Avv. Francesco Pandolfi – Il mobbing non ha una definizione normativa, ecco perché sono stati elaborati dalla giurisprudenza alcuni principi che riguardano il rapporto di pubblico impiego, proprio per delinearne gli elementi costitutivi.
Argomento importante e delicato, si sa, che sempre più di frequente occupa le aule giudiziarie.
E’ allora il caso di prendere confidenza con il ragionamento dei Giudici sul mobbing: lo scopo è sfruttare le indicazioni indirettamente fornite da loro.
A questo proposito, anche a febbraio 2018 abbiamo un’interessante sentenza da analizzare su questo tema: la n. 310 del 02 febbraio, Tar Milano sez. 3.
Andiamo allora subito a vedere, uno per uno, in base ai principi emersi anche dalla recente sentenza, i criteri utili per riconoscere il mobbing ed arrivare a dire e dimostrare che effettivamente questo esiste in una determinata vicenda.
Mobbing, le regole, una per una:
Come riconoscere il mobbing verticale
Per riconoscere il mobbing c.d. verticale, deve esserci una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, che esprimono un disegno di persecuzione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica.
Come dimostrare la condotta lesiva
Per dimostrare la condotta lesiva da mobbing, va accertata:
a) la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico o prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;
b) l’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
c) il nesso tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore;
d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio.
Che peso ha il singolo atto illegittimo
Un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante.
Come comportarsi in giudizio
Sul piano processuale, la condotta che dà luogo a mobbing deve essere provata dal lavoratore, che deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice, eventualmente, anche attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi, possa verificare la sussistenza, nei suoi confronti, di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione.
Grava sul lavoratore l’onere di provare la condotta illecita e il nesso causale tra questa e il danno patito, mentre incombe sul datore di lavoro il solo onere di provare l’assenza di una colpa a sé riferibile.
Mobbing, quando agire
Non sempre è facile dimostrare il mobbing.
In generale, la cosa da sapere è questa: la causa di mobbing va intentata solo se ricorrono tutti i criteri sopra indicati.
In sintesi, se ci sono dubbi sulla capacità effettiva di dimostrare quanto spiegato, è preferibile non muoversi in sede di contenzioso.
Viceversa, bisogna assolutamente agire nel caso in cui si disponga dell’insieme degli elementi elencati in questa mini guida ed estratti direttamente dalla sentenza commentata.
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