http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20200414/snpen@s60@a2020@n12076@tS.clean.pdf

Siulp: Attività del lavoratore in stato di malattia e presentazione di certificati medici non veritieri

Per quel che concerne le attività che può legittimamente effettuare il lavoratore dipendente che si annuncia ammalato, due recentissimi provvedimenti della Corte di Cassazione hanno affrontato questo problema.

In linea generale, entrambi ribadiscono il principio che, durante la convalescenza, il lavoratore può svolgere più o meno qualsiasi attività purché essa non ritardi o pregiudichi la guarigione e non faccia sorgere il sospetto che la malattia sia simulata.

Ciò che rileva, quindi, è la relazione tra l’attività svolta dal lavoratore e la patologia che gli impedisce di svolgere attività lavorativa, sulla base del fatto che una patologia che rende il lavoratore impossibilitato, seppur temporaneamente, dall’erogare la prestazione lavorativa, non necessariamente gli può impedire di svolgere altre attività.

Ciò premesso, il primo provvedimento (ordinanza numero 23852 del 5 settembre 2024), conferma il licenziamento di un lavoratore che, durante la convalescenza, si è recato a giocare una partita di calcio del torneo regionale di prima categoria.

Secondo i giudici la condotta in questione ha violato gli obblighi di lealtà e correttezza nei confronti del datore di lavoro perché diretta, tramite la simulazione di uno stato fisico incompatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa, non solo all’assenza dal lavoro, ma anche al vantaggio indebito della partecipazione, in orario di lavoro, alla partita di calcio già programmata da tempo, che certamente implica uno sforzo fisico gravoso.

Secondo i giudici il dipendente ha quindi simulato la malattia, o comunque non adempiuto al proprio dovere di trascorrere la convalescenza in maniera appropriata, in quanto la partita di calcio è un’attività incompatibile con la malattia poiché ritarda la guarigione.

Con il secondo provvedimento, invece, (ordinanza n. 23858 del 5 settembre 2024), è stata confermata la nullità del licenziamento di una lavoratrice che durante la convalescenza si era recata al bingo ed al centro commerciale per fare shopping.

L’impedimento al lavoro, dunque, non necessariamente produce l’impossibilità, con le residuali capacità psico-fisiche, di svolgere attività “normali”, soprattutto se compiute fuori dall’orario di reperibilità.

Neppure l’utilizzo di certificati medici falsi giustificativi del periodo di malattia da parte di un dipendente è, in sé, un fatto idoneo e sufficiente a legittimare il licenziamento di quest’ultimo.

Al riguardo, si è pronunciata la Corte di Cassazione la quale, con la recente ordinanza n. 20891 del 26 luglio 2024, richiamando un orientamento giurisprudenziale consolidato, ha affermato:

“è stato chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte che, in tema di licenziamento individuale per giusta causa, l’insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18, comma 4, st. lav., come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b), della legge n. 92 del 2012, comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente, ma privo del carattere di illiceità (anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo); ed è stato precisato che la tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, st. lav. novellato, applicabile ove sia ravvisata l’”insussistenza del fatto contestato”, comprende l’ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità“

La citata pronuncia consegue al licenziamento di un dipendente a seguito di una contestazione disciplinare che addebitava al medesimo di aver utilizzato certificati medici falsi per giustificare un periodo di malattia.

Nella circostanza, il licenziamento è stato dichiarato illegittimo sia in primo che in secondo grado di giudizio.

A parer dei giudici di merito, “la prova della consapevolezza da parte del lavoratore della non autenticità della documentazione al fine di farne uso traendone un indebito vantaggio, così da compromettere il vincolo fiduciario, non era emersa in giudizio e non poteva essere oggetto di presunzione per il solo fatto che il lavoratore avesse utilizzato i certificati“

. Ne è derivata una valutazione sulla condotta del dipendente come priva del carattere di illiceità sotto il profilo soggettivo, “per mancanza di coscienza e volontà riguardo all’antigiuridicità della propria condotta “.

In sede di ricorso per Cassazione i giudici di legittimità hanno affermato che in materia di licenziamento opera la regola generale di cui all’art. 5, legge n. 604/1966, che pone a carico del datore di lavoro l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento. In merito, a parere della Cassazione, “la Corte d’Appello ha compiuto una valutazione complessiva delle prove proposte dalle parti, ed ha ritenuto non provata la sussistenza dell’elemento soggettivo del fatto illecito contestato, pur materialmente accertato (ossia la consapevolezza della falsità dei certificati medici utilizzati, posto che il fatto materiale della falsificazione non era addebitato al lavoratore “.

In tal senso, i giudici di merito hanno compiuto un’operazione di valutazione delle prove raccolte, in esito alla quale non è stata, nel merito, inferita la consapevolezza dell’uso di certificato falso in capo al lavoratore.

SIULP – Sindacato Italiano Unitario dei Lavoratori della Polizia

Condivisione
Metti un like alla nostra pagina facebook, Clicca QUI. Ci trovi anche su Telegram, Clicca QUI. (Se non hai Telegram, Clicca QUI)

Lascia un commento