A farne le spese (per ora) un militare dell’Esercito.Lo scorso 15 marzo , al soldato, fu inflitta una sanzione disciplinare di corpo. Il militare infatti non esitò a postare su facebook le immagini degli accampamenticompletamente allagati, nei quali prestava servizio insieme ad altri 2400 militari . I post scaturirono molti commenti negativi e parecchie condivisioni, al punto da indurre i superiori a prendere provvedimenti sanzionatori. Il Tar Friuli Venezia Giulia lo scorso 12 dicembre ha confermato la sanzione, affermando che
i social network in particolare Facebook non possono essere considerati come siti privati, in quanto non solo accessibili ai soggetti non noti cui il titolare del sito consente l’accesso, ma altresì suscettibili di divulgazione dei contenuti anche in altri siti.
Di seguito la sentenza integrale
TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, sentenza 6 – 12 dicembre 2016, n. 562
Presidente/Estensore Zuballi
Fatto
Agisce in giudizio il ricorrente, militare dell’esercito, avverso la decisione negativa sul ricorso gerarchico presentato in data 14 aprile 2016 avverso la sanzione disciplinare di corpo irrogatagli in data 15 marzo 2016.
Fa presente che la sanzione disciplinare riguardava la pubblicazione sulla bacheca Facebook di molteplici immagini inerenti al servizio svolto dal ricorrente durante l’Expo, in particolare foto di tende di campo allagate, con opinioni e commenti negativi.
Secondo l’amministrazione con tale condotta avventata e superficiale il ricorrente si sarebbe posto in contrasto con i principi etici che costituiscono i fondamenti dell’identità militare, quale la disciplina, l’integrità morale e lo spirito di corpo, trasgredendo in tal modo al dovere di grado e di funzione.
Fa presente che la situazione precaria in cui operavano alcuni militari al servizio dell’Expo 2015 era stata resa nota anche da alcuni organi di stampa che avevano evidenziato la condizione di poca sicurezza dei militari, anche a seguito di alcuni forti nubifragi. Tre militari sono stati indagati, tra cui il ricorrente, nei cui confronti è stata irrogata la sanzione più grave.
Il ricorrente illustra la situazione alquanto precaria in cui si trovavano i circa 2400 militari alloggiati nella tendopoli. Il ricorrente fa presente di aver utilizzato un profilo Facebook chiuso in modalità privata e visionabile solo dai soggetti indicati dal proprietario. Appare inoltre palese la disparità di trattamento rispetto alle sanzioni riferite ad altri soggetti in situazioni simili.
Il ricorrente presentava le proprie memorie difensive, ma ciò nonostante si riuniva la commissione di disciplina irrogandogli la sanzione di consegna di rigore per giorni 7, avverso cui formulava ricorso gerarchico, peraltro rigettato.
Illustra l’evoluzione del concetto disciplina militare alla luce dei principi costituzionali per cui oggi l’obbedienza deve essere leale e consapevole, ma mai cieca e assoluta.
Il ricorrente quali motivi di ricorso deduce la violazione di legge in particolare dell’articolo 1 e 3 della legge 241 del 1990, la violazione degli articoli 21, 52 e 97 della Costituzione, dell’articolo 1350 del decreto legislativo n. 66 del 2010, degli articoli 1398 e 1046 del medesimo decreto legislativo, difetto di motivazione e illogicità, difetto di istruttoria, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta e sviamento di potere.
Fa presente che nella motivazione della sanzione non si indica nemmeno la disposizione violata. Il termine concesso a difesa non è stato poi rispettato e non si indica poi chi sia stato l’accertatore della vicenda. Inoltre, erroneamente si afferma che il mezzo usato la ricorrente sia di pubblico accesso. Infine il comportamento del ricorrente viene considerato come “politico” e quindi con una motivazione del tutto erronea. Insiste quindi per il difetto di istruttoria e per lo sviamento di potere oltre che per l’ingiustizia grave e la manifesta illogicità.
Resiste in giudizio l’amministrazione che in particolare fa presente come il codice dell’ordinamento militare e il testo unico contengono precise disposizioni relative a come il militare debba fare presenti eventuali inconvenienti e problemi.
Infine nella pubblica udienza del 6 dicembre 2016 la causa è stata introitata per la decisione.
Diritto
1. Viene all’esame di questo collegio il ricorso del militare avverso il provvedimento di rigetto delle ricorso gerarchico proposto dal ricorrente contro la sanzione di giorni sette di consegna di rigore irrogatagli con provvedimento del 15 marzo 2016.
2. In via generale, va premesso che questo collegio conviene con il ricorrente che l’intero ordinamento militare, e in particolare i concetti di disciplina e obbedienza, devono in un paese civile essere coniugati con i principi costituzionali e democratici. Peraltro risulta evidente come l’intera struttura militare per i suoi compiti di difesa e di ordine pubblico non possa prescindere da un ordinamento gerarchico e da particolari doveri e comportamenti posti a presidio delle finalità, anch’esse costituzionalmente garantite, che la improntano.
3. Ciò premesso in via generale, la sanzione in questa sede esaminata riguarda la circostanza che il ricorrente ha postato nel suo profilo facebook alcune foto dell’accampamento militare in cui si trovava assieme ad altri militari adibiti alla sorveglianza del sito Expo, fotografie scattate dopo un nubifragio e che quindi ritraevano le tende e l’intero accampamento allagati e in precarie condizioni. Alle foto erano allegati commenti critici.
4. Questo collegio osserva come i social network in particolare Facebook non possono essere considerati come siti privati, in quanto non solo accessibili ai soggetti non noti cui il titolare del sito consente l’accesso, ma altresì suscettibili di divulgazione dei contenuti anche in altri siti. In sostanza, la collocazione di una fotografia o di un testo su Facebook implica una sua possibile diffusione a un numero imprecisato e non prevedibile di soggetti e quindi va considerato, sia pure con alcuni limiti, come un sito pubblico.
5. Lo stesso ricorrente, quando nel suo ricorso sostiene che i commenti non sarebbero opera sua ma di altri soggetti che si sarebbero inseriti nel sito, implicitamente ammette che detto sito era accessibile a terzi non identificabili a priori e quindi conviene sulla sua natura non strettamente privata.
6. Ciò premesso vanno esaminati i singoli motivi di ricorso.
Innanzitutto non risulta esatto che nell’atto gravato non fosse indicato l’articolo del codice violato, in quanto la norma violata, l’articolo 713 del d.p.r. 90 del 2010 riguardante i doveri attinenti al grado, risulta espressamente menzionata.
7. Del pari infondata risulta la censura relativa alla durata del procedimento, in quanto risulta che nel procedimento per l’erogazione della sanzione di corpo è stato rispettato l’articolo 1034 comma uno del testo unico sull’ordinamento militare.
8. Quanto alla mancata indicazione dell’accertatore dell’inflazione, anche tale doglianza non è fondata in quanto nella contestazione degli addebiti si fa riferimento espresso alle attività svolte dell’ufficiale inquirente.
9. Tutte le altre censure relative a una presunta sanzione motivata dal carattere vagamente “politico” della vicenda riguardano il merito di una scelta discrezionale che non può essere sindacato in sede di giudizio di legittimità, se non per macroscopica illogicità ovvero travisamento di fatto, non riscontrabili nel caso in esame.
10. Si fa poi presente come l’ordinamento militare, sia il codice di cui al decreto legislativo n. 60 del 2010 sia il testo unico d.p.r. 90 del 2010, contengono espresse disposizioni sulle modalità con cui il militare può rappresentare situazioni anche critiche in cui si trova, peraltro rimane pur sempre l’obbligo del militare di utilizzare i sistemi riservati e di non pubblicare fotografie o divulgare commenti in grado di nuocere al prestigio dell’amministrazione.
11. In definitiva, la sanzione irrogata al ricorrente, sette giorni di rigore, appare proporzionata alla mancanza commessa che in sostanza non viene negata dal ricorrente se non con affermazioni del tutto generiche e non dimostrate. In altri termini, il ricorrente aveva indubbiamente diritto a fare presente disagi e critiche sulla situazione in cui si era trovato a operare, ma ha utilizzato una modalità non consentita dall’ordinamento militare, che prevede altri mezzi riservati, proprio allo scopo di garantire le finalità cui la struttura militare è preposta, in un contemperamento tra i principi democratici di libertà e quelli caratteristici di una struttura armata preposta alla difesa della nazione e dell’ordine pubblico interno ed esterno.
12. In conclusione, il ricorso va rigettato laddove le spese di giudizio si possono compensare, stante la peculiarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.