Arbitra partite di calcio durante la malattia – Poliziotto sospeso dal servizio per sei mesi

Un agente della Polizia di Stato (del quale vengono opportunamente omesse le generalità per rispetto della privacy), nel 2013 svolse l’attività di arbitro in competizioni sportive calcistiche in tre diverse occasioni,  malgrado stesse espletando alcuni periodi di congedo per malattia (enteropatia tibiotarsica, colica addominale, faringite). Al poliziotto venne irrogata una sanzione disciplinare.

L’agente si rivolse quindi al Tar, impugnando  il decreto con il quale il Capo della Polizia dispose nei suoi confronti la sospensione dal servizio per la durata di sei mesi, nonché il presupposto atto del Consiglio Provinciale di Disciplina di Varese, avendo ravvisato  alcuni motivi di illegittimità.

Di tutt’altro avviso il Tar, che con la sentenza N. 02014/2018 ha confermato la sanzione inflitta dal Capo della Polizia . Secondo i giudici della Sezione Terza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia infatti:

Tali reiterati episodi, il cui accadimento è incontroverso, denotano chiaramente l’assenza di decoro richiesto  agli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, e ciò in ragione del dovere – su tali soggetti incombente – di costituire un esempio di serietà e rettitudine nell’espletamento della propria attività professionale.

Inoltre, l’organizzazione e l’efficienza del reparto di appartenenza del ricorrente ha oggettivamente subìto un pregiudizio nel corso dei periodi di congedo per malattia dello stesso; quest’ultimo, peraltro, in occasione dell’audizione innanzi al Consiglio di Disciplina ha riconosciuto di non essersi reso conto che le attività ludiche illegittimamente svolte avrebbero potuto aggravare le patologie di cui lo stesso sarebbe stato affetto.

Per tali ragioni la sanzione irrogata al ricorrente risulta congruamente commisurata alla gravità dei fatti accertati.

Sotto diverso profilo, il provvedimento impugnato non può ritenersi viziato da contraddittorietà, in quanto il Capo della Polizia è sicuramente legittimato a riqualificare la condotta dell’incolpato nell’esercizio del potere sanzionatorio che la legge gli attribuisce.

Nè può ravvisarsi alcuna violazione del principio di proporzionalità, alla luce della gravità dei fatti commessi dal ricorrente e tenuto conto: i) che originariamente nella contestazione dell’addebito si chiedeva la destituzione dell’interessato; ii) che, peraltro, nel 2014 il ricorrente è stato condannato con sentenza divenuta irrevocabile ex art. 444 c.p.p. per truffa ai danni dello Stato in relazione agli stessi fatti.

2.3. In ragione delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere respinto.

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