SINAFI: Luci ed ombre nel futuro pensionistico del personale del comparto sicurezza e difesa

. Di Eliseo Taverna

Come é noto la legge 335 del 1995, meglio nota come riforma Dini, mossa da esigenze di contenimento della spesa previdenziale e di sostenimento dei conti pubblici, ha riformato radicalmente il sistema pensionistico, dei dipendenti, tra i quali il personale del comparto difesa e sicurezza, prevedendo nuovi sistemi di calcolo notevolmente meno vantaggiosi basati sul montante contributivo versato nell’arco di tutto il periodo lavorativo e creando di fatto un azzeramento, nel tempo, del sistema retributivo che permetteva di conservare, di norma, un trattamento pensionistico più o meno pari al trattamento stipendiale.

La riforma previde, contestualmente, l’istituzione del secondo pilastro della previdenza, la cosiddetta “previdenza complementare”, ma i fondi pensione per una serie di ragioni, ancora una volta economiche, non furono mai avviati per il comparto difesa e sicurezza e soccorso pubblico, creando di fatto una condizione di forte decremento economico per coloro che negli anni a seguire avrebbero lasciato il lavoro attivo, con effetti drammatici per coloro che sarebbero stati assunti a partire dal 1 gennaio ’96 ed inquadrati nel sintema di calcolo contributivo puro.

Nel corso degli anni sono stati inutili i tanti tentativi politici, sindacali e giudiziari volti a far avviare i fondi pensione nella piena consapevolezza che il futuro previdenziale che si sarebbe prospettato non sarebbe stato dei più rosei.

Successivamente, a seguito di un altro intervento sul sistema previdenziale, attuato con la riforma Fornero, che si prefissava l’obiettivo di armonizzare i trattamenti pensionistici del comparto con quelli dei dipendenti pubblici, interessato da una rivisitazione dei limiti d’età per poter uscire dal mondo del lavoro attivo e con un sistema di calcolo cosiddetto a “quote” si cercò di innalzare limiti di età e peggiorare il sistema d’uscita dal mondo lavorativo. Solo grazie ad un intervento dell’ultimo minuto dell’allora Presidente del Consiglio Mario Monti, sollecitato dalle OO.SS..si riuscì a scongiurare una riforma che sarebbe risultata devastante.

Le tante azioni di tutela fatte a favore del personale, tuttavia, hanno scongiurato ulteriori peggioramenti del sistema di calcolo dei trattamenti previdenziali e soprattutto quelle giudiziarie hanno indotto il legislatore a prevedere, con la legge di bilancio 2022, un fondo perequativo che ha stanziato 20 milioni di euro per il 2022, 40 milioni di euro per il 2023 e 60 milioni di euro per il 2024 riconoscendo, di fatto, per la prima volta in tanti anni la reale esistenza di una forte sperequazione nei trattamenti pensionistici del personale del comparto, rispetto a quelli del pubblico impiego, per i quali sono stati avviati tempestivamente i fondi pensione di categoria.

Il fondo istituito si pone l’obiettivo di destinare le risorse stanziate all’adozione di provvedimenti normativi volti alla progressiva perequazione del relativo regime previdenziale, attraverso l’introduzione, nell’ambito degli istituti già previsti per il personale interessato di misure:

a) compensative rispetto agli effetti derivanti dalla liquidazione dei trattamenti pensionistici per il personale in servizio il giorno precedente la data di entrata in vigore del relativo provvedimento normativo;
b) integrative delle forme pensionistiche complementari di cui all’articolo 26, comma 20, della legge n. 448 del 1998, per il personale immesso nei ruoli delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a decorrere dalla data di entrata in vigore del relativo provvedimento normativo.

La norma prevede, peraltro, che le risorse citate dovranno essere ripartite garantendo che almeno il 50% siano destinate alla finalità di cui alla lettera b) del medesimo comma, ovvero a forme integrative pensionistiche nuovi assunti dopo l’entrata in vigore della legge.

In merito al fondo si sarebbe dovuto avviare un tavolo di confronto tra Governo, Sindacati, Rappresentanze e Amministrazioni al fine di decidere l’esatta destinazione delle stesse ma l’evidente esiguità dello somme totali messe in relazione alla platea di personale interessato, certificata dalle continue e legittime rivendicazioni da parte dei rappresentanti del personale nei confronti della classe politica, ne ha fatto evidenziare l’inopportunità, al momento, se non verranno prima stanziate altre risorse.

Il DDL S. 2180 “Norme di perequazione previdenziale per il personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso” depositato la scorsa legislatura il 15 aprile 2021, d’iniziativa dei senatori PINOTTI , DONNO , GASPARRI , MININNO , ORTIS e VATTUONE che mirava a far attribuire il massimo coefficiente di trasformazione previsto nel sistema pensionistico per i dipendenti pubblici, al personale del comparto difesa e sicurezza, poiché a causa o in forza di un limite massimo ordinamentale di 60 anni (cosiddetta pensione di vecchia) sconta un coefficiente minore, é ormai lettera morta, atteso che la maggior parte dei firmatari non é stata rieletta nella presente legislatura.

L’intervento normativo aveva lo scopo di adattare l’attuale normativa pensionistica alle specificità del personale del comparto difesa e sicurezza (Forze armate, compresa l’Arma dei Carabinieri, Forze di polizia e Corpo dei vigili del fuoco).

La legge 4 novembre 2010, n. 183 riconosce, infatti, la specificità del ruolo e dello stato giuridico di tale personale, in relazione alla peculiarità dei compiti, alle limitazioni personali che ne derivano e ai requisiti di efficienza operativa richiesti.

Questa circostanza, aggravata dalla mancata istituzione della previdenza complementare crea una situazione di estremo decremento economico dei trattamenti pensionistici per il personale del comparto, all’atto del pensionamento,

Nella presenta legislatura la Senatrice Pucciarelli ed altri con il ddl 606 tenta di resuscitare tale principio e le finalità che lo stesso si poneva, cercandolo di inserire nell’ordinamento il sistema di calcolo delle pensioni nella parte riferita al coefficiente di trasformazione più alto del pubblico impiego, nonché si mette in risalto una nuova previsione laddove si prevede una modifica all’articolo 5 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165, dopo il comma 1 che riconosce il periodo massimo di “scivolo contributivo” o “aumento massimo” di 5 anni, valevole ai fini del diritto all’accesso ai requisiti pensionistici, ma non nella misura, rimettendo, a differenza di quello che accade oggi, al singolo dipendente, la possibilità o meno di richiederne in tutto o in parte la validità, ovviamente ai soli fini del calcolo del trattamento pensionistico.

Leggendo la scheda illustrativa dei lavori parlamentari ci rendiamo conto che l’articolo 3 del ddl reca disposizioni finalizzate a comprimere gli effetti negativi sul personale destinatario del trattamento pensionistico li­quidato in tutto o in parte con il sistema
contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335. A tal proposito, si consideri che l’ar­ticolo 5, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165, prevede che il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia abbia diritto ad un beneficio consistente in un aumento del periodo di servizio di mas­simo cinque anni, ai fini del calcolo del periodo di servizio utile per conseguire il di­ itto alla pensione. Il beneficio in questione, se da un lato consente ai destinatari di poter anticipare la decorrenza del trattamento pen­sionistico, infatti, dall’altro incide negativamente sulla misura della pensione calcolata intera­mente con il sistema contributivo, la quale non potrà valorizzare nel montante i cinque anni attribuiti. L’effetto sopraindicato inte­ressa prevalentemente coloro che, all’atto della cessazione dal servizio per limiti di età non abbia maturato i requisiti minimi di accesso alla pensione di età, non hanno raggiunto la massima anzia­nità contributiva per effetto dell’applicazione del beneficio, con un sensibile effetto sulla riduzione ulteriore (rispetto al calcolo con sistema misto/retributivo) dell’assegno pen­sionistico e che potrebbero chiedere di es­ sere trattenuti in servizio attraverso lo stru­mento della finestra mobile. A legislazione vigente, ad esempio, il personale contrattua­lizzato del comparto difesa, sicurezza e soc­corso pubblico arruolato a 25 anni sarà po­sto in congedo con diritto a pensione al compimento del sessantesimo anno di età, con cinque anni di contribuzione non valorizzabile ai fini della misura del trattamento.
L’articolo 3 prevede pertanto che, su richie­sta degli interessati, ai soli fini del calcolo del trattamento pensionistico, sia possibile
attribuire solo una parte degli aumenti di servizio il periodo del cosiddetto « super­ servizio » in altri termini è attribuito, in tutto o in parte, solo a richiesta dagli inte­ressati e non più in via automatica e inciderebbe soltanto al fine del trattamento pensionistico. In tal modo si consente al personale di operare una scelta consapevole, valutata in base agli effetti che deriverebbero dall’at­tribuzione del beneficio. La disposizione non dovrà comportare ulteriori oneri a carico dello Stato.
Essa concede ai destinatari del beneficio una facoltà che, qualora esercitata, di fatto ha l’effetto di posticipare la cessazione dal ser­vizio con conseguente maggiore e ulteriore contribuzione obbligatoria versata nelle casse dell’ente di previdenza nonché minori oneri derivanti per lo Stato, dovuti allo slit­tamento della liquidazione del trattamento pensionistico.

Il disegno di legge come già detto in premessa, prevede che al personale dei citati comparti che cessi dal servizio per limiti d’età, infermità o decesso, si applichi il coefficiente di trasformazione previsto per l’età anagrafica stabilita per l’accesso al pensionamento dei dipendenti pubblici civili (attualmente fissato a 67 anni).

Considerando gli attuali coefficienti, qualora la proposta di legge fosse approvata, si stima un incremento orientativo della pensione del 24 per cento per coloro che si troveranno in questa casistica, ovviamente lavorando più anni oltre il limite ordinamentale oggi fissato a 60 anni

In pratica, quest’ultima soluzione senz’altro proficua da un lato, tuttavia che riguarderà solo una parte minima di personale, peraltro a costo zero per lo Stato, ma dall’altro una pezza a colori che non risolve l’annoso problema della sperequazione delle pensioni che dovrà passare in primis da un corposo finanziamento del già citato fondo perequativo e poi senz’altro dal riconoscimento di un coefficiente di trasformazione più elevato da attribuire al personale che lascia il lavoro attivo.

A questo quadro, a tinte fosche, si aggiunge un legittimo tentativo di alcune sigle sindacali della PS che da tempo cercano di far elevare, seppur in modo involontario, il limite ordinamentale per colmare una sperequazione tra ispettori e restante personale per il quale é previsto il trattenimento in servizio oltre i 60 anni (una norma analoga al richiamo del personale ad ordinamento militare) nonché una certa spinta che proviene dagli ufficiali delle forze armate e di polizia ad ordinamento militare che vorrebbero rimanere in servizio oltre i 60 anni e che, attualmente, fanno molta fatica ad ottenere il richiamo in servizio.

Su questa partita, che si dovrà giocare nei prossimi mesi come SINAFI saremo attori protagonisti in tutte le sedi e non lasceremo certo snaturare o rivedere in peggio, ancora una volta, il sistema pensionistico del personale.

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