A Erbil i nostri militari hanno formato 1500 curdi per combattere l’Isis “Corsi anti-mine e tiro al bersaglio, spesso occorre partire da zero”
Il tricolore si gonfia al vento che accarezza le distese polverose a ridosso della città. Bianco, rosso e verde, i colori dell’Italia ma anche quelli del Kurdistan meridionale, la regione autonoma nel Nord iracheno. Le due bandiere sventolano l’una accanto all’altra mentre un bosco di mimetiche le saluta militarmente. Siamo nei pressi di Erbil, è qui che si svolgono le attività di «Prima Parthica», la legione romana che dà il nome alla missione di addestramento dei peshmerga, le forze curde che si battono contro lo Stato islamico.
OPERATIVI DA 9 MESI
Gli italiani ne sono la spina dorsale, per leadership e per numero di personale impiegato e addestrato. Il «Kurdish Training Coordination Center» è infatti a guida italiana con 200 Paracadutisti della «Folgore», e un totale di 1500 peshmerga addestrati solo dall’Italia dal gennaio 2015. A partecipare alle attività sono anche Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Finlandia, Olanda e Ungheria, quasi 600 militari in tutto impiegati nell’addestramento di base di fanteria. Sono 5 mila invece i peshmerga preparati in oltre nove mesi di attività. «Uno sforzo significativo specie perché si inquadra in uno scenario molto complesso», dice il colonnello Alpino, comandante del contingente italiano e della forza multilaterale che si occupa di preparazione militare. È lui che ci accoglie al campo facendo il punto sulla intricata situazione interna al Kurdistan e sull’importanza del contributo addestrativo nella lotta all’Isis. Come il bilancio dei caduti tra i peshmerga, 1500 dall’inizio della guerra nel giugno 2014, ma con un deciso rallentamento dopo l’inizio della missione nel gennaio 2015.
I baschi amaranto conducono le attività nei centri di addestramento di Atrush, Manila e Benaslava, non lontano dalla capitale curda. Alcuni addestrati sono già stati al fronte e vi faranno ritorno una volta ottenuto il diploma degli istruttori.
La nostra prima tappa è Benaslava, per l’addestramento di fanteria di base, e un corso da poco avviato sulle trappole esplosive, i famigerati «Ied». «Ci hanno chiesto di aiutarli perché molti sono morti saltando sulle bombe che gli jihadisti disseminano in ritirata», ci spiega il maggiore Antonio (i nomi sono di fantasia per questioni di sicurezza). È lui che ci guida in questo viaggio tra gli italiani impegnati nella lotta alle bandiere nere del Califfato. Ci dice che molte «reclute» non sono militari di professione ma riservisti richiamati dal ministero dei peshmerga per combattere contro l’Isis. «Spesso non hanno equipaggiamento, non hanno mimetiche – racconta -, e a volte si addestrano con i mocassini». «Abbiamo dovuto insegnar loro a tenere un’arma in mano, a volte occorre partire da zero o quasi», rivela il capitano Falco supervisore delle attività di addestramento.
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