Ad abbattere il Dc9 Itavia nei cieli di Ustica, la sera del 27 giugno 1980, provocando la morte di 81 persone, sarebbe stato un missile sganciato da un caccia francese decollato da una portaerei sventolante bandiera blu, bianca e rossa. Missile che avrebbe dovuto colpire un Mig libico su cui viaggiava il colonnello Muammar Gheddafi e che invece, per sbaglio, centrò in pieno il velivolo civile italiano. Nessuna bomba a bordo collocata nella toilette posteriore del Dc9, dunque, esclusa dalla tavoletta del water fotografata perfettamente integra.
È questa l’ipotesi raccontata dalla tv d’oltralpe Canal Plus e trasmessa ieri da Matrix. Eppure la ricostruzione spacciata per «nuova verità», che richiama reticenze, depistaggi e presunti complotti dei nostri «cugini», non rivela nulla che non sia già stato smentito in anni di perizie, processi e sentenze. Il giornalista Emmanuel Ostian parla di un’operazione militare francese partita dalla base di Solenzara, in Corsica, e prende le mosse dalle rivelazioni fatte anni fa da Francesco Cossiga, quando disse che il caccia francese «colpevole» dell’abbattimento avrebbe spiccato il volo dalla portaerei Clemenceau. Va, innanzitutto, rilevato che, al contrario di Cossiga, l’inchiesta di Canal Plus punta su un’altra portaerei francese, la «Foch». Ma persino nella sentenza-ordinanza del giudice Rosario Priore (il magistrato che più di ogni altro si è occupato di Ustica avallando l’inspiegabile tesi della quasi-collisione, poi cassata) si legge che le autorità francesi consegnarono i giornali di bordo e di navigazione delle due portaerei, dai quali si evince che entrambe, il 27 giugno 1980, erano ormeggiate al porto di Tolone, dunque ben distante da Ustica. Nella documentazione, esaminata dalla nostra Marina Militare, viene riportato ogni singolo dettaglio sulle portaerei: orari, spostamenti, rientri, miglia navigate, velocità. E le considerazioni finali della nostra Marina chiariscono che dati e documenti erano perfettamente coerenti.
D’altronde va rammentato che quando, nel 1999, a Cossiga chiesero se gli risultava che, la sera dell’abbattimento del Dc9, Gheddafi dovesse sorvolare lo spazio aereo sopra Ustica per dirigersi, forse, a Varsavia, il presidente rispose con un secco «assolutamente no». Ma veniamo al secondo punto affrontato dall’inchiesta di Canal Plus, e cioè l’impossibilità dell’esplosione di una bomba collocata nella toilette posteriore del Dc9 che si evincerebbe dalla tavoletta del water rimasta integra. Più volte i migliori periti internazionali che presero parte alle varie commissioni peritali sulla strage hanno spiegato che «gli effetti primari, e sempre presenti, di un’esplosione (…), si possono riscontrare solo se c’è un contatto diretto con l’esplosivo». A separare l’ordigno dal water c’erano, infatti, una paratia posteriore e lo sportello del lavabo. Ecco perché la direzione della bolla gassosa prodotta dall’esplosione è stata modificata, ed ecco perché sui reperti della zona della toilette recuperati non sono stati ritrovati quei «segni primari» della deflagrazione. Non va dimenticato, inoltre, che il 90 per cento della toilette non è mai stata recuperata. Ci sono, infine, le parole di Adriana Morici, sorella dello steward Paolo, una delle vittime del Dc9. Il giorno dopo la strage, ha raccontato a margine del programma di Canal Plus, recatasi a Palermo per il riconoscimento della salma, venne accompagnata da un capo scalo davanti a un pezzo dell’aereo precipitato. Ed è lì che notò «un grosso buco tutto bruciacchiato». Un missile, dunque? Sia detto nel massimo rispetto di chi quella notte non la potrà mai dimenticare, ma la circostanza non può smentire né la sentenza con la quale i giudici hanno assolto i quattro generali dell’aeronautica processati per depistaggio e nella quale si legge che «l’esistenza di un velivolo che volava accanto al Dc9 Itavia», e dal quale sarebbe partito il missile, «è supportato solo da ipotesi, deduzioni, probabilità e da basse percentuali e mai una sola certezza», né quanto affermato, davanti alla Commissione Stragi, dal pm Giovanni Salvi, e cioè che «sul relitto non c’è alcun segno dell’esplosione di un missile, né direttamente, né indirettamente».