Vi trovate negli Alpini perché non sapete fare questo lavoro al Sud! Condannato Caporal Maggiore

Condannato un Caporal Maggiore dell’Esercito Italiano per aver offeso degli inferiori di grado . Dopo la Condanna del Tribunale Militare di Napoli e la conferma della sentenza presso la Corte Militare di Appello di Roma, il militare ha tentato la via della Corte di Cassazione. 

Ha tentato la via della Corte di Cassazione un Caporal Maggiore Scelto dell’ Esercito Italiano in servizio a Caserta. Il Tribunale militare di Napoli il 30 novembre 2016 lo aveva condannato alla pena di quattro mesi e 15 giorni di reclusione militare per il delitto di ingiuria nei confronti di tre Caporal Maggiori appartenenti al Corpo degli Alpini.



La Corte militare d’appello di Roma, il successivo 19 settembre 2017 aveva confermato la sentenza del Tribunale Militare di Napoli. I giudici di merito avevano ritenuto il militare colpevole dei fatti commessi il 22 ottobre del 2011 nei pressi del posto di vigilanza fissa presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

Il militare, secondo i giudici,  in quella occasione aveva offeso il prestigio, l’onore e la dignità degli inferiori di grado, Caporal Maggiore P. P., C. M. e A. S., dicendo, rivolto ad un Caporal Maggiore Scelto C.D. , in presenza dei suddetti militari inferiori di grado:

«Alpini di merda, Alpini del cazzo, vi trovate a Bolzano, perché non avete
educazione, vi trovate negli Alpini, perché non valete niente e non siete in grado
di fare questo tipo di lavoro al sud”, nonché per averli minacciati di ingiusto
danno, dicendo “se voglio vi faccio tornare a Vipiteno a calci in culo“!

I giudici in entrambe le sentenze avevano ritenuto che le offese e le minacce rivolte in modo gratuito nei confronti dei militari che stavano svolgendo un servizio di particolare delicatezza come quello della sorveglianza dell’ufficio giudiziario in orario notturno, aveva causato la distrazione dal servizio delle persone offese e non consentiva nemmeno un giudizio di speciale tenuità di tale condotta.

Secondo il militare, nelle varie sedi di giudizio non si era tenuto conto delle  dichiarazioni di un Appuntato scelto della Guardia di Finanza G. M., presente anch’egli sul posto, la cui versione differiva da quella ufficiale,  ovvero che sarebbe stato falso che il Caporal Maggiore Scelto , durante l’alterco  con gli
Alpini,  fosse stato portato via dal padre che era con lui in auto per evitare che
proseguisse le sue condotte.



Inoltre, in quel momento era in stato di apprensione, perché stava  accompagnando la moglie in stato di gravidanza al nono mese, sicché tale testimonianza minava l’attendibilità delle persone offese che palesemente avevano l’interesse ad «ammantare» la ragione per la quale avesse deciso di attaccar briga con gli alpini, così facendo sorgere un’alternativa ricostruzione dei fatti, che poteva portare a svelare una violata consegna da parte delle persone offese e che poteva essere stigmatizzata nell’immediatezza dall’imputato.

Inoltre, secondo il militare,  i reati di ingiuria e diffamazione aggravata avrebbero dovuto essere “declassati” ad “ingiuria semplice”, poiché avrebbe discusso solo esclusivamente con il Caporal Maggiore Scelto C.D., che era suo pari grado.

La sentenza della Cassazione

Secondo i giudici della Corte di Cassazione, il ricorso è manifestamente infondato per entrambi i motivi, in quanto la motivazione della Corte di merito appare logica, esaustiva e fondata.

Il militare in questione arrivò con la propria auto sul posto di vigilanza fissa ed iniziò a lampeggiare con i fari , uscendo dall’ autovettura con fare aggressivo , mentre il  Caporal Maggiore Scelto C.D era impegnato a dare informazioni all’autista di un veicolo. Sceso dall’ auto pronunciò le citate frasi contro il Capo pattuglia , alla presenza degli altri militari inferiori di grado , che avevano così avuto modo di sentirle.

Inoltre, le apparenti divergenze rispetto alle dichiarazioni rese dal teste della Guardia di Finanza sono state spiegate in modo adeguato a pag. 8 della sentenza impugnata col fatto che questi aveva probabilmente sentito solo una parte delle frasi pronunciate dall’imputato.

Dichiarato quindi inammissibile il ricorso, con conseguente conferma della sentenza della Corte Militare di appello e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della cassa delle ammende.



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