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Un Maresciallo della Finanza arruolatosi nel 1986 ha impugnato la determinazione con la quale l’INPS sede di Reggio Calabria – gestione ex lnpdap – ha quantificato il trattamento di quiescenza.
Il Maresciallo in quiescenza arruolato nel Corpo della Guardia di Finanza
nel 1986 , dopo circa 31 anni di servizio è stato posto in congedo assoluto in data 04.05.2017 seguito di sopravvenuta inidoneità psico-fisica.
In conseguenza di ciò, il trattamento di pensione avrebbe dovuto essergli
liquidato con l’applicazione dei benefici di cui all’art. 54 del d.P.R. n.
1092/1973, anziché, come fatto dall’amministrazione previdenziale, facendo
applicazione del sistema di calcolo di cui all’art. 44 dello stesso testo unico.Cosa che avviene sistematicamente per tutti i militari posti in quiescenza.
Il Maresciallo quindi, oltre all’applicazione del succitato articolo di legge, ha chiesto anche il rimborso degli arretrati maturati per l’applicazione dei benefici previsti dall’articolo 3, del D.Lgs n° 165/1997, sul presupposto che, cessato dal servizio per riforma, è stato escluso dall’applicazione dell’istituto dell’ausiliaria ex art. 992 del D.L.gs n° 66/2010.
Di tutt’altro avviso l’INPS che ha ovviamente ritenuto la richiesta infondata in fatto ed in diritto, respingendola. La vicenda è quindi divenuta competenza della CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA. In udienza, le parti intervenute hanno insistito, ciascuna per quanto di
rispettiva competenza, per l’accoglimento delle conclusioni rispettivamente
rassegnate in atti.
Il giudice ha accolto parzialmente il ricorso e solo con riguardo al primo capo di domanda per le ragioni di seguito esposte:
I. L’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, commi 1 e 2, com’è noto prevede per il
personale militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto
a quello disciplinato per il personale civile dall’art. 44 dello stesso testo unico,
stabilendo che “1. La pensione spettante al militare che abbia maturato
almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per
cento della base pensionabile 2. La percentuale di cui sopra è aumentata di
1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.
Nel caso di specie, è indubbio che all’atto del pensionamento il sig. G. avesse
maturato oltre 15 anni, ma anche più di 20 di servizio e tuttavia secondo
l’Istituto controparte, la disposizione dallo stesso invocata non potrebbe
trovare applicazione.
Ritiene al riguardo l’INPS che l’art. 54 non avrebbe innovato l’ordinario
meccanismo delle aliquote di rendimento previsto dall’art. 44 citato, essendosi
limitato ad “attribuire un ulteriore beneficio ristretto a coloro cessati con 15
anni ma non ancora 20”.
Dal suo punto di vista, in pratica sarebbe sufficiente “porre mente al
meccanismo delle aliquote percentuali. Fino a 15 anni si matura il 2,33%
annuo, pervenendo al 35% con 15 anni. Dal 15esimo l’aliquota si riduce al
1,8%. Ne consegue che, al 20 anno di servizio, l’aliquota complessiva è pari
al 44% (35% + 9% derivante da 1,80% x 5). Dopo il 20esimo anno l’aliquota è
sempre 1,8% sino al conseguimento dell’80% al 40esimo anno (che, tuttavia,
per i militari era più veloce trattandosi di servizio utile e non effettivo, ove il
servizio utile era contraddistinto dalle maggiorazioni)”.
In concreto, dunque, il “comma 1 dell’art. 54, quindi, non creava nuove
aliquote annuali di calcolo, bensì si limitava a fornire un bonus a coloro che
cessassero con anzianità compresa tra 15 e 20 anni di servizio. Bonus
variabile, chiaramente, in base all’anzianità superiore a 15 fino a 20. Per cui,
chi cessava con 16 anni aveva un bonus di 1,8% x 4 anni, chi cessava a 17
anni un bonus di 1,8%, e così via”.
In definitiva, dunque, sembrerebbe che l’art. 54, comma 1, possa trovare
applicazione per il solo personale militare che all’atto della cessazione del
servizio non avesse ancora superato il 20° anno di servizio utile, mentre per
coloro che lo avevano superato nessuna differenziazione si sarebbe potuta
configura con il restante personale dello Stato.
Questo giudice è di contrario avviso.
Sul punto, risulta evidente la commistione che l’INPS erroneamente compie
tra ambiti di disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e
personale tutt’altro che omologabili.
L’art. 54 detta, come lo stesso INPS peraltro riconosce, una disciplina di
favore nei confronti del personale militare che non è prevista per i dipendenti
civili dello Stato, disciplina che sancisce il diritto ad una pensione pari al 44
per cento della base pensionabile per coloro che siano cessati tra il 15° e il
20° anno di servizio.
Non è pertanto corretto sostenere, come fa invece l’INPS (sopra se ne è dato
conto) che fino “a 15 anni si matura il 2,33% annuo, pervenendo al 35% con
15 anni. Dal 15esimo l’aliquota si riduce al 1,8%. Ne consegue che, al 20
anno di servizio, l’aliquota complessiva è pari al 44% (35% + 9% derivante da
1,80% x 5). Dopo il 20esimo anno l’aliquota è sempre 1’1,8% sino al
conseguimento dell’80%……”, giacché così opinando non si coglie ciò che il
chiaro tenore letterale della disposizione non può che portare a cogliere e
cioè che il 44 per cento della base pensionabile spetta al militare che cessi
avendo compiuto 15 anni, dunque anche con un solo giorno in più di servizio
oltre il 15° anno e così fino al 20° anno di servizio utile.
In concreto e in estrema sintesi, volendo seguire il calcolo esemplificativo
fatto dall’INPS, rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se
per il personale civile l’aliquota è in effetti del 2,33% annuo per i primi 15 anni
in conformità all’art.44, comma 1, per il personale militare, invece, detta
aliquota è del 2,93% (44%:15), giacché diversamente opinando non avrebbe
avuto ragion d’essere la differenziazione operata dal legislatore tra le due
categorie con il riconoscimento del vantaggio del 44% anche con un solo
giorno in più di servizio oltre il 15° anno per il personale militare, vantaggio
che, come già osservato, non è contemplato dall’art. 44, comma 1.
Superata tale soglia, è sì vero che la percentuale spettante è pari all’1,80 per
cento per ogni anno di servizio, ma tale percentuale, come è agevole
desumere dall’interpretazione anche in questo caso letterale della norma, è
da calcolarsi in aggiunta a quella di cui al comma precedente, che ne risulta
come dice il comma 2 “aumentata”, di tal che, ad esempio, il dipendente
militare cessato con un anzianità di servizio di 21 anni, avrebbe avuto diritto
ad una pensione pari al 45,80% della base pensionabile (44% fino a 20 anni
+ 1,80% per 1 anno), fermo restando, ovviamente, il limite massimo finale
pari all’80 per cento della base pensionabile previsto anche per il personale
militare dal comma 7 dell’art. 54 citato analogamente a quanto stabilito
dall’art. 44, comma 1, per il personale civile.
Ovviamente, poiché il ricorrente aveva un’anzianità contributiva inferiore a 18
anni alla data del 31 dicembre 1995, il relativo trattamento pensionistico non
poteva che essere determinato, come in effetti avvenuto, in base al sistema
previsto dal nuovo ordinamento pensionistico introdotto dal D.Lgs. n.
503/1992 e consolidatosi con la nota legge n. 335 dell’8 agosto 1995, sistema
che ha, infatti, notoriamente previsto come la pensione dovesse essere
determinata in parte secondo il sistema retributivo per l’anzianità maturata
fino al 31 dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per l’anzianità
maturata dal 1° gennaio 1996, ovvero, a partire dal 1993, dalla somma della
“quota A” corrispondente “all’importo relativo alle anzianità contributive
acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data
di decorrenza della pensione secondo” la normativa vigente precedentemente
alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per
quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della
retribuzione pensionabile” e della “quota B” corrispondente “all’importo del
trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a
decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente
decreto”.
Ne consegue che quanto in precedenza dedotto in ordine all’art. 54 non può
che valere per la parte della pensione spettante al G. in quota A, ovverosia
per la parte della pensione calcolata sulla scorta del sistema retributivo, che
deve dunque essere ricalcolata tenendo conto della aliquota di rendimento
prevista dalla norma in rassegna.
La cui applicazione, peraltro, viene anche fatta salva dalla citata disciplina di
riforma del sistema pensionistico, se è vero come è vero che, come sopra
evidenziato, il calcolo della pensione deve essere effettuato secondo le
norme vigenti al momento della entrata in vigore della legge n 335 del 1995.
II. In merito alla richiesta di applicazione del beneficio compensativo di cui
all’articolo 3, comma 7 del decreto legislativo n° 165/1997, con ogni ulteriore
diritto a favore del ricorrente compreso il riconoscimento, la liquidazione e
pagamento degli arretrati, degli interessi e la rivalutazione monetaria come
per legge dal dovuto al soddisfo, il ricorse deve essere invece respinto.
Il ricorrente è cessato dal servizio per inidoneità permanente al servizio
militare e d’istituto con un’età anagrafica di 51 anni 1 mese e 3 giorni ed un
servizio utile a pensione di 35 anni e 7 mesi, quindi, senza aver maturato
nessun requisito espressamente previsto per il collocamento in ausiliaria,
pertanto, nessuna “esclusione ” dalla posizione di ausiliaria o in alternativa ai
benefici dell’articolo 3, comma 7 del D.Lvo 30 aprile 1997, n° 165 può trovare
applicazione nel caso di specie.
L’ art. 3 del DLgs n. 165/1997, in attuazione della delega conferita ai sensi
dell’ art. 1, commi 97, lettera g), e 99, della legge 662/96 (legge finanziaria
1997), ha infatti introdotto rilevanti modifiche alla normativa riguardante la
posizione di ausiliaria, sotto il profilo delle modalità di accesso, dei limiti di
permanenza e dell’importo dell’indennità, prevedendo che in essa possa
essere collocato il personale militare delle Forze Armate, compresa l’Arma dei
Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza giudicato idoneo a seguito di
accertamento sanitario e a tale personale compete, e stabilendo che in
aggiunta al trattamento pensionistico, a detto personale compete un’indennità
pari all’80% della differenza tra la pensione percepita e la retribuzione
spettante al pari grado in servizio.
Ora, i fini del presente giudizio e per risolvere la questione di diritto posta dal
ricorrente, non si può che denotare come, a proposito delle modalità di
accesso, il citato art. 3, comma 1, abbia in buona sostanza escluso dalla
possibilità di poter transitare in ausiliaria il personale militare che sia cessato
dal servizio non per raggiunti limiti di età ma per inidoneità al servizio di
istituto.
Il ricorrente, come detto, è stato dispensato dal servizio attivo per inidoneità,
sicché lo stesso non vantava il requisito soggettivo per il collocamento in
ausiliaria e, dunque, per il conseguimento degli effetti economici per come
preteso in domanda.
Il ricorso va in conclusione parzialmente accolto, mentre per ciò che concerne
le spese, la complessità delle questioni trattate induce a disporne la compensazione integrale tra le parti in causa.
P.Q.M.
La Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Calabria,
ACCOGLIE
Il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, riconosce al ricorrente il diritto alla
riliquidazione della pensione con applicazione dell’aliquota di rendimento di
cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973 sulla parte dell’assegno calcolata con il
sistema retributivo.
Sui maggiori ratei spettano, inoltre, gli interessi nella misura legale e la
rivalutazione monetaria con decorrenza dalla data di scadenza di ciascun
rateo e sino al pagamento.
RESPINGE
Il ricorso per i restanti capi di domanda.