La normativa in materia di associazionismo tra i militari tarda ad arrivare
di Cleto Iafrate*
Nell’aprile del 2018 la Corte costituzionale ha, finalmente, rimosso l’anacronistico divieto che impediva ai militari di riunirsi in associazioni sindacali. Dunque, fino ad oggi, i militari hanno vissuto in una condizione, per così dire, d’incostituzionalità di fatto.
Tuttavia il disegno di legge attualmente in discussione in Parlamento, relatrice l’onorevole Corda (M5S), pare anestetizzare la portata innovativa della decisione della Consulta. Poiché impone una serie di limitazioni delle materie di competenza dei sindacati militari; in pratica, fa venir meno il confronto sindacale su tutte le questioni che costituiscono l’essenza stessa delle Forze armate: “l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale”.
Inoltre sottopone le nascenti organizzazioni sindacali ad un’autorizzazione ministeriale preventiva. Autorizzazione che può essere ritirata in caso di, non meglio precisate, violazioni dei “limiti della correttezza formale” oppure “dei doveri derivanti dal giuramento prestato, dal grado, dal senso di responsabilità e dal contegno da tenere, anche fuori del servizio”. Una tale elasticità semantica pone le nascenti associazioni sindacali “al guinzaglio degli Stati Maggiori”.
Il disegno di legge, poi, attribuisce, inspiegabilmente, le controversie relative ai comportamenti antisindacali alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in luogo del giudice del lavoro. E’ di tutta evidenza che una tale previsione non è in armonia con l’art. 28 dello Statuto dei lavoratori e, se venisse approvata, costringerebbe le associazioni sindacali a ricorrere, con notevole aggravio di spese, ad un organo di giustizia che non offre ai militari le stesse garanzie di imparzialità, in quanto per forma mentis è “nell’amministrazione”, piuttosto che “dell’amministrazione”. Si consideri che una percentuale dei posti per Consiglieri di Stato sono di nomina governativa, e spesso si assiste al seguente fenomeno: generali in pensione che diventano giudici di Palazzo Spada.
Infine, il progetto di legge pone una serie di ulteriori paletti che minano alla radice l’operatività delle organizzazioni sindacali. Esse per essere rappresentative devono raggiungere un numero di iscritti pari al 3% della forza effettiva di ogni categoria e al 5% della forza complessiva del Corpo (o Arma) di appartenenza. A fronte di così rigorosi requisiti, non è prevista una clausola di salvaguardia nel caso nessuna associazione sindacale li raggiunga.
Ciò è assurdo e di dubbia costituzionalità.
In sintesi, questa legge è addirittura regressiva rispetto alla precedente legge istitutiva della Rappresentanza militare, strumento ritenuto inidoneo dalla Consulta a tutelare i diritti dei militari.
I militari, in particolare i carabinieri e i finanzieri, non sono diversi dai poliziotti, perciò meritano la stessa libertà sindacale che hanno i poliziotti. Libertà sindacale che è già di serie “B” rispetto a quella di altre categorie di lavoratori, perché esclude il diritto di sciopero. Insomma, non mi pare di chiedere la luna!
Le associazioni sindacali possono senza dubbio contribuire al buon andamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione e a migliorare ancor di più la qualità delle indagini di polizia giudiziaria e tributaria, ponendole al riparo da eventuali pregiudizi o compromissioni.
Un militare più tutelato rende un servizio migliore alla collettività.
*Segretario Generale Sindacato Italiano Militari Guardia di Finanza