Militare ed incidente “in itinere” Quando spetta l’indennizzo ?

L’incidente in “itinere” ( percorso casa-lavoro e viceversa) in alcuni casi obbliga l’amministrazione a risarcire il militare rimasto ferito, o nella peggiore delle ipotesi, ad indennizzare i familiari superstiti. Nel caso che portiamo alla vostra conoscenza, la vittima è un maresciallo dell’ Aeronautica Militare rimasto ferito in seguito ad un incidente col suo scooter mentre si recava in caserma .

Il militare si è visto negare dall’Amministrazione di appartenenza  il riconoscimento all’indennizzo conseguente alla dipendenza da causa di servizio, richiesto tramite apposita istanza. Di altro parere il Tar Lombardia, che obbliga l’Amministrazione a rivalutare l’accaduto , “invitandola” a consultare sia il verbale della Polizia Municipale, sia eventuali ulteriori atti e documenti utili per ricostruire la dinamica del sinistro o per la valutazione della eventuale responsabilità del ricorrente.

E’ quindi cura dell’ Amministrazione comprendere la reale sussistenza di una relazione causale tra l’incidente stradale e le esigenze di servizio, nonchè l’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’evento dannoso, con la precisazione che il nesso si interrompe ogni qualvolta il danno sia stato determinato dalla condotta del dipendente, che abbia agito con dolo o con colpa grave .

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1641 del 2011, proposto da:
Omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato Enrico Zucchello, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Luigi Anelli, 2;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Milano, via Freguglia, 1;
Aeronautica Militare, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

– del provvedimento del 5 novembre 2010, notificato il 7 marzo 2011, con cui è stata respinta la richiesta di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, dell’infermità sofferta dall’istante in conseguenza di sinistro occorsogli in data 25.05.2005, e conseguentemente respinta, la richiesta di concessione dell’equo indennizzo ad essa correlata, effettuata dal ricorrente;

– nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 aprile 2017 la dott.ssa Concetta Plantamura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. In data 9.11.2005 il Sig. Omissis, Maresciallo di 1^ classe in servizio presso la Direzione Territoriale del Personale del Comando 1^ Regione Area Milano, ha richiesto all’Amministrazione di appartenenza il riconoscimento dell’indennizzo conseguente alla dipendenza da causa di servizio, delle infermità riportate a seguito dell’incidente stradale occorsogli in data 25.05.2005, mentre percorreva la strada che lo conduceva dalla propria dimora al posto di lavoro, a bordo di un motociclo.

2. Con decreto datato 07.03.2011, la domanda del Sig.Omissis è stata respinta, sul presupposto che l’infermità da cui è risultato affetto non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio. Ciò, in conformità al parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio (C.V.C.S.), reso il giorno 11.10.2010, ivi richiamato, dove si specifica che “le circostanze di tempo, di modo e di luogo in cui ebbe a verificarsi l’evento in questione configurano l’ipotesi di grave imprudenza, interruttiva di qualsiasi rapporto di causalità o di concausalità efficiente e determinante con il servizio”.

3. Contro tale rigetto l’esponente ha interposto ricorso, notificato il 5.05.2011 e depositato il successivo 3.06.2011, articolato in tre motivi.

3.1. Con il primo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 58 d.P.R. 3.05.1957 n. 686, nonché, l’eccesso di potere per carenza dei presupposti e di istruttoria.

L’art. 58 citato, spiega la difesa istante, prevede che l’equo indennizzo non possa essere liquidato quando la menomazione dell’integrità fisica sia stata contratta per “dolo o colpa grave” dell’interessato. Ebbene, contrariamente a quanto riportato nel decreto impugnato, nessuna colpa grave può essere riconosciuta al signor Omissis, il quale transitava nella propria corsia, a bordo di un motociclo, ammesso come tale al transito anche nelle corsie preferenziali. Di contro, il veicolo del Sig. Rizzo, in sosta sulla corsia preferenziale, in primo luogo non aveva accesso a tale corsia, indi, non poteva sostarvi, infine ometteva sia, di posizionare idonea segnaletica sulla carreggiata per avvisare del veicolo fermo (triangolo rosso), sia di azionare i dispositivi di segnaletica luminosa, quali frecce e/o lampeggianti. Conclude, quindi, il patrocinio istante, affermando che la responsabilità del grave incidente subito dal ricorrente deve ricondursi al conducente del veicolo in sosta, dovendosi invece riconoscere in capo al signor Omissis la tenuta di una condotta “non grave”. Al momento del sinistro, infatti, spiega meglio la stessa difesa, il sig. Omissis procedeva dietro un autobus del servizio pubblico, il quale riusciva ad evitare il mezzo in sosta, mentre il ricorrente si trovava inaspettatamente il veicolo davanti, perdendo il controllo del motociclo nel tentativo di sterzare. Non considerando tutti questi aspetti, conclude l’istante, il provvedimento impugnato presenta un evidente vizio di motivazione e d’istruttoria, non avendo tenuto adeguatamente conto della condotta colposa del conducente del veicolo, fermo nella corsia preferenziale, contro il quale collideva il motociclo guidato dal Sig. Omissis.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241, nonché l’eccesso di potere per difetto di istruttoria sotto altro profilo.

L’art. 10 bis dispone che prima dell’adozione di un provvedimento negativo siano comunicati agli istanti i motivi ostativi all’accoglimento della domanda.

L’assenza di tale comunicazione non ha permesso al ricorrente di partecipare al procedimento, dove avrebbe potuto sottoporre all’Amministrazione le proprie osservazioni, necessarie a chiarire la reale dinamica dei fatti, come sopra brevemente esposta, per dimostrare la mancanza di colpa grave in capo al ricorrente medesimo.

3.3. Violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241 per motivazione insufficiente. Il provvedimento impugnato è privo di una motivazione idonea a chiarire quali siano i presupposti di fatto dai quali è stata desunta la “grave imprudenza” del Sig. Omissis al momento dell’incidente. Il decreto si riporta infatti integralmente ai motivi addotti dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, il quale, tuttavia, stabilisce solamente che: “le circostanze di tempo, di modo e di luogo in cui ebbe a verificarsi l’evento in questione configurano l’ipotesi di grave imprudenza, interruttiva di qualsiasi rapporto di causalità o di concausalità efficiente e determinante con il servizio”.

Ciò non consente di comprendere come la condotta dell’odierno ricorrente abbia determinato nel Comitato il convincimento di una grave colpa in capo allo stesso nella causazione dell’evento, non essendo la statuizione argomentata in alcun modo.

4. Si è costituito l’intimato Ministero, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie. L’Avvocatura dello Stato valorizza, a difesa della legittimità dell’attività svolta dall’Amministrazione, la competenza esclusiva del Comitato di Verifica sull’accertamento della dipendenza da causa di servizio, l’ampia discrezionalità tecnica sottesa al giudizio del Comitato e il carattere vincolante del suo parere sul punto.

5. All’udienza pubblica del 6 aprile 2017 la causa – presenti in prima chiamata gli avv. E. Zucchello per la parte ricorrente e A. Nicotra per l’Avvocatura dello Stato, che si sono riportati ai rispettivi scritti -, è stata trattenuta in decisione.

6. Il Collegio ritiene di dover trattare congiuntamente il primo e il terzo motivo di ricorso, tra loro connessi e, nei sensi di seguito esposti, fondati.

Giova premettere che, l’incidente stradale subito dal ricorrente, e che gli ha causato l’infermità denunciata, è ascrivibile alla categoria dell’infortunio in itinere, essendo occorso al dipendente per recarsi sul luogo di lavoro.

Secondo la giurisprudenza amministrativa, infatti, il cd. infortunio in itinere del pubblico dipendente, verificatosi nel tragitto dal posto di lavoro alla propria abitazione (e viceversa), può ritenersi dipendente da causa di servizio e deve essere indennizzato, ove sia ravvisabile un nesso di causalità tra l’attività lavorativa in senso ampio e l’evento dannoso (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, parere n. 5563 del 24 dicembre 2012; Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7945).

Nella fattispecie in esame, non è in contestazione il fatto in sé dell’incidente stradale, né che si sia verificato mentre il maresciallo si recava sul posto di lavoro e che ne sia derivata un’infermità, espressamente riconosciuta dalla Commissione medica ospedaliera di Milano, quanto la sussistenza di una relazione causale tra l’incidente stradale e le esigenze di servizio.

Affinché il primo sia indennizzabile, infatti, deve essere certa l’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’evento dannoso, con la precisazione che il nesso si interrompe ogni qualvolta il danno sia stato determinato dalla condotta del dipendente, che abbia agito con dolo o con colpa grave (cfr., C.d.S., sez. IV, 20.1.2006, n. 144; C.G.A., 22.7.2002, n. 421; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, Sent., 28/01/2015, n. 355).

La motivazione del rigetto, qui in contestazione, riposa tutta nel parere del C.V.C.S., poco sopra riportato, dove, con formula stereotipata, si afferma l’efficacia interruttiva del nesso di causalità, occorrente per il riconoscimento della dipendenza da servizio dell’infermità, nella grave imprudenza commessa dall’istante.

Sul punto, preme tuttavia evidenziare come, dalla lettura del parere, cui rinvia la motivazione del diniego, non sia dato comprendere in concreto quali siano le regole violate dall’istante, sì da imporre una qualificazione della sua condotta in termini tali da integrare quella “colpa grave” che, ai sensi dell’art. 58 del d.P.R. n. 686/1957, impedisce il riconoscimento del beneficio in parola

(cfr. T.a.r. Abruzzo, Pescara, I, 24.10.2014, n. 428, che sottolinea l’insufficienza di un’apodittica affermazione di “grave imprudenza” a impedire il riconoscimento della causa di servizio per un infortunio in itinere, “senza un accertamento dei fatti”; analogamente, T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, Sent., 09/09/2015, n. 2669).

Dalla “relazione incidente stradale” redatta dalla Polizia Municipale, accorsa sul luogo dell’incidente (all. sub 3 della documentazione di parte ricorrente), da un lato, non risulta che sia stata elevata alcuna contravvenzione in occasione del sinistro e, dall’altro, si usa una formula alquanto dubitativa in ordine alle possibili cause dell’incidente (ivi, infatti, si legge che: “E’ da ritenere verosimile che il motociclista, nella fase antecedente la caduta, abbia manovrato nel sorpasso a destra di un autobus filoviario che, dalla propria corsia specializzata si era spostato da destra verso sinistra per evitare l’ingombro dovuto al veicolo B fermo in detta corsia”).

Nulla è detto, quindi, sulle violazioni del codice della strada eventualmente commesse dall’istante, né sulla rilevanza concausale che, nella dinamica dell’incidente in parola, potrebbe essere ascritta alle condotte di terzi.

Al riguardo, preme ricordare come la giurisprudenza abbia condivisibilmente affermato, in più occasioni, che, in mancanza di elementi concreti, chi richiede il riconoscimento della causa di servizio non può essere “onerato della prova di un fatto in realtà negativo in quanto attinente all’assenza di cause dimostrative della sua negligenza” (così, in motivazione, C.d.S., VI, 17 gennaio 2008, n. 104; id. T.A.R. Trento, sentenza 17 dicembre 2013, n. 412).

Sussiste, dunque, l’onere in capo all’Amministrazione di indicare le specifiche circostanze da porre a fondamento della rimproverabilità della condotta dell’istante, onde evidenziarne l’efficacia interruttiva del nesso di causalità (cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, 20.04.2016, n. 431; Cons. St., sez. VI, 01.02.2010, n. 398, che tra l’altro chiarisce come, per ritenere sussistente la colpa grave, non basti neppure accertare la violazione di una norma, occorrendo che il comportamento sia così imprudente da rendere ampiamente prevedibile l’evento dannoso).

Nella fattispecie in esame, tale onere non risulta essere stato assolto da parte dell’Amministrazione, dando così fondamento alle censure di eccesso di potere per difetto di motivazione, come sopra dedotte sub nn. 3.1 e 3.3.

7. Conseguentemente, assorbite le censure non espressamente scrutinate, il ricorso va accolto, nei sensi di cui in motivazione, con conseguente annullamento del decreto impugnato e obbligo della P.A. di rinnovare il procedimento entro centoventi giorni dalla comunicazione ovvero dalla notificazione della presente decisione, alle cui statuizioni l’Amministrazione resistente dovrà puntualmente conformarsi, tenendo in precipua considerazione il verbale della Polizia Municipale, oltre ad eventuali ulteriori atti e documenti utili per ricostruire la dinamica del sinistro e per la valutazione della eventuale responsabilità del ricorrente.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il decreto con esso impugnato.

Condanna il Ministero resistente a rifondere le spese di lite al ricorrente, che liquida in euro 2.000,00, oltre I.V.A. e C.P.A.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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