorno o il rinnovo a stranieri, costringeva due immigrate G*K* e F*K* a corrispondergli utilità consistite in reiterate prestazioni sessuali.
Una condotta – si apprende dalla sentenza – consistita in particolare nell’aver abusato della propria qualità e potere per acquisire informazioni sulle predette donne straniere, per mezzo e nell’esercizio della funzione svolta presso l’Ufficio Immigrazione e, successivamente, nell’indurre e costringerele, talvolta anche ricorrendo ad implicite e velate minacce, ad accettare di avere con lui reiterati incontri sessuali, al fine di evitare di non vedere pregiudicata la loro possibilità di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno o della cittadinanza.
Le violenze sarebbero avvenute almeno in tre distinte occasioni.” Dopo la condanna della Corte di Appello, passata in giudicato, a causa della gravità della condotta e la risonanza che la stessa aveva riportato sugli organi di informazione, la Procura regionale aveva prospettato un danno all’immagine della pubblica amministrazione.
Il poliziotto, adiva quindi la Corte dei Conti per una riduzione dell’importo da pagare scaturito dalla condanna al pagamento della somma di € 60.000,00, oltre a rivalutazione monetaria e interessi di legge, in favore del Ministero dell’Interno.
L’azione erariale aveva tratto origine da una segnalazione effettuata dal Questore di Bologna all’esito della sentenza della Corte d’Appello di Bologna, passata in giudicato, per il reato di cui all’art.319-quater, comma 1, c.p., perpetrato nella qualità di assistente della Polizia di Stato ai danni di cittadine extracomunitarie in plurime occasioni nel 2010 e nel 2011.
Stralcio di sentenza della Corte dei Conti
Con l’appello in esame, il sig. OMISSIS mira alla riforma della sentenza con cui è stato riconosciuto responsabile del danno all’immagine cagionato all’amministrazione d’appartenenza in conseguenza del reato di cui all’art. 319 quater, comma 1, accertato con sentenza passata in giudicato. A tal fine propone un unico motivo di gravame per lamentare l’erroneità di giudizio in ordine alla quantificazione dell’addebito risarcitorio sia sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, sia sotto quello dell’omessa pronuncia su alcuni elementi determinanti ai fini del decidere.
Il Collegio ritiene che i profili di impugnazione non siano meritevoli di accoglimento.
Il giudice di prime cure ha coerentemente valutato gli elementi caratterizzanti la fattispecie in esame, tra cui, oltre alla gravità della condotta, anche le condizioni psichiatriche di sex addiction di cui risultava affetto il OMISSIS, non senza, però, osservare che la patologia non aveva “comunque inciso sulla capacità di intendere e di volere dello stesso”.
Quanto alla omessa valutazione da parte del giudice di prime cure delle situazioni di fatto che, oltre alla patologia psichiatrica, avrebbero dovuto condurre ad una più favorevole quantificazione del danno, il Collegio – pur dando atto che le stesse erano state prospettate con la memoria di comparsa e risposta depositata nel primo grado di giudizio – tuttavia non vede come esse avrebbero potuto incidere sulla valutazione dell’addebito erariale.
In conclusione, l’appello deve essere respinto e, pertanto, in applicazione dell’art. 80 c.g.c. ed ai sensi e per gli effetti dell’art. 686 c.p.c., il sequestro conservativo disposto in data 17 aprile 2019 sui beni dell’appellante deve essere convertito in pignoramento.
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