In precedenti articoli è stato esplicitato l’effetto della pandemia sulla previdenza per effetto del calo dell’aspettativa di vita che, in sintesi, si traduce in un blocco dei requisiti del diritto e al trattamento della pensione per il biennio 2023/2024 e, probabilmente, anche per il biennio successivo.
Oggi, invece, valutiamo gli effetti negativi del Covid sul trattamento di quiescenza in quanto il montante contributivo accumulato al 31/12/2020 non subirà alcuna rivalutazione.
Si ricorda, che il montante contributivo è pari al 33% delle retribuzioni annue percepite dal dipendente che, rivalutato annualmente in funzione dell’indice Pil, viene accumulato fino alla cessazione dal servizio e che diventa quota contributiva di pensione (c.d. quota “C”) attraverso l’applicazione di coefficienti di trasformazione legati all’età posseduta dal pensionato al momento della cessazione dell’attività lavorativa.
Il montante contributivo, ogni anno, viene aggiornato in base ad un tasso di capitalizzazione, ovvero l’andamento della crescita del Pil degli ultimi 5 anni. Il valore del 2020, per le pensioni decorrenti dal 2022, si riferisce alla media del Pil 2015-2020, quindi incamera il Pil del 2019 da quasi recessione e quello del 2020 negativo per la pandemia.
Il ministero del Lavoro, con una nota del 7 ottobre, ha comunicato che il tasso medio dei 5 anni è negativo e, pertanto, il coefficiente sarebbe dello 0,999785 che comporterebbe una svalutazione di tutto il montante accumulato al 31/12/2020, ma in realtà si considererà convenzionalmente quello pari a 1,00, mentre il calo sarò recuperato nei prossimi anni se i coefficienti torneranno a salire in conseguenza di un Pil in crescita.
In PENSIONE DELLE FORZE ARMATE, COMPRESA L’ARMA DEI CARABINIERI, DEL CORPO DELLA GUARDIA DI FINANZA, DELLE FORZE DI POLIZIA AD
ORDINAMENTO CIVILE E DEL CORPO NAZIONALE DEI VIGILI DEL FUOCO sintesi, sulle pensioni decorrenti dal 2022 l’impatto del tasso di capitalizzazione sarà neutro per effetto di una clausola di salvaguardia prevista dal comma 1, art. 5, del d.l. n. 65/2015 che stabilisce che, in ogni caso, il coefficiente non può essere inferiore ad 1, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive.
Cosa bisogna temere per il futuro
Se non verrà messa mano alle attuali normative, quello che sarà l’impatto finale non lo possiamo conoscere e dipenderà dalla ripresa che avverrà a partire da quest’anno e per i prossimi: o sarà “sostenuta” o questo coefficiente potrebbe essere ancora più basso. In questa maniera, con tassi più contenuti, le pensioni saranno più basse del previsto e potrebbero risultare non in linea con quanto si aspettano i lavoratori.
Considerando il Pil degli anni seguenti:
2016 +1,1 2017 +1,6 2018 + 0,9 2019 + 0,1 2020 – 8,9 e quelli
seguenti stimati dal governo:
2021 + 6 2022 + 4,7 2023 +2,8 2024 +1,9
si può matematicamente affermare che prima delle pensioni decorrenti dal 2025 il montante accumulato non subirà nessuna rivalutazione per gli anni 2020, 2021 e 2022.
Simulando il caso di un collocamento in congedo nel 2025, attribuendo come tasso di capitalizzazione l’ultimo positivo relativo al 2019 pari a 1,019199 anche per gli anni in cui non ci saranno rivalutazioni, la quota “C” di pensione sarebbe stata di euro18.689,00 mentre quella effettiva sarà di euro17.498,00, per una differenza annua lorda di 1.191,00 che non potrà essere più recuperata neppure dal personale che continuerà l’attività di servizio.
Articolo a cura del 1° Lgt. in pensione Antonio Pistillo