Documentazione medica necessaria per fruire della flessibilità del congedo di maternità e per astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto. Indicazioni operative
Con la circolare n° 106 del 29-09-2022 l’Inps ha emanato uove indicazioni operative in materia di attestazioni sanitarie per la flessibilità e per l’opzione di fruizione della maternità esclusivamente dopo la data del parto
L’articolo 12, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53, introducendo il comma 4-bis all’articolo 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1024, ha previsto la facoltà, per le lavoratrici dipendenti, di utilizzare il congedo di maternità in forma flessibile, posticipando un mese dell’astensione prima del parto (l’ottavo mese di gravidanza) al periodo successivo al parto.
Con la circolare n. 43 del 7 luglio 2000, il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale ha fornito indicazioni sulle modalità di esercizio della facoltà di fruizione del congedo di maternità in forma flessibile, disponendo, tra le altre, che: “La lavoratrice che intende avvalersi dell’opzione in discorso deve presentare apposita domanda al datore di lavoro e all’ente erogatore dell’indennità di maternità, corredata della o delle certificazioni sanitarie di cui sopra, acquisite nel corso del settimo mese di gravidanza”.
Con la circolare n. 152 del 4 settembre 2000, l’Istituto ha fornito indicazioni operative in conformità con le disposizioni contenute nella citata circolare n. 43/2000 del Ministero del Lavoro e della previdenza sociale precisando che: “La lavoratrice che intende usufruire della flessibilità dell’astensione obbligatoria dovrà presentare domanda […], corredata della certificazione dello specialista ginecologo del S.S.N. o con esso convenzionato, redatta secondo le indicazioni riportate nella circolare ministeriale, nonché della certificazione del competente medico dell’azienda, qualora obbligatoriamente presente ai sensi del D.Lgs. n. 626/94”.
Successivamente, il 27 aprile 2001 è entrato in vigore il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, recante “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, il cui articolo 20, rubricato “Flessibilità del congedo di maternità (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4-bis; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 12, comma 2)”, contiene le stesse disposizioni normative del menzionato articolo 12 della legge n. 53/2000.
L’Istituto, pertanto, ha dato attuazione a quanto contenuto nella menzionata circolare ministeriale n. 43/2000, prevedendo, nelle domande di congedo di maternità, la possibilità di esercitare la flessibilità (con indicazione dei giorni di flessibilità di cui la lavoratrice vuole fruire) e verificando, in fase istruttoria, che la documentazione sanitaria fosse conforme alle disposizioni presenti nella stessa circolare ministeriale, ossia redatta da un medico del Servizio sanitario nazionale (o con esso convenzionato) e nel corso del settimo mese di gravidanza.
L’Istituto, inoltre, con il messaggio n. 13279 del 25 maggio 2007, ha precisato che le attestazioni sanitarie di cui al menzionato articolo 20, che non siano state redatte nel corso del settimo mese di gravidanza, non consentono di continuare l’attività lavorativa per i giorni dell’ottavo mese successivi alla data di rilascio delle attestazioni, comportando l’integrale respinta dell’opzione di flessibilità , con conseguente calcolo del periodo di maternità secondo le “ordinarie” modalità, ossia due mesi prima della data presunta del parto e tre mesi dopo la data effettiva.
Sul punto si è espressa la Suprema Corte di Cassazione – Sezione lavoro, con la sentenza n. 10180/2013 che, nell’interpretare le disposizioni del decreto legislativo n. 151/2001, ha chiarito che: “Se accade […] che il certificato venga presentato oltre il settimo mese e la lavoratrice abbia continuato a lavorare, il datore di lavoro, salve le sue eventuali responsabilità di natura penale, dovrà corrisponderle la retribuzione e quindi l’INPS non corrisponderà la indennità di maternità per l’ottavo mese di gravidanza. Se la certificazione viene nelle more acquisita, la lavoratrice che aveva continuato a lavorare nell’ottavo mese usufruirà dell’astensione fino al quarto mese successivo alla nascita, percependo dall’INPS la relativa indennità. Il periodo complessivo di cinque mesi non è disponibile. La mancata presentazione preventiva delle certificazioni comporta che il lavoro nell’ottavo mese è in violazione del divieto di legge con le conseguenze previste nel testo unico, ma non comporta conseguenze sulla misura della indennità di maternità”.
Tale pronuncia chiarisce che gli aspetti connessi alla verifica della documentazione sanitaria non devono incidere sugli aspetti indennitari della maternità, di competenza dell’Istituto, ma solo sulle eventuali responsabilità del datore di lavoro, con le conseguenze previste nel menzionato decreto legislativo n. 151/2001.
Invero, l’articolo 20 del citato decreto legislativo, nel disporre che: “Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”, non prevede l’esplicito obbligo di produrre le certificazioni all’Istituto erogatore dell’indennità (come, ad esempio, nel successivo articolo 21) lasciando, quindi, la relativa verifica alle Regioni, e per esse al Servizio sanitario nazionale, come previsto nell’articolo 77 dello stesso testo normativo.
L’articolo 1, comma 485, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, ha inserito il comma 1.1 all’articolo 16 del decreto legislativo n. 151/2001, riconoscendo alle lavoratrici, in alternativa a quanto disposto dal comma 1 dello stesso articolo 16, la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto, entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
Considerato che il suddetto comma 1.1 ricalca le medesime condizioni richieste dall’articolo 20 per la fruizione della flessibilità del congedo di maternità, l’Istituto, con la circolare n. 148 del 12 dicembre 2019, relativamente alla documentazione medica da produrre ha fornito indicazioni operative analoghe a quelle contenute nelle menzionate circolari n. 43/2000 del Ministero del Lavoro e della previdenza sociale e n. 152/2000.
Tutto ciò premesso, al fine di contrastare il crescente aumento dei ricorsi amministrativi e in alcuni casi anche giurisdizionali, nei quali è richiamata sempre più spesso la menzionata pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, e al fine di garantire un’applicazione delle norme maggiormente aderente all’attuale contesto lavorativo sempre più orientato verso forme di flessibilità, nonché a favorire la maggiore tutela delle lavoratrici madri, con la presente circolare si precisa che l’assenza o l’acquisizione non conforme al dettato normativo delle certificazioni sanitarie di cui trattasi, non comporta conseguenze sulla misura dell’indennità di maternità. Pertanto, la documentazione sanitaria di cui agli articoli 16, comma 1.1, e 20 del decreto legislativo n. 151/2001, non deve più essere prodotta all’Istituto, ma solamente ai propri datori di lavoro/committenti.
Le indicazioni contenute nella presente circolare si applicano a tutte le lavoratrici dipendenti da datori di lavoro del settore privato, nonché alle lavoratrici iscritte alla Gestione separata, di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che vogliano astenersi dall’attività lavorativa avvalendosi della flessibilità del congedo di maternità oppure interamente dopo il parto.
Su conforme parere ministeriale, il nuovo orientamento deve essere adottato anche con riferimento alle domande già presentate e in fase istruttoria, oltre a interessare, su richiesta da parte della lavoratrice interessata, in via di autotutela, salvo intervenuta prescrizione, le domande eventualmente definite in maniera difforme al medesimo predetto orientamento. Con riferimento ai ricorsi amministrativi e ai giudizi in corso, le Strutture territoriali porranno in essere, in autotutela, le attività necessarie per la cessazione della materia del contendere.
2. Flessibilità del congedo di maternità
Per potere fruire della flessibilità del congedo di maternità di cui all’articolo 20 del decreto legislativo n. 151/2001, le lavoratrici dipendenti devono acquisire nel corso del settimo mese di gravidanza (e, quindi, prima dell’inizio dell’ottavo mese) le certificazioni sanitarie attestanti che la prosecuzione dell’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. Il menzionato articolo 20 prevede che tali certificazioni siano rilasciate da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o da un medico con esso convenzionato, nonché, ove previsto, dal medico aziendale.
Acquisite, quindi, le predette certificazioni, le lavoratrici devono presentarle al proprio datore di lavoro prima dell’inizio dell’ottavo mese di gravidanza affinché lo stesso possa legittimamente consentire la prosecuzione dell’attività lavorativa nell’ottavo mese, in deroga al generale divieto di adibire le donne al lavoro durante i due mesi prima della data presunta del parto, disposto dall’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 151/2001.
Le menzionate certificazioni sanitarie non devono più essere prodotte all’INPS, essendo sufficiente dichiarare nella domanda telematica di congedo di maternità di volersi avvalere della flessibilità, indicando il numero dei giorni di flessibilità. Non è altresì più necessario produrre all’INPS la dichiarazione del datore di lavoro relativa alla non obbligatorietà della figura del medico responsabile della sorveglianza sanitaria sul lavoro.
Si rammenta che il certificato telematico di gravidanza, di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 151/2001, deve essere, comunque, trasmesso all’INPS da un medico del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato, attraverso lo specifico canale telematico (cfr. la circolare n. 82 del 4 maggio 2017).
Restano valide, pertanto, le disposizioni contenute nella citata circolare n. 43/2000 del Ministero del Lavoro e della previdenza sociale, che continuano a disciplinare le modalità con cui esercitare la flessibilità secondo le indicazioni di legge, con la sola precisazione di non dovere più consegnare all’INPS le suddette certificazioni sanitarie per potere ottenere l’indennità di maternità.
Sono, invece, superate le indicazioni contenute nel messaggio n. 13279/2007.
L’Istituto continua a effettuare i consueti controlli sul diritto delle lavoratrici a percepire l’indennità di maternità e, in caso di flessibilità, verifica:
1) che la data di inizio del congedo di maternità, comunicata dalla lavoratrice nella domanda telematica di congedo di maternità, sia all’interno dell’arco temporale dell’ottavo mese di gravidanza[1];
2) l’assenza di un periodo di malattia durante il periodo di flessibilità del congedo di maternità[2];
3) l’assenza di un provvedimento di interdizione anticipata per gravidanza a rischio (articolo 17, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 151/2001) o, in caso di sussistenza del provvedimento, la cessazione dell’interdizione in data antecedente l’inizio dell’ottavo mese di gravidanza[3];
4) l’assenza di un provvedimento di interdizione anticipata per mansioni o per condizioni di lavoro e ambientali pregiudizievoli (articolo 17, comma 2, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 151/2001);
5) l’effettiva astensione dal lavoro durante i cinque mesi di maternità con flessibilità al fine del riconoscimento dell’indennità. Infatti, posto che l’opzione della flessibilità non deve comportare conseguenze sulla misura dell’indennità, che deve, comunque, essere di cinque mesi (un mese prima della data presunta del parto e quattro mesi dopo lo stesso, anziché due mesi prima e tre mesi dopo), ciò non altera il principio generale che durante i cinque mesi, comunque articolati, la lavoratrice dipendente non possa essere adibita al lavoro.
Si ricorda, infatti, che l’indennità di maternità ha la funzione di sostituire il reddito non percepito dalla lavoratrice durante il congedo di maternità. Pertanto, lo svolgimento di periodi di lavoro, nell’ultimo mese di gravidanza o nei quattro mesi successivi al parto, comporta un’indebita permanenza al lavoro durante il periodo di maternità e l’Istituto non può corrispondere la relativa indennità per le giornate di permanenza al lavoro vietato (cfr. l’art. 22 del D.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026).
Le presenti indicazioni, a eccezione della verifica di cui al punto 5), valgono anche per le lavoratrici iscritte alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge n. 335/1995, con le seguenti precisazioni:
- la malattia insorta durante l’ottavo mese di gravidanza determina l’inizio del periodo di maternità in quanto, come per le lavoratrici dipendenti, anche per le lavoratrici iscritte alla Gestione separata che vogliano astenersi dall’attività lavorativa, si presume superato il giudizio medico precedentemente espresso nell’attestazione che la lavoratrice gestante ha prodotto al proprio committente, e i giorni lavorati si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto. Ne consegue che il certificato di malattia non produrrà alcun effetto ai fini della tutela previdenziale della malattia, mentre rimangono confermati gli effetti giuridici e medico-legali dello stesso;
- considerato che l’obbligo di astensione sussiste durante i periodi di interdizione anticipata o prorogata disposti dall’Azienda Sanitaria Locale (ASL) o dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 151/2001, l’Istituto, in presenza delle condizioni di legge per l’accesso alla tutela della maternità/paternità, provvede a erogare la relativa indennità sia per i periodi oggetto di interdizione, per i quali è necessaria l’effettiva astensione lavorativa, sia per i periodi di maternità comunicati dalla lavoratrice (purché rientranti nell’arco temporale previsto per legge), per i quali, invece, non è necessaria l’effettiva astensione lavorativa.
3. Astensione dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso
L’articolo 16, comma 1.1, del decreto legislativo n. 151/2001, introdotto dall’articolo 1, comma 485, della legge n. 145/2018, dispone che, in alternativa alla modalità “ordinaria” di fruizione del congedo di maternità, è riconosciuta alle lavoratrici “la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”.
Con la circolare n. 148/2019, l’Istituto ha fornito indicazioni operative su come esercitare tale facoltà. Nello specifico, al paragrafo 1.1 della circolare, sono presenti le indicazioni relative alla documentazione sanitaria da acquisire a opera della lavoratrice per potere legittimamente proseguire l’attività lavorativa fino alla data presunta del parto ovvero fino all’evento del parto.
A tale proposito, per le ragioni sopra esposte e diversamente da quanto rappresentato nell’ultimo capoverso del paragrafo 1.1 della circolare n. 148/2019, si precisa che le predette attestazioni mediche non devono più essere prodotte all’INPS,ma solamente al proprio datore di lavoro prima dell’inizio dell’ottavo mese di gravidanza.
Restano, pertanto, valide le indicazioni contenute nel menzionato paragrafo 1.1 della circolare n. 148/2019 relative:
- all’individuazione dei medici competenti al rilascio delle attestazioni previste per legge, ossia il medico specialista del Servizio sanitario nazionale (o con esso convenzionato) e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro (se previsto);
- alla tempistica di acquisizione da parte della lavoratrice delle attestazioni mediche, ossia nel corso del settimo mese di gravidanza. In caso di precedente fruizione della flessibilità del congedo di maternità, l’acquisizione delle attestazioni mediche può avvenire anche entro la fine dell’ottavo mese di gestazione;
- alla chiara individuazione, nell’attestazione, del termine fino a cui è possibile prestare attività lavorativa senza pregiudizio per la salute della lavoratrice e del nascituro (ossia fino alla data presunta del parto oppure fino alla data effettiva del parto).
Resta fermo, per le gestanti, l’obbligo di trasmissione all’INPS del certificato telematico di gravidanza, di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 151/2001, da parte di un medico del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato, attraverso lo specifico canale telematico (cfr. la circolare n. 82/2017).
Ne consegue che le lavoratrici continuano a dover presentare domanda telematica di congedo di maternità all’INPS, secondo le consuete modalità, dichiarando in domanda di volere fruire della maternità esclusivamente dopo il parto e indicando se il termine contenuto nell’attestazione medica è fino alla data presunta del parto, o fino alla data del parto, ma senza allegare le relative attestazioni mediche.
L’Istituto continua a effettuare i consueti controlli sul diritto delle lavoratrici a percepire l’indennità di maternità e, in caso di fruizione esclusiva dopo il parto verifica:
1) che la data di inizio del congedo di maternità comunicata dalla lavoratrice coincida con la data presunta del parto o con la data effettiva del parto, oppure, qualora non coincida con nessuno dei predetti eventi, che la data ricada all’interno del periodo di ante partum,da cui decorrono i cinque mesi di congedo di maternità;
2) l’assenza di un periodo di malattia nel periodo tra l’inizio dell’ottavo mese di gestazione e la data di inizio del congedo di maternità fruito esclusivamente dopo il parto;
3) l’assenza di un provvedimento di interdizione anticipata per gravidanza a rischio (articolo 17, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 151/2001) o, in caso di sussistenza del provvedimento, la cessazione dell’interdizione in data antecedente l’inizio dell’ottavo mese di gravidanza;
4) l’assenza di un provvedimento di interdizione anticipata per mansioni o per condizioni di lavoro e ambientali pregiudizievoli (articolo 17, comma 2, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 151/2001);
5) l’effettiva astensione dal lavoro durante i cinque mesi di maternità fruiti esclusivamente dopo l’evento del parto al fine del riconoscimento dell’indennità. Infatti, posto che l’opzione dei cinque mesi dopo il parto non deve comportare conseguenze sulla misura dell’indennità, che deve comunque essere di cinque mesi,ciò non altera il principio generale che durante i cinque mesi, comunque articolati, la lavoratrice dipendente non possa essere adibita al lavoro.Si ricorda, infatti, che l’indennità di maternità ha la funzione di sostituire il reddito non percepito dalla lavoratrice durante il congedo di maternità. Pertanto, lo svolgimento di periodo di lavoro, durante i cinque mesi di congedo fruiti esclusivamente dopo l’evento del parto, comporta un’indebita permanenza al lavoro durante il periodo di maternità e l’Istituto non può corrispondere la relativa indennità per le giornate di permanenza al lavoro vietato (cfr. l’articolo 22 del D.P.R. n. 1026/1976).
Si specifica che, nel caso di intervenuta malattia prima dell’evento del parto (o della data presunta dello stesso), l’inizio del congedo di maternità coincide con l’inizio della malattia e i giorni di ante partum lavorati si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto.
In caso di rinuncia volontaria della facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto, la comunicazione deve essere tempestivamente effettuata all’Istituto per consentire dalla data della rinuncia la decorrenza del congedo di maternità e i periodi ante partum lavorati si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto. Pertanto, alla luce delle considerazioni espresse dalla Suprema Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 10180/2013, secondo cui “il periodo complessivo di cinque mesi non è disponibile”, le indicazioni contenute nel paragrafo 1.8 della circolare n. 148/2019 devono ritenersi superate.
Restano, invece, valide le indicazioni contenute nella medesima circolare n. 148/2019 relative al parto “fortemente” prematuro (paragrafo 1.2), al rinvio e alla sospensione del congedo di maternità (paragrafo 1.3), alla flessibilità nell’ambito della fruizione del congedo esclusivamente dopo il parto (paragrafo 1.4, ad eccezione delle indicazioni sull’obbligo di produrre all’INPS le attestazioni sanitarie), all’interdizione anticipata e prorogata (paragrafo 1.5), al prolungamento del diritto alla corresponsione dell’indennità di maternità (paragrafo 1.6), alla malattia (paragrafo 1.7), al lavoro a tempo parziale (paragrafo 1.9, ad eccezione delle indicazioni sull’obbligo di produrre all’INPS le attestazioni sanitarie) e al congedo di paternità di cui all’articolo 28 del decreto legislativo n. 151/2001 (paragrafo 1.10).
L’INPS provvede, quindi, a erogare l’indennità di maternità secondo le consuete modalità a conguaglio o a pagamento diretto previste nell’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33.
Per quanto riguarda, invece, le lavoratrici iscritte alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge n. 335/1995, che vogliano astenersi dall’attività lavorativa, si rinvia alle indicazioni contenute nel paragrafo 2 della circolare n. 148/2019, che già prevedono le modalità di fruizione del congedo esclusivamente dopo la data del parto, senza produzione delle attestazioni mediche all’INPS ma al solo committente.