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SIULP: Al vaglio della Corte Costituzionale il differrimento del trattamento di fine servizio per i dipendenti pubblici

Con Ordinanza n. 00433/2024 del 15 febbraio 2025 il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, del D.L. n. 79/1997, convertito nella L. n. 140/1997, e s.m.i., e 12, comma 7, del D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella L. n. 122/2010, e s.m.i., in relazione all’art. 36 Cost. e alle sentenze della Corte Costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023.

La normativa rimessa al sindacato del giudice delle leggi riguarda il differimento della corresponsione del trattamento di fine servizio per i dipendenti pubblici.

La menzionata questione era già stata portata all’attenzione della Consulta che si era pronunciata con le sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023. Nella prima decisione la Corte, pur avendo ribadito i principi relativi alla natura del trattamento di fine servizio e alla necessità che lo stesso venga erogato con la necessaria tempestività, aveva dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme richiamate in quanto, in quel caso, veniva in rilievo una cessazione anticipata dal servizio e dunque le disposizioni in materia di differimento e rateizzazione del T.F.S. potevano ritenersi legittime in quanto finalizzate a scoraggiare l’esodo anticipato dei dipendenti pubblici e, in questo senso, eque e non discriminatorie.

La Corte aveva, però, invitato il legislatore a porre mano ad una riforma organica della materia, evidenziando la permanenza di un vulnus dei “… princìpi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignità della persona umana”. Il legislatore si era, tuttavia, limitato ad introdurre, con l’art. 23 del D.L. n. 4/2019, la possibilità per gli interessati di richiedere il finanziamento di una parte, pari all’importo massimo di 45.000,00 €, dell’indennità di fine servizio maturata, garantito dalla cessione pro solvendo del credito avente ad oggetto l’emolumento, dietro versamento di un tasso di interesse fissato dall’art. 4, comma 2, del D.M. 19 agosto 2020. L’I.N.P.S., dal canto suo, con delibera del Consiglio di Amministrazione n. 219 del 9 novembre 2022, ha istituito l’anticipazione del T.F.S., attraverso la possibilità, per gli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, di usufruire di un finanziamento pari all’intero ammontare del trattamento maturato e liquido, erogato al tasso di interesse pari all’1% fisso (a cui si aggiungono le spese di amministrazione), sempre dietro cessione pro solvendo della corrispondente quota non ancora esigibile del T.F.S.

Con la sentenza n. 130 del 2023, la Corte Costituzionale è tornata a pronunciarsi, questa volta nell’ambito di un contenzioso incardinato da un dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di età. Va detto, anzitutto, che la decisione della Corte si pone in continuità con la precedente pronuncia del 2019, della quale condivide le premesse concettuali e ripropone le argomentazioni principali. La Corte, tuttavia, rileva che al monito contenuto nella sentenza n. 159 “…non ha […] fatto seguito una riforma specificamente volta a porre rimedio al vulnus costituzionale riscontrato…” e, a fronte di tale inerzia, ha rinnovato l’invito al legislatore a provvedervi.

Tuttavia, le questioni sollevate dal giudice a quo sono state dichiarate inammissibili in quanto “…Al vulnus costituzionale riscontrato con riferimento all’art. 3, comma 2, del D.L. n. 79 del 1997, come convertito, questa Corte non può̀, allo stato, porre rimedio, posto che il quomodo delle soluzioni attinge alla discrezionalità del legislatore. Deve, infatti, considerarsi il rilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento del differimento in oggetto, in ogni caso, comporta;

ciò che richiede che sia rimessa al legislatore la definizione della gradualità con cui il pur indefettibile intervento deve essere attuato, ad esempio, optando per una soluzione che, in ossequio ai richiamati principi di adeguatezza della retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalità, si sviluppi muovendo dai trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri…”.

La Corte Costituzionale ha, dunque, concluso nuovamente che, per porre rimedio alla situazione sopra evidenziata, occorre un intervento del legislatore affinché́ si trovi una soluzione che miri a superare il differimento della liquidazione e del pagamento delle indennità di fine servizio, in ossequio ai principi di adeguatezza della retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalità, e che si sviluppi muovendo dai trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri.

Oggi con l’Ordinanza n. 00433/2024 del 15 febbraio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche dovendo definire un ricorso prodotto da un primo dirigente della polizia di Stato cessato dal servizio per raggiunti limiti di età, evidenzia che la questione di legittimità costituzionale, incidentalmente eccepita, è rilevante in quanto le disposizioni in commento non sono suscettibili di un’interpretazione costituzionalmente orientata, stante il loro inequivoco tenore letterale.

Passando invece a trattare della non manifesta infondatezza, lo stesso Collegio osserva che, nella sentenza n. 130 del 2023, il Giudice delle leggi, dopo aver ribadito la natura dell’indennità in questione, ha evidenziato che pur non potendosi escludere in assoluto che, in situazioni di grave difficoltà finanziaria, il legislatore possa eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla tempestiva corresponsione del trattamento di fine servizio, tuttavia, un siffatto intervento è, anzitutto, vincolato al rispetto del criterio della ragionevolezza della misura prescelta e della sua proporzionalità rispetto allo scopo perseguito.

Inoltre, la legittimità costituzionale delle norme dalle quali possa scaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore è condizionata alla rigorosa delimitazione temporale dei sacrifici imposti (sentenza n. 178 del 2015), i quali devono essere “eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso” (ordinanza n. 299 del 1999). Ebbene, secondo i giudici amministrativi marchigiani, il termine dilatorio di dodici mesi quale risultante dall’art. 3, comma 2, del D.L. n. 79 del 1997, come convertito, e successive modificazioni, oggi “non rispetta più̀ né il requisito della temporaneità, né i limiti posti dai principi di ragionevolezza e di proporzionalità”.

Inoltre, a differenza del pagamento differito dell’indennità di fine servizio in caso di cessazione anticipata dall’impiego – in cui il sacrificio inflitto dal meccanismo dilatorio trova giustificazione nella finalità di disincentivare i pensionamenti anticipati e di promuovere la prosecuzione dell’attività lavorativa (sentenza n. 159 del 2019) – il, sia pur più̀ breve, differimento operante in caso di cessazione dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di età̀ o di servizio non realizza un equilibrato componimento dei contrapposti interessi alla tempestività della liquidazione del trattamento, da un lato, e al pareggio di bilancio, dall’altro.

Ciò̀ in quanto la previsione ora richiamata ha “smarrito un orizzonte temporale definito” (sentenza n. 159 del 2019), trasformandosi da intervento urgente di riequilibrio finanziario in misura a carattere strutturale, che ha gradualmente perso la sua originaria ragionevolezza”. A ciò̀ deve aggiungersi che la perdurante dilatazione dei tempi di corresponsione delle indennità di fine servizio rischia di vanificare anche la funzione previdenziale propria di tali prestazioni, in quanto contrasta con la particolare esigenza di tutela avvertita dal dipendente al termine dell’attività lavorativa.

Occorre, ancora, considerare, afferma il Tribunale, che l’odierno scrutinio di legittimità costituzionale si innesta in un quadro macroeconomico in cui il sensibile incremento della pressione inflazionistica acuisce l’esigenza di salvaguardare il valore reale della retribuzione, anche differita, posto che il rapporto di proporzionalità, garantito dall’art. 36 Cost., tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro, richiede di essere riferito “ai valori reali di entrambi i suoi termini” (sentenza n. 243 del 1993).

Di conseguenza, la dilazione oggetto di censura, non essendo controbilanciata dal riconoscimento della rivalutazione monetaria, finisce per incidere sulla stessa consistenza economica delle prestazioni di cui si tratta, atteso che, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del D.L. n. 79 del 1997, come convertito, allo scadere del termine annuale in questione e di un ulteriore termine di tre mesi sono dovuti i soli interessi di mora…”; Per i Giudici del TAR, la Corte Costituzionale “ha adottato una c.d. sentenza monito, ossia ha accertato l’incostituzionalità delle norme di legge sottoposte al suo giudizio, ma non l’ha dichiarata formalmente sul presupposto che la riforma organica della materia compete solo al legislatore, venendo in rilievo vari interessi di rango costituzionale la cui ottimale composizione implica delicate valutazioni di ordine politico, relative anzitutto al procacciamento della provvista finanziaria necessaria per ricondurre il sistema alla legittimità costituzionale”.

Dette sentenze, in assenza di una specifica disposizione costituzionale che ne disegni la relativa disciplina, da un lato non vincolano il legislatore (non esiste infatti uno strumento tecnico in forza del quale si possa obbligare il legislatore ad adeguarsi ad una pronuncia della Corte), dall’altro lato pongono due questioni preliminari, relative, rispettivamente, all’accertamento della “inottemperanza” e al termine entro il quale il legislatore avrebbe dovuto adeguarsi. Infatti, in presenza di “sentenze monito” a cui non abbia fatto seguito alcun intervento del legislatore è necessario verificare (e tale verifica compete ovviamente solo alla Corte Costituzionale):
se si è effettivamente in presenza di una “inottemperanza” o se esistono ragioni che giustificano l’inattività del legislatore;
se tale “inottemperanza” si è protratta per un periodo di tempo tale da costituire nella sostanza un’elusione delle pronunce della Corte.

Il Tribunale ritiene, dunque, che vi siano fondati argomenti per sostenere che il legislatore non si è oggettivamente adeguato alle sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023.

Quanto al secondo profilo, per un verso è del tutto ovvio che non si può pretendere un adeguamento immediato da parte del legislatore (stanti anche i tempi tecnici necessari per l’approvazione di una proposta di legge), per altro verso è altrettanto ovvio che le decisioni della Corte, per non tradursi di fatto in grida di manzoniana memoria, debbono essere ottemperate in un tempo ragionevole, che però non può essere stabilito dal giudice di merito, ma solo dal Giudice delle leggi.

Per tali ragioni i giudici del TAR Marche sollevano la questione di legittimità costituzionale relativa all’omesso adeguamento delle norme medesime alle sentenze della Corte Costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023, visto che l’inerzia del legislatore reitera la lesione sostanziale del diritto del dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di età alla percezione di una retribuzione (in questo caso differita) sufficiente e proporzionata all’attività lavorativa svolta dall’interessato (art. 36 Cost.).

La lesione sostanziale discende dalla dilazione temporale e dalla rateizzazione del pagamento della somma dovuta, non accompagnate da un meccanismo di adeguamento degli importi pagati all’andamento dell’inflazione. Laddove si volesse invece ritenere che le “sentenze monito” non vincolano né il legislatore né la stessa Corte Costituzionale, vanno nuovamente sollevate le medesime questioni di legittimità costituzionale delle prefate disposizioni di legge, nella parte in cui le stesse prevedono – come misure ormai strutturali e non più legate a specifiche emergenze finanziarie – la dilazione dell’effettiva erogazione del T.F.S. e (nell’ipotesi di importi superiori a 50.000,00 €, come è nel caso dell’odierno ricorrente) la rateizzazione dei pagamenti, non accompagnate dalla rivalutazione delle somme via via erogate all’ex dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di età. Si tratta, secondo il Tribunale rimettente, di una normativa che confligge con l’art. 36 Cost. per i profili già evidenziati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 130 del 2023.

SIULP – Sindacato Italiano Unitario dei Lavoratori della Polizia

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