Ometteremo nomi e gradi per rispettare la privacy del personale coinvolto, ma cercheremo di rendere chiara una sentenza molto complessa che è costata cara ad un ufficiale dell’ Esercito Italiano. L’alto graduato è stato rimpatriato sul finire del 2003 su disposizione del proprio Comandante del Gruppo, dopo aver lamentato l’inidoneità dei sistemi di autoprotezione dei velivoli a bordo dei quali veniva impiegato e l’inadeguatezza dell’addestramento svolto in vista dell’impiego nel particolare ambiente operativo, manifestando la propria indisponibilità ad effettuare missioni di volo.
Nei primi mesi del 2004 il Comandante di Reggimento di appartenenza comunicava all’ ufficiale pilota l’avvio del procedimento teso all’irrogazione di una sanzione disciplinare per violazione degli artt. 4 (subordinazione), 10 (doveri attinenti al grado), 14 (senso di responsabilità, 16 (spirito di corpo) e 25 (esecuzione di ordini) del d.P.R. n. 545/1986 “Regolamento di Disciplina Militare” (di seguito RDM).
L’ufficiale presentava istanza di accesso agli atti del procedimento ,ma il Comandante di Reggimento gli negava tale diritto in quanto il D.M. 14 giugno 1995 n. 519 sottrae i “documenti inerenti i procedimenti disciplinari per l’irrogazione di sanzioni di stato e/o di corpo” al diritto di accesso. Il Comandante di Reggimento contestava quindi i seguenti addebiti:
“giunto in teatro operativo e informato della situazione locale, constatato che tale situazione configurava un “rischio” superiore a quello preventivato e ritenute, conseguentemente, più significative le già note carenze addestrative (del personale) e tecniche (Omissis), ha dichiarato la propria indisponibilità a svolgere attività operativa di volo qualora non si fosse provveduto a sviluppare preliminarmente uno specifico addestramento in area sicura e non si fossero apportate ai sistemi di autoprotezione degli (omissis) le migliorie tecniche individuate”. Il comportamento in questione appare, dettato dalla sola diversa valutazione del grado di accettabilità da attribuire al “rischio”. Ma per quanto si possa ritenere professionalmente corretto presentare al Comandante le proprie preoccupazioni e i propri timori, nel tentativo di indurlo ad assumere ulteriori misure di tutela, non è altrettanto professionalmente e militarmente accettabile il dichiarare la propria indisponibilità ad assecondare le scelte conclusive e le decisioni, appunto, del Comandante, o il subordinare la propria disponibilità al soddisfacimento di specifiche condizioni. Tale comportamento lede senz’altro la disciplina militare, attraverso la mancata osservanza di doveri attinenti alla subordinazione (art. 4 del Regolamento di Disciplina Militare), al grado (art. 10 comma 3 RDM), al senso di responsabilità (art. 14 RDM), allo spirito di corpo (art. 16 comma 1 RDM richiamato in allegato “C” all’art. 65, comma 17) e all’art. 25 dove recita che … “il militare deve astenersi da ogni osservazione tranne quelle eventualmente necessarie per la corretta esecuzione di quanto ordinato”.
Concluso il procedimento, il Comandante infliggeva 6 giorni di consegna di rigore” motivando l’irrogazione con la seguente dicitura: “inviato in missione in teatro Iracheno , con il proprio comportamento poco consapevole dell’adempimento dei doveri del proprio stato ed in particolare dell’obbedienza, con scarso senso di responsabilità con una non pronta e puntuale esecuzione degli ordini ricevuti metteva a repentaglio il buon esito della missione rendendo più difficoltoso il raggiungimento dell’obiettivo e l’adempimento del compito assegnato al Reparto. Quanto sopra aggravato dal grado rivestito dall’Ufficiale (art. 4, 10, 14 e 25 del R.D.M.)”. Leggi la sentenza del Tar a pagina 2