Il T.a.r. per la Lombardia aveva accolto, con l’onere delle spese, il ricorso di un caporalmaggiore scelto in s.p.e. dell’Esercito Italiano in servizio presso il Reggimento di supporto tattico e logistico ubicato in Solbiate Olona (Varese) con l’incarico tabellare di “fuciliere”, avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di trasferimento in Palermo ai sensi dell’art. 42-bis d.lgs. n. 151 del 2001.
Il T.a.r. ha, in particolare, sostenuto che la motivazione addotta dall’Amministrazione (“carenze di organico presso la sede richiesta ove il ricorrente non potrebbe essere collocato come <<fuciliere>>”) non veicolerebbe le “ragioni eccezionali” richieste dalla norma nel testo ratione temporis vigente, posto che “il ricorrente in relazione al grado rivestito svolge ordinari compiti di servizi fungibili con qualunque altro militare di pari qualifica senza ricoprire, quindi, alcun ruolo particolare nell’organigramma di servizio, anche nella sede di destinazione”.
1.2. Il T.a.r. ha, inoltre, aggiunto che “ben potrebbe l’amministrazione sopperire alla carenza di un militare con mansioni ordinarie mediante altri istituti e ben potendo assegnare il ricorrente nella sede di destinazione a mansioni equivalenti o analoghe a quelle proprie della qualifica rivestita”.
1.3. Peraltro, il T.a.r. aveva già, in sede cautelare, accolto le prospettazioni del militare, disponendone, con apposita ordinanza , “l’assegnazione temporanea” a Palermo.
L’Amministrazione ha interposto appello, sostenendo che:
– “il principio di diritto di equivalenza delle mansioni su cui il TAR sostanzialmente fonda il proprio convincimento è un criterio superato da recente giurisprudenza del Consiglio di Stato”;
– l’art. 42-bis d.lgs. n. 151 del 2001 non attribuirebbe al singolo militare un diritto soggettivo;
– l’impiego del personale militare secondo il rispettivo profilo professionale discenderebbe dalla struttura ordinativa dell’Esercito, in cui la suddivisione rigida per gradi e relativi incarichi non sarebbe fine a sé stessa, ma sarebbe elemento imprescindibile affinché possa essere garantito l’assolvimento pronto e puntuale dei compiti istituzionali.
L’Amministrazione ha, pertanto, chiesto l’integrale riforma della sentenza impugnata, anche per quanto attiene al regolamento delle spese di lite ivi disposto.
Il militare, nonostante la ritualità della notifica, non si è costituito in giudizio.
Con ordinanza n. 2220 del 24 aprile 2020 l’istanza cautelare formulata dall’Amministrazione è stata respinta per difetto di periculum.
In vista della trattazione nel merito non sono state versate in atti difese scritte.
Il ricorso è stato introitato in decisione alla pubblica udienza del giorno 12 novembre 2020, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, e deliberato in pari data in video-conferenza, ai sensi della medesima disposizione.
L’appello dell’Amministrazione è fondato.
Il Collegio osserva che, ai sensi del testo dell’art. 42-bis d.lgs. n. 151 del 2001 vigente ratione temporis, il dipendente di Amministrazioni pubbliche – non è contestato, nel ricorso in appello, che in tale locuzione siano da ricomprendere anche le Forze Armate – con figli minori fino a tre anni di età può richiedere l’assegnazione temporanea presso “una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa”:
tale istanza è subordinata tanto “alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva” presso la sede anelata, quanto al “previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione”.
L’eventuale dissenso dell’Amministrazione “deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali”.
A fini di completezza, il Collegio osserva che, all’epoca dell’emanazione dell’atto impugnato, non era ancora vigente l’art. 45, comma 31-bis, d.lgs. n. 95 del 2017, introdotto dal d.lgs. n. 172 del 2019, ai sensi del quale, “al fine di assicurare la piena funzionalità delle amministrazioni di cui al presente decreto legislativo [ossia le Forze di polizia], le disposizioni di cui all’articolo 42-bis, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, si applicano esclusivamente in caso di istanza di assegnazione presso uffici della stessa Forza di polizia di appartenenza del richiedente, ovvero, per gli appartenenti all’Amministrazione della difesa, presso uffici della medesima.
Il diniego è consentito per motivate esigenze organiche o di servizio”.
La novella in parola, peraltro, sarebbe stata comunque inconferente, posto che riguarda il solo personale delle Forze di polizia (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria) e non anche il personale di Esercito, Marina ed Aeronautica.
Ciò posto, il Collegio conferma le argomentazioni svolte in nuce nella citata ordinanza n. 4313 del 14 settembre 2018.
Valgano, in proposito, le seguenti considerazioni.
In primo luogo, la disposizione in commento non coagula in capo al dipendente pubblico un diritto soggettivo, ma un interesse legittimo pretensivo.
L’aspirazione all’assegnazione temporanea ad altra sede, infatti, è subordinata:
– alla disponibilità, nella sede richiesta, di “un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva”;
– all’accordo tra le Amministrazioni interessate, ove il movimento abbia una dimensione intersoggettiva, ossia coinvolga diverse Amministrazioni.
Pur in presenza di tali condizioni, inoltre, l’assegnazione può comunque essere motivatamente negata in presenza di “casi o esigenze eccezionali”.
L’istituto de quo, dunque, vive in una dimensione “norma – potere – effetto”, tipica delle norme di azione, in cui il soddisfacimento della pretesa del privato passa necessariamente attraverso l’esercizio del potere amministrativo.
Ciò premesso, il Collegio osserva che questa Sezione, con la sentenza n. 987 del 16 febbraio 2018, inerente al similare istituto del trasferimento ex art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, ha precisato che “il militare deve trovare utile collocazione organica, nell’ambito della sede chiesta, in ragione dell’incarico posseduto; in sostanza, se il militare è stato formato per svolgere un determinato incarico . . . l’istanza potrà essere accolta solo nella sede chiesta può essere impiegabile in ragione della formazione ricevuta e dell’esperienza posseduta”.
La Sezione ha, quindi, già affermato in termini generali il principio, cui in questa sede si presta piena adesione, secondo cui nell’ambito dell’impiego militare la verifica circa la “sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva” va effettuata non in riferimento genericamente al grado, ma alla specifica funzione svolta dal richiedente: si deve, in sostanza, aver riguardo alle specifiche mansioni affidate all’interessato, pena l’indebito stravolgimento del funzionamento dell’organizzazione militare, fondata su una rigida distinzione di ruoli, compiti e funzioni tra il personale.
Tale esegesi, del resto, è conforme al principio di specialità ordinamentale riveniente dall’art. 1493 d.lgs. n. 66 del 2010.
Le mansioni cui fare riferimento, inoltre, sono quelle formalmente assegnate dall’Amministrazione, non quelle di fatto ed occasionalmente disimpegnate dall’interessato: nel caso di specie, peraltro, l’affermazione dell’appellato secondo cui non sarebbe mai stato in concreto impiegato come fuciliere non solo non è in alcun modo comprovata, ma è documentalmente smentita dalla documentazione caratteristica versata in atti in prime cure (peraltro ad opera del medesimo appellato), ove si indica che l’incarico da lui ricoperto presso il Reparto di assegnazione è stato quello di “fuciliere”.
In proposito, la citata sentenza n. 987 ha significativamente precisato che non assumono “rilevanza, ai fini della comparazione, eventuali compiti che il militare assume di svolgere <<in fatto>> presso la sede di appartenenza, in quanto, nell’ambito del pubblico impiego – e in particolar modo per il personale in regime di diritto pubblico – ciò che occorre considerare è la posizione attribuita al dipendente in base ad atti formali”.
Assodato tale dato, il Collegio osserva che l’interessato non ha contestato l’affermazione dell’Amministrazione, secondo cui in Palermo, sede da lui richiesta, non vi sarebbero posizioni vacanti di “fuciliere”: alla luce delle considerazioni svolte supra, ciò è ex se sufficiente a determinare, in accoglimento del ricorso in appello, la reiezione del ricorso di primo grado, difettando la prima condizione cui la disposizione invocata subordina l’effettuazione del movimento.
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