E’ giusto avviare il procedimento disciplinarmente a carico di un militare, senza attendere l’esito del procedimento penale, per infrazioni note e conclamate?

Napoli, 10 sett. 2017 – La questione del superamento della pregiudiziale penale in ambito disciplinare (autonomia dell’illecito disciplinare dall’illecito penale), nasce proprio dalle critiche mosse ad un sistema che paralizzava il procedimento disciplinare nelle more della definizione del procedimento penale nei suoi tre gradi, situazione inaccettabile soprattutto per infrazioni note e conclamate.

La riforma Madia (dal 28.08.2015 dapprima con la legge n. 124/2015 e successivamente affinata dal 15.06.2016 con il d.lgs. n. 91/2016), in sintonia con quanto previsto  dalla riforma Brunetta nell’impiego pubblico privatizzato (che dal 15.11.2009 ha introdotto l’art.55-ter nel d.lgs. n.165/2010), ha risolto il quesito in ambito militare con l’introduzione della modificazione all’art.1393 del codice dell’ordinamento militare, di cui al d.lgs. n. 66/2010.

Invero, il vigente articolo 1393 al comma 1 così dispone: “Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all’articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all’articolo 1357, l’autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all’esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Rimane salva la possibilità di adottare la sospensione precauzionale dall’impiego di cui all’articolo 916, in caso di sospensione o mancato avvio del procedimento disciplinare”.

Orbene, nella pertinente sentenza del TAR per la Campania – Napoli n. 4306 del 28.06.2017 – di seguito riportata integralmente – ha avuto valenza dirimente non la data della commissione del fatto illecito bensì quella dell’inizio del procedimento disciplinare (tempus regit actum), applicando il primo comma della novella legislativa citata e superando gli antichi retaggi culturali di appiattimento sulle risultanze penali (fatta salva la revisione della sanzione, disposta dai successivi commi della suddetta novella, alla definizione dell’accertamento penale).

La neo sentenza quindi si allinea – senza esplicito richiamo – alle sentenze del TAR Puglia, Lecce, Sez. II, n. 2550/2013 del 30.10.2013 e del TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 853/2016 del 07.04.2016 laddove riportano: “L’esercizio della potestà disciplinare nei confronti di un dipendente dell’amministrazione per fatti penalmente rilevanti e risalenti ad epoca precedente è correttamente assoggettato alla regola «tempus regit actum». Ne deriva che la P.A. è tenuta ad applicare la normativa vigente al momento in cui il procedimento disciplinare viene intrapreso e non già quella in vigore al momento della consumazione dell’illecito penale”.

La norma introdotta (giusta o ingiusta), come tutte le norme, è generica, astratta ed imperativa, quindi l’auspicio è che sia applicata a tutti i militari che abbiano commesso infrazioni disciplinari a prescindere dal grado nella scala gerarchica.

Antonio De Muro

 

Pubblicato il 07/09/2017

 N. 04306/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00194/2017 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 194 del 2017, proposto da:
A. C., rappresentato e difeso dall’avvocato Pier Giacinto Di Fiore, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, G. Porzio, Centro Direzionale F4;
contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale Napoli, domiciliata in Napoli, via Armando Diaz, 11;
per l’annullamento
– della determinazione del Ministero della difesa – Direzione Generale per il Personale Militare n. 0673990 del 21 novembre 2016, relativa alla “perdita del grado per rimozione, per motivi disciplinari” a partire dal 3 maggio 2016;
– di tutti gli atti ad esso connessi, preparatori o consequenziali, nonché di tutti gli atti dell’inchiesta formale, ordinata il 07/06/2016, di tutti gli atti e le risultanze della Commissione di disciplina che nella seduta del 28 settembre 2016 lo ha ritenuto “non meritevole di conservare il grado”.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 giugno 2017 il dott. Carlo Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con atto ritualmente notificato e depositato il sign A. C. impugnato le decisioni disciplinari adottate a suo carico in epigrafe indicate.
Nei confronti dell’odierno ricorrente, appuntato scelto dei Carabinieri, in servizio permanente, presso la Tenenza dei Carabinieri di Marano di Napoli, era stata disposta la sospensione precauzionale dall’impiego, a titolo obbligatorio, ex art. 915, co. 1, lettera b), del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, a decorrere dal 1° giugno 2016. Ciò avveniva in concomitanza del procedimento penale avviato nei suoi confronti, a seguito della predisposizione di apposita misura custodiale, per una serie di reati perpetrati con una serie di atti e comportamenti tenuti nello svolgimento della sue funzioni. Il ricorrente è, in particolare, imputato per accesso abusivo al sistema informatico, tentato accesso abusivo al sistema informatico, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, peculato, rifiuto di atti d’ufficio, illecita detenzione di munizionamento da guerra, aggravato dall’aver agevolato le attività illecite di un clan camorristico.
A sostegno della domanda parte ricorrente ha dedotto:
– la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 1393 del C.O.M. (Codice dell’Ordinamento Militare);
– l’eccesso di potere per violazione della Legge, per difetto di istruttoria e di motivazione;
– la violazione degli articoli 24 e 97 della Costituzione;
– la violazione e l’erronea applicazione degli articoli 861 e 867 del C.O.M.;
– la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 3 della Legge n. 241/90, per assoluta mancanza di motivazione.
Il Ministero si costituisce in giudizio, facendo valere l’infondatezza del ricorso.

Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni che seguono.

In ordine all’art. 1393 del d.lgs. 66 del 2010, che regola i rapporti tra procedimento penale e quello disciplinare, non può condividersi la doglianza formulata da parte ricorrente.
Se è vero che l’attuale previsione della norma è la seguente: «Se per il fatto addebitato al militare è stata esercitata azione penale (…), il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale (…) e, se già iniziato, deve essere sospeso»; nondimeno la previsione precedente, da ritenere applicabile alla presente vicenda in relazione ai fatti contestati  ed  alla tempistica in ordine all’attivazione e definizione del procedimento disciplinare de quo (secondo il generale canone ermeneutico tempus regit actum) era più articolata, prefigurando la concomitanza dei due procedimenti, con la possibilità per quello disciplinare di concludersi anche in pendenza del procedimento penale, salve alcune specifiche ipotesi. Tra queste ultime, come nel casi di specie, i casi di complesso accertamento dei fatti addebitati e comunque i casi in cui in ambito penale siano contestati «atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento degli obblighi e dei doveri di servizio». Al verificarsi di tale situazione il legislatore configurava, tuttavia, la possibilità di adottare una sospensione in via precauzionale dall’impiego.
Non può quindi condividersi l’assunto di parte ricorrente per cui l’Arma dei Carabinieri, perdurando il procedimento penale, avrebbe potuto al più deliberare la sospensione dall’impiego; di qui, la sanzione disciplinare non può reputarsi adottata (e a sua volta l’intero procedimento iniziato) in violazione di legge.
Inoltre, escluso che alcuna motivazione avrebbe potuto giustificare, adeguatamente, la spendita di un potere che non doveva iniziare o che doveva essere sospeso, ove esercitato, s’appalesano infondate le censure con cui si contesta il difetto di motivazione e di istruttoria, con particolare riferimento alla mancata indicazione di fatti e circostanze che, nel caso di specie, avrebbero consentito lo svolgimento della procedura.
A disciplinare la perdita del grado è l’art 861 del d.lgs. 66 del 2010. Questa norma annovera tra le cause delle perdita tanto la sanzione adottata al termine di una procedura disciplinare, quanto la condanna penale. Non può quindi che condividersi l’assunto di parte resistente per cui proprio l’art. 861 confermerebbe l’ammissibilità di una degradazione che avvenga in maniera indipendente rispetto all’esito del processo penale.
Peraltro, deve riaffermarsi l’assunto per cui il principio per cui “nessuno è tenuto ad accusare se stesso” non troverebbe spazio in questo specifico settore, in virtù della sussistenza di un rapporto di servizio caratterizzato da un vincolo gerarchico particolarmente stringente.
Soprattutto, assumendo l’assoluta separazione del procedimento disciplinare da quello penale, deve ritenersi del tutto esaustiva l’attività istruttoria condotta, concludendosi per l’indubitabile legittimità della determinazione disciplinare adottata; ciò anche a fronte della presentazione, da parte dell’interessato, di difese (memorie difensive) inadeguate.
Dall’istruttoria condotta sui fatti aventi rilievo disciplinare, sarebbe emersa l’incompatibilità dell’accertato comportamento materiale con i vincoli di fedeltà, lealtà e correttezza assunti dal ricorrente con il giuramento prestato. Siffatto giudizio, involgendo una valutazione discrezionale dell’amministrazione, resta sottratto ad un sindacato invasivo del giudice.
Ad ogni modo, la motivazione della decisione può dirsi sufficiente alla luce dei rilevanti dati fattuali richiamati e, stante l’effettività del momento partecipativo-difensivo, il contraddittorio con l’interessato realmente è stato pieno e conforme a normativa (cfr. documentazione in atti).
Ed invero, per un verso, l’amministrazione ha correttamente evidenziato il grave vulnus al rapporto di fiducia, posto a fondamento dell’attività di servizio, scaturente dalla complessiva condotta ascritta all’odierno ricorrente, in forza dei riscontri probatori emersi in sede di indagine penale, della specifica tipologia di addebiti contestati e del grave contesto ambientale ipotizzato; per altro verso, sia in sede di contestazione che di esercizio del diritto di difesa, appare emergere un pieno ed effettivo dispiegarsi del principio di contraddittorio procedimentale.
In conclusione il ricorso va respinto.
Nelle peculiarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa, tuttavia, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c., eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

 P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 28 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Passoni, Presidente
Renata Emma Ianigro, Consigliere
Carlo Buonauro, Consigliere, Estensore

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