Opzione Donna. Ecco le nuove regole

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Il Governo Meloni, in pratica, mantiene opzione donna, ma con regole molto restrittive.

7 gennaio 2023 1° Lgt. in pensione Antonio Pistillo

Cos’è Opzione Donna

Si tratta di una possibilità introdotta dal governo Berlusconi (c.d. legge Maroni, articolo 1, comma 9 della legge 243/04), ma maggiormente conosciuta nel mondo femminile dopo l’introduzione della Riforma Fornero, in quanto consente di anticipare l’uscita di diversi anni rispetto alle regole ordinarie che, com’è noto, chiedono il perfezionamento di almeno 41 anni e 10 mesi di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica, per la pensione anticipata o il raggiungimento di un’età anagrafica pari a 67 anni, unitamente a 20 anni di contributi, per la pensione di vecchiaia.

La possibilità di optare per questa forma di flessibilità in uscita nasce in forma sperimentale con decorrenza dal 1 gennaio 2005 per le dipendenti pubbliche, private e autonome, con contribuzioni alla data del 31/12/1995, in possesso di 57 anni (58 per le autonome) e 35 anni di contributi (non è possibile utilizzare il cumulo dei periodi assicurativi ai fini del requisito contributivo), ma prevedendo una finestra mobile di 12 mesi (dipendenti) e 18 mesi (autonome) ai fini del diritto al trattamento.

È possibile riscattare gli anni della durata legale del corso di studi universitari per la laurea anche antecedenti al 31/12/1995, al fine della contribuzione necessaria di 35 anni, ma tale riscatto va esercitato tassativamente al momento del pensionamento (cfr: messaggio Inps 4560/2021).

È opportuno precisare che, per effetto del c.d. principio della cristallizzazione del diritto a pensione, è possibile presentare domanda di pensionamento successivamente alla data della maturazione del requisito. Per esempio, una lavoratrice che ha raggiunto i requisiti alla data del 01/04/2021 e maturato il diritto al trattamento dal 01/04/2022, potrà presentare domanda nel 2023, nonostante i requisiti sono stati modificati ovvero nel caso che opzione donna fosse stata abrogata.

Dal 2006 e fino al 2018 tutti i governi succedutisi hanno confermato Opzione Donna con i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla norma originaria, mentre il primo governo Conte, con l’articolo 16 del d.l. n. 4/2019 convertito in legge n. 26/2019, ha elevato il requisito anagrafico, innalzandolo da 57 a 58 anni per le lavoratrici dipendenti e da 58 a 59 per quelle autonome.

Dal primo governo con presidente la senatrice Meloni, che ha sempre declamato il suo ruolo di donna e di mamma, le lavoratrici si aspettavano una riforma di opzione donna in forma migliorativa e, nella peggiore delle ipotesi, una conferma dei requisiti vigenti, proprio perché conscia del doppio ruolo delle donne nella società, di donna lavoratrice schiacciata tra famiglia e ufficio, spesso discriminata sul lavoro e di mamma nel compito non affatto facile della cura dei figli e della casa.

Invece, il governo Meloni, sostanzialmente, cancella opzione donna, introducendo una nuova forma di flessibilità in uscita che potremmo chiamare “opzione mamma” perché innalza il requisito anagrafico di 2 anni per le donne senza figli e di 1 anno per quelle con 1 figlio. L’innalzamento dell’età anagrafica è più che criticabile, in quanto è una norma che attribuisce un valore maggiore alle donne che hanno procreato (per cui vi sono altri istituti di tutela), oltre che non avere una logica previdenziale.

Ma non finisce qui. Sarebbe più opportuno denominare la nuova opportunità introdotta “opzione mamma”, con “opzione mamma a condizione restrittive”, cioè, oltre ad aver necessariamente procreato, è vincolata ad almeno una delle seguenti condizioni soggettive:

 svolgere attività di caregiver nei confronti del coniuge o di un parente di secondo grado da almeno 6 mesi dalla data della domanda;
 avere un’invalidità di oltre il 74%;
 essere state licenziate ovvero dipendenti di imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto ministeriale per crisi aziendale.

La nota tecnico-illustrativa indica che saranno meno di 3.000 le lavoratrici che potranno andare in pensione con la nuova norma, ma presumo che saranno molto, molto meno e questo giustificherebbe la tesi che opzione donna è stata sostanzialmente cancellata e introdotta una nuova fattispecie di flessibilità di uscita per le donne che insieme a quota 103 (vedi articolo del 13 dicembre 2022), anch’essa credo con adesioni inferiori a quelle previste dal governo, rappresentano specchietti per le allodole volti a giustificare lo spot elettorale del “superamento della Fornero” che per essere superata deve interessare milioni di lavoratori anziché qualche decina di migliaia. Il governo stima in 70.000 le uscite di quota 103 ed opzione donna, molti studi indicano che saranno meno di 30.000 mila.

La tabella sottostante indica i nuovi requisiti anagrafici ed i profili di tutela previsti dalla legge
di bilancio 2023.

Infine, dalla seguente tabella che indica i requisiti nel tempo, emerge che sono proprio quelli che si professano paladini delle pensioni che hanno introdotto requisiti peggiorativi per accedere ad opzione donna.

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