Giornata internazionale dei diritti della donna. Quali diritti nell’ambito militare?

L’8 marzo, in tutto il mondo, ricorre la Festa della Donna, che più propriamente andrebbe celebrata come Giornata internazionale dei diritti della donna.

E’ una data simbolica, spesso sottovalutata nella sua valenza e nella sua efficacia, ma nodale nel rievocare le discriminazioni e le violenze che le donne hanno subito e che subiscono ancora oggi, in molte parti del mondo.

Questa ricorrenza ha origini storiche dibattute che, al di là delle singole vicende, ha origini politiche ben determinate. Dalla celebrazione negli Stati Uniti il 23 febbraio 1909, in seguito all’iniziativa Partito socialista americano, passando per il “debutto” dell’8 marzo in Germania nel 1914 proclamata dai socialisti tedeschi, all’8 marzo 1917 rimasto nella storia a indicare l’inizio della Rivoluzione russa di febbraio.

Il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, fissò all’8 marzo la «Giornata internazionale dell’operaia».

Ma al di la delle origini, la celebrazione ha un significato importante, serve a valorizzare le numerose ma ancora assolutamente insufficienti conquiste sociali, economiche e politiche che le donne devono raggiungere.

Tra queste non si può prescindere, per quel di interesse, dalla tematica dell’integrazione e delle pari opportunità in ambito militare, sia nelle Forze Armate e sia nella Guardia di Finanza.

In questo senso, prendendo atto che ad oggi risulta ancora esigua la percentuale femminile, si cercherà di comprenderne le ragioni socio culturali e strutturali che ne limitano la partecipazione.

Il ruolo delle donne nelle Forze Armate e nella Guardia di Finanza

Il D.Lgs. 31 gennaio 2000 n. 24 in attuazione della legge n. 380 del 20 ottobre 1999, ha sancito l’apertura delle Forze Armate italiane e della Guardia di Finanza.

E’ stata così avviata la definitiva trasformazione di un archetipo organizzativo monogenere, nel tentativo di perseguire la piena integrazione femminile, attraverso i percorsi di selezione, reclutamento e carriera per uomini e donne.

In questo senso il personale femminile è impiegato anche nei reparti operativi e nell’addestramento fisico, ed è chiamato a ricoprire ruoli di crescente responsabilità.

Ciò nonostante, dopo oltre 20 anni dall’apertura alla professione militare, la componente femminile è esigua: in media circa il 5,7%, del personale complessivo, 7,2% nell’esercito e appena il 4,4% nell’Aeronautica e 4,6% nei Carabinieri (dati 2018), 5,84% nella Guardia di Finanza (dato 2019).

Le ragioni della minor propensione delle donne rispetto agli uomini nell’intraprendere tali percorsi professionali sono sostanzialmente di tipo istituzionale e organizzativa, oltre che correlate all’aspetto motivazionale soggettivo.

Le dinamiche concernenti l’accesso femminile alle professioni militari e di polizia, conducono a chiedersi se vi sia una percezione concreta di pari opportunità di carriera e perché ancora oggi vi sia una minore propensione, rispetto agli uomini, ad intraprendere questa strada.

Aspetti motivazionali

L’accesso alle professioni militari e di polizia costituisce un’opportunità per favorire l’acquisizione di importanti esperienze lavorative, attraverso la conoscenza di nuovi contesti e culture e, allo stesso tempo di contemperare il raggiungimento di un impiego lavorativo a quello di rendere un servizio pubblico.

Uno dei fattori preponderante rimane quello dell’obiettivo di una stabilità economica mediante l’ottenimento dei vantaggi del posto fisso offerti dalle professioni in ambito militare o di polizia.

Per le donne una motivazione può essere rinvenuta nel desiderio di mettersi alla prova che può essere interpretato anche come una forma di riscatto rispetto a una società maschilista che tende a non valorizzare e a svantaggiare la realizzazione professionale della donna.

Stereotipi e ruolo femminile

Tra i principali deterrenti nella scelta di queste professioni, sussistono le problematiche correlate alla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.

Le opportunità lavorative e di carriera per una donna, molto più che per un uomo, sono fortemente condizionate dalla necessità di conciliare i tempi di vita familiare e lavorativa, specie a seguito della nascita di figli. Tale problematica appare ancor più presente nell’ambito professionale militare o dei corpi di polizia.

La vita militare è ritenuta difficilmente conciliabile con la maternità anche a causa del perdurare dell’immagine della donna legata a ruoli lavorativi specifici quali la maestra, l’infermiera o la segretaria.

Questo stereotipo è ancora presente nel contesto socio-culturale italiano, mediante i modelli di genere proposti fin dall’infanzia dalle famiglie, dai media e dai social, ma anche in molte istituzioni.

Questi paradigmi di ruolo, anche per il timore di disattendere le aspettative dei familiari, costituiscono un importante elemento ostativo.

Permane, in tali casi, il senso di colpa e di rinuncia, retaggio di una cultura di tipo patriarcale, che costituisce un disincentivo alla scelta professionale di tipo militare, poiché non conforme alle aspettative legate al ruolo sociale della donna.

Sessismo in ambito militare

La proposizione di tali modelli potrebbero far apparire alle donne non “appropriato” l’interesse per ambiti professionali con una forte caratterizzazione di genere, come quello della professione militare o di polizia, nella quale perdura una visione sessista.

In attinenza con siffatta figurazione sociale, le donne sono considerate meno adatte a impieghi in cui sia previsto il ricorso alla violenza e ove sorgano circostanze emotive in situazioni ad alto rischio.

Altro fattore ostativo è costituito dalla difficoltà per le donne di raggiungere ruoli determinanti in contesti tipicamente maschili, sempre nella visione di una presupposta minore attitudine femminile alla competizione e al rischio rispetto agli uomini.

Tra i fattori attitudinali considerati ostativi alla scelta di intraprendere queste professioni, un altro aspetto riguarda gli standard fisici richiesti: La donna è considerata “non adatta” o “non portata” a determinati compiti.

Per le donne sussiste, inoltre, il timore di dover rinunciare in qualche modo alla propria femminilità.

L’immagine prettamente maschile che le Forze Armate danno di sé, legata alla forza fisica e alla corporeità è, infatti, un altro elemento disincentivante.

I metodi “formativi” militari lambiscono il rischio di debordazione dei limiti della goliardia o delle battute da caserma.

Non sono rari i casi in cui le donne sono interessate da atteggiamenti e condotte devianti, fra le quali rientrano battute a doppio senso e offese sulla forma fisica, fino a vere e proprie molestie sessuali.

Quali cambiamenti

La presenza delle donne nelle Forze Armate e nella Guardia di Finanza è, oggi, una realtà in via di stabilizzazione per quello che riguarda l’organizzazione.

Nonostante un positivo e progressivo abbattimento delle iniziali limitazioni all’arruolamento, mancano programmi specifici incentrati sul genere femminile e una metodologia formativa che tenga conto della condizione della donna.

Appare fondamentale un processo destinato all’ascolto delle donne e al riconoscimento delle loro conoscenze ed esperienze, alla considerazione delle loro aspirazioni, dei loro bisogni, delle loro opinioni, nel contesto di una concreta partecipazione ai processi decisionali.

Per una reale integrazione delle donne nelle Forze Armate e nella Guardia di Finanza appare ancora necessario un radicale cambiamento in ambito socio-culturale, nel tentativo di scardinare i preconcetti e gli stereotipi di genere che limitano la partecipazione in questi ambiti lavorativi.

Bisogna comprendere che la presenza femminile rappresenta un elemento di valorizzazione qualitativo delle organizzazioni militari, che in tal modo sono impreziosite da modalità di agire, pensare e sentire differenti da quelle maschili.

Fabio Perrotta

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