Il caso che vi proponiamo oggi riguarda un militare di leva colpito al volto in modo accidentale da un proiettile esploso da un commilitone, ma la Cassazione respingendo il ricorso del Ministero della Difesa, ha chiarito quali sono i “requisiti” per ottenere questo tipo di riconoscimento dallo Stato.
La Corte d’appello di Milano aveva riconosciuto a L.L. il diritto di ottenere i benefici previsti per le vittime del dovere di cui all’art. 1, comma 564, I. n. 266/2005 e condannato il Ministero all’erogazione delle relative prestazioni assistenziali.
L’ increscioso episodio avvenne nel lontano 1973, quando L.L. , militare di leva artigliere, mentre espletava col proprio plotone un servizio di guardia ad un deposito di esplosivi, veniva attinto in pieno volto da un colpo accidentalmente esploso dall’arma da fuoco di un commilitone.
Secondo la Corte l’evento lesivo si era verificato nell’ambito di una operazione di vigilanza armata (di una polveriera) a cui il militare era stato comandato.
Avverso tale sentenza il Ministero della Difesa ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso l’ormai ex militare.
Secondo il Ministero della Difesa la lesione derivante da un colpo d’arma da fuoco accidentalmente partito dal fucile di un commilitone era un evento eccezionale dovuto all’imperizia del militare in servizio, come tale idoneo a interrompere il nesso causale tra l’attività di vigilanza armata dell’infrastruttura militare e la lesione subita.
Secondo la Cassazione , il motivo è infondato;
l’art. 1, comma 563, della legge 266/05 stabilisce: “Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o i nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi:
a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità;
b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;
c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari;
d) in operazioni di soccorso;
e) in attività di tutela della pubblica incolumità;
f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità”.
Il legislatore – sostengono gli ermellini – ha individuato nell’art. 1, comma 563 talune attività ritenute pericolose e che, se hanno comportato l’insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire i benefici previsti per le vittime del dovere (in tal senso Cass. n. 24592 del 2018);
Questa Corte, in relazione a fattispecie in tutto sovrapponibili a quella in esame (ad esempio, agente della polizia penitenziaria deceduto a seguito d’un colpo di arma da fuoco accidentalmente esploso mentre era in servizio di guardia presso un istituto penitenziario, così Cass., S.U. n. 10792 del 2016), ha ritenuto applicabile il comma 563, punto c), dell’art. 1 cit. relativo agli eventi verificatisi “nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari”; ha precisato che tale comma 563, a differenza dal comma successivo, non prevede come necessario il ricorrere d’un rischio specifico diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando anche soltanto che l’evento dannoso si sia verificato – fra gli altri casi – “nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari” (cfr. nello stesso senso Cass., S.U. n. 10791 del 2016), il che significa durante l’attività di vigilanza e quindi in occasione della stessa.
Posto che la disposizione in esame richiede unicamente che le lesioni siano conseguenti ad eventi verificatisi temporalmente nel corso dell’attività di vigilanza ad infrastrutture civili e militari ed in connessione con essa, deve escludersi che la condotta colposa di terzi (nel caso di specie un colpo d’arma da fuoco accidentalmente partito dal fucile di un commilitone), comunque posta in essere nell’esecuzione dell’attività di vigilanza, possa far venir meno i requisiti anzidetti.
Da ciò – concludono i giudici -discende il rigetto del ricorso con conseguente condanna del Ministero ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
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