Se i cappellani militari venissero pagati dalla Chiesa invece che dal ministero della Difesa, lo Stato risparmierebbe 6,3 milioni di euro l’anno. È la stima che i deputati di Sinistra italiana hanno riportato nell’interrogazione parlamentare rivolta al ministro delle Finanze e al ministro della Difesa, che ha come primo firmatario Gianni Melilla, per chiedere a che punto sono arrivati gli accordi tra la Difesa e l’Ordinariato militare. “Dal 1984, anno nel quale è stato siglato il nuovo Concordato tra Stato e Chiesa, manca una revisione dell’intesa sullo status dei cappellani militari” si legge nell’interrogazione. La vecchia intesa, che risale ai Patti Lateranensi del 1929, è stata parzialmente modificata nel 2014, quando è stato raggiunto un accordo tra il ministro della la Difesa e il nuovo ordinario militare, l’arcivescovo monsignor Santo Marcianò, per cui è stato accettato il principio che i cappellani militari rinuncino ai gradi. Infatti nelle forze armate ci sono 173 tra cappellani generali, colonnelli, e capitani. Graduati “armati” solo di tonaca e crocifisso perché il loro ruolo è fornire “assistenza spirituale” ai militari.
20 milioni di euro l’anno complessivi. “Ma questo non vuole dire che non rappresentino un costo per le casse dello Stato, la stima è di una ventina di milioni di euro all’anno” spiegano i deputati . “Nel 2013, ad esempio, al ministero della Difesa la cura spirituale dei militari impegnati in missione è costata quasi 17 milioni di euro, cifra che comprende gli stipendi, le pensioni e il mantenimento degli uffici. Solo questi pesano 2 milioni di euro l’anno”. Il cardinale Angelo Bagnasco, vescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, dal 2003 al 2006 è stato comandante dei cappellani, ed è stato automaticamente nominato generale di corpo d’armata (oggi tenente generale), con uno stipendio adeguato al grado. E con una pensione altrettanto “adeguata”, anche se lui sostiene di devolverla in beneficienza.
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