Pubblichiamo il post di Alessandro Scano, rimasto ferito nei combattimenti del 2 luglio 1993 a Mogadiscio insieme all’allora Capitano Paolo Riccò e a molti altri militari italiani.
Per chi ha la pazienza di leggere tutto e vuol davvero essermi amico, non solo su FB.
Sono un ferito nei combattimenti del 2 luglio 1993 a Mogadiscio. Il mio nome è, oggi, quasi del tutto sparito dalle cronache e dagli articoli di giornale riguardanti quell’evento; a volte sono sbrigativamente ricordato come anonimo Ufficiale dei Lancieri di Montebello o addirittura “degradato” a Sottotenente (tant’è: sic transit gloria mundi). Ma a differenza di quelle cronache e di quegli articoli (come di certa politica e, ahimè, anche di alcuni appartenenti all’Esercito e alle Forze Armate in genere), io non dimentico. Non posso e non voglio dimenticare.
E così non scordo chi è Paolo Riccò. Il Signor Generale Paolo Riccò. E prima ancora il Capitano Riccò. È un bene non dimenticare perché le esperienze di successo e i fallimenti accumulati nel corso dell’esistenza insegnano tanto, specie alle persone giovani (come ero io nel 1993), dando altresì un metro sempre più perfezionato per “misurare” gli altri, oltre che se stessi.
Debbo premettere che ho atteso diversi giorni prima di scrivere questo post: mi sono confrontato con amici e colleghi circa l’evento, a tutti noto, del 25 aprile scorso a Viterbo, e circa l’opportunità, data la gravità e la risonanza mediatica, di verifiche e accertamenti che sono legittimi e previsti ai sensi degli articoli 555, 556, 557 e 558 del titolo III del DPR n. 90/2010. Ma anche circa l’opportunità da parte di esponenti dell’attuale Governo della Repubblica di pubblicare i propri giudizi sui social, col rischio che prima dell’espletamento delle verifiche “di cui ai suddetti articoli del DPR” potessero risultare, ai lettori poco avvezzi alla giurisprudenza militare e al “modus operandi” dei palazzi romani, giudizi sommariamente affrettati o addirittura preconcetti.
Nel frattempo, sono stato anche invitato ad iscrivermi, per due volte, a una pagina FB intitolata “Io sto con il Gen. Paolo Riccò”, ma dopo essermi guardato attorno e dopo aver verificato il tono di certi commenti, ne sono uscito perché, a mio modesto parere, l’effetto ottenuto non era certo quello di supportare il Generale bensì di dare inutilmente voce ad un disordinato, controproducente e imbarazzante cumulo di imprecisioni e sfoghi personali su argomenti che poco o nulla hanno a che fare con la vicenda di cui si è reso protagonista Paolo Riccò. Peraltro, e sempre a mio modesto e -probabilmente per molti- non richiesto parere, il Generale è Ufficiale di vaglia e coraggio non comuni che non abbisogna, certo, di difese così male acconciate e pure di queste mie parole, scritte in un italiano incerto e attagliato al basso livello dei “social”.
La sua migliore difesa è la motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare tributatagli per i fatti d’arme di Mogadiscio del 2 luglio 1993: “Comandante di compagnia paracadutisti, inquadrato nel contingente italiano inviato in Somalia nell’ambito dell’operazione umanitaria voluta dalle Nazioni unite, partecipava con la propria unità al rastrellamento di un quartiere di Mogadiscio. Nel corso dei successivi combattimenti, proditoriamente provocati dai miliziani somali, ricevuto l’ordine di contribuire allo sganciamento di alcune unità rimaste intrappolate nell’abitato, si distingueva per coraggio, determinazione e professionalità, spingendosi dove più intensa era l’azione nemica e neutralizzando numerose sorgenti di fuoco avversarie.
Allorché un razzo controcarri colpiva un VCC della sua compagnia, benché ferito, con ammirevole forza d’animo ed elevatissima perizia professionale, provvedeva alla difesa del mezzo stesso e si prodigava per lo sgombero dei feriti, perfettamente consapevole dei gravi rischi ai quali si sottoponeva. Chiarissimo esempio di coraggio, di nobile ed ammirevole altruismo e di altissimo senso del dovere”. E’ un Ufficiale e Soldato vero che ha conosciuto realmente il rischio, il dolore fisico ed il cosiddetto pungolo della battaglia, a differenza della sua controparte (volontaria o involontaria) dell’ANPI che è definito Partigiano ma che, come Gigliola Cinquetti, “non ha l’età” per esserlo stato davvero nel 1944-45….
E’ questo è bene ricordarcelo tutti, senza paraocchi, che si sia Ministri, Soldati o Cittadini. Non dobbiamo dimenticarlo così come non dobbiamo scordare che, dalla Somalia in poi (Iraq, Afganistan, Timor Est, Mozambico, Ex Jugoslavia, Libano ecc.) abbiamo visto “fratelli in armi” morire o tornare provati, gravemente e irrimediabilmente, nel fisico e nella mente, dai diversi Teatri Operativi d’oltremare, in cui ci ha inviati la Repubblica che abbiamo giurato di difendere. Sì, la stessa Repubblica nata dalla Resistenza e dai tristi eventi della Seconda Guerra Mondiale, ma anche da quelli del periodo immediatamente successivo al conflitto. Siamo figli del popolo italiano, di un popolo che ha sofferto la guerra, gli eccidi nazifascisti e i regolamenti di conti tra partigiani, le Foibe e Malga Bala, Marzabotto e San Saba.
E siamo capaci di lottare e soffrire anche nelle nuove Operazioni Internazionali con dignità e onore. Noi sappiamo chi siamo e cosa abbiamo fatto e patito per la Repubblica: siamo Soldati e non recitiamo la parte dei Soldati. Per noi, la sofferenza e il Valore sul campo, non hanno colore politico. Le “dicotomie”, le “dialettiche di confronto” e gli scontri pre-elettorali non ci appartengono: noi siamo il popolo, noi siamo l’unità del popolo, “l’Unità della Patria e la Libertà dei Cittadini”. Chiariscano i politici, nei loro ambiti parlamentari e non nelle cerimonie ufficiali, le loro differenze e soprattutto le loro contraddizioni senza riversare la loro bile ideologica su di noi, sulle nostre famiglie e, peggio, sui nostri caduti! E Paolo Riccò, con i suoi limiti umani, i pregi e difetti che chiunque possa o voglia affibbiargli, è oggettivamente uno dei migliori tra noi.
Noi siamo già tutti con Paolo Riccò, questa è l’unica cosa che non abbiamo bisogno di ricordare. E saremo con lui anche domani, come lui ieri è stato con i suoi paracadutisti a Mogadiscio: le decisioni superiori al termine degli accertamenti dovuti, non potranno ingiungerci di abbandonarlo misconoscendo il suo Valore. Sono un ferito nei combattimenti del 2 luglio 1993 a Mogadiscio. E non dimentico. Ten. Alessandro Scano, Reggimento Lancieri di Montebello (8°)