«Un uomo rigoroso, così aveva arrestato il figlio del killer»

Il maresciallo Antonio Taibi, il carabiniere freddato davanti al portone di casa, aveva arrestato Riccardo Vignozzi nel 2007, quando lavorava nel reparto operativo di Carrara. Era la prima volta che il sottufficiale incrociava il figlio di quello che nove anni dopo sarebbe diventato il suo assassino. A ricordare quell’operazione è il sostituto procuratore Federico Manotti, titolare dell’indagine che dopo il fermo del giovane portò in carcere altre sei persone. Un giro di droga impressionante che fu scoperto grazie alla collaborazione tra l’Arma e la squadra mobile, allora diretta da Enrico Tassi. Vignozzi era stato trovato con cinquecento pasticche di ecstasy. Da lì Taibi e i suoi colleghi erano risaliti al resto della banda. Gente scaltra, tanto che due degli indagati – una giovane coppia carrarese (lui e lei entrambi incensurati) – era volata in Marocco con un charter per riofornirsi di stupefacenti. La scusa era quella di una settimana di vacanza. In realtà erano andati a prendere l’hashish: 151 ovuli (61 li aveva ingoiati lui e 90 lei). I pusher erano stati fermati, in flagranza di reato, all’aeroporto di Malpensa. I loro telefonini erano tenuti sotto controllo ed erano già stati identificati come corrieri. «Non era stato facile ricostruire tutti quei collegamenti – continua Manotti -. Ma ricordo perfettamente che Taibi fu decisivo soprattutto nell’individuazione del figlio dell’uomo che poi lo ha ucciso. Non era un piccolo spacciatore perché cinquecento pasticche era un numero considerevole. I carabinieri su mio input avevano voluto approfondire la comparsa a Carrara dell’ecstasy. E l’arresto di Riccardo Vignozzi fu il primo tassello di un’operazione che per un po’ di tempo allontanò quel tipo di droga dalla provincia apuana».

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