Carabiniere punito per aver detenuto nel proprio ufficio oggetti dell’epoca fascista. Il consiglio di Stato conferma la sanzione disciplinare

Correva l’anno 2016 quando nell’ufficio di un maresciallo dei carabinieri del nord Italia entrò un appartenente  all’area “antagonista”, o almeno questa è la definizione dei giudici del Consiglio di  Stato.

Da quel giorno, per un maresciallo dei carabinieri che presta servizio nel nord Italia, sono iniziati i problemi.

Inutile sostenere che quegli oggetti rappresentassero solo un periodo storico, in alcuni casi della stessa Arma dei carabinieri.

Al maresciallo nel giugno 2016 venne comminata la sanzione disciplinare di un giorno di consegna, in quanto reo di aver detenuto nel proprio ufficio due quadretti di piccole dimensioni contenenti immagini di personaggi riferibili all’epoca del fascismo, nonché un quadretto di piccole dimensioni, color bronzo, con inciso il profilo di Benito Mussolini.

Il militare deteneva da tempo quei cimeli, ma quando nel suo ufficio entrò un soggetto appartenente all’area antagonista, già attinto da misura cautelare custodiale, quegli oggetti divennero di dominio  pubblico. 

Il maresciallo tentò di giustificarsi, sostenendo che i Superiori li avevano già visti da tempo ed inoltre avevano un generico contenuto militare (“una riproduzione in bronzo del viso di un militare della seconda guerra mondiale”, un “quadretto commemorativo dell’iscrizione presente sulla strada litoranea che conduce ad Alessandria d’Egitto da parte dei Bersaglieri dei 7^ Reggimento” ed un “quadretto contenente un’immagine della colonia estiva di Bardonecchia” e non erano quindi  in alcun modo legati con il fascismo.

Per il Tar e da qualche giorno anche per il  Consiglio di Stato, le giustificazioni del maresciallo sono superflue:

  “non vi è alcuna ragione di ritenere che l’amministrazione abbia travisato i fatti, non essendovi elementi per dubitare della veridicità di quanto attestato nelle relazioni redatte dai militari della Compagnia a seguito dell’accertamento dei fatti”; peraltro, “non sussiste invece alcun dubbio che l’effigie effettivamente raffigurata” fosse quella di Mussolini, anche in considerazione della mancata proposizione, da parte del ricorrente, di querela di falso avverso le verbalizzazioni dei Superiori gerarchici;

Stralcio di sentenza del  Consiglio di Stato del 3 dicembre 2020

Il profilo del primo quadretto rimanda chiaramente alla classica iconografia del duce del fascismo (elmetto, mento pronunciato, et similia), mentre la rappresentazione dell’inaugurazione di una colonia estiva (fascista), con tanto di soggetti in camicia nera ed indicazione dell’anno in base all’era fascista (numeri romani computati a partire dal 1922), parla da sé.

Né vi è, poi, alcuna contraddittorietà nell’operato dei Superiori stessi, che, in tesi, conoscevano da tempo la presenza di tali oggetti nella stanza del ricorrente: a ben vedere, infatti, l’infrazione disciplinare contestata non risiede nel possesso in sé di tali oggetti, ma nella relativa detenzione in un ufficio dell’Amministrazione ove erano stati condotti estranei, oltretutto appartenenti all’area cosiddetta “antagonista” ed attinti da provvedimento coercitivo dell’Autorità Giudiziaria.

In sostanza, l’Amministrazione ha inteso stigmatizzare una condotta potenzialmente lesiva del prestigio dell’Arma presso il pubblico, in quanto atta a offuscarne l’apoliticità e l’assoluta ed esclusiva fedeltà alle Istituzioni repubblicane o, quanto meno, a consentire una strumentalizzazione in tal senso.

Non constano, infine, ragioni di inimicizia od ostilità dei Superiori gerarchici nei confronti dell’interessato.

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