Un carabiniere viene privato dell’ arma e dei proiettili d’ordinanza, in seguito viene sospeso dal servizio. Il provvedimento viene intrapreso in seguito alla denuncia della moglie che descrive quell’uomo come uno stalker.
Qualcosa però non quadra e la vicenda finisce nelle aule dei tribunali. L’ Appuntato Scelto dell’Arma dei Carabinieri, impugna i provvedimenti con cui l’Amministrazione, tenuto conto del rapporto conflittuale con la ex moglie, lo ha dapprima ammonito a tenere, nei confronti della stessa, una condotta conforme alla legge (provvedimento del Questore impugnato con ricorso gerarchico respinto con provvedimento della Prefettura ), poi gli ha fatto divieto di detenere armi e munizioni, ordinandone l’immediato ritiro (provvedimento emesso dalla Prefettura ) e successivamente lo ha sospeso dal servizio (provvedimento del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri ).
In seguito al diniego del Tribunale per ottenere la concessione di misure cautelari, il militare si è rivolto al Consiglio di Stato che invece ha accolto la richiesta.
Secondo i giudici, nell’istruttoria che è sfociata nel provvedimento di sospensione, si ravvisano plurimi elementi di incertezza . In particolare emerge l’assenza del contraddittorio e le accuse sono esclusivamente fondate sulle dichiarazioni della moglie . Non vi è un accettabile grado di probabilità che si trattasse di conflittualità coniugale che non attingeva la soglia della persecuzione.
Sussistono quindi – continuano i giudici – i presupposti per l’accoglimento della domanda cautelare limitatamente al decreto di ammonimento e alla determina di sospensione cautelare dall’impiego, occorrendo a tal ultimo riguardo che il Comando generale dei Carabinieri riesamini la posizione dell’interessato ai fini della prosecuzione dell’impiego in servizi che non richiedano la legittimazione all’uso delle armi.
L’appuntato Scelto , all’esito del pronunciamento cautelare del Consiglio di Stato, viene riammesso in servizio, ma senza armi. Si finisce quindi al Tar Marche. Alla pubblica udienza del 6 febbraio 2019 la causa, sulle conclusioni delle parti, è stata posta in decisione.
Il Collegio rileva subito che l’ordinanza della terza sezione del Consiglio di Stato non risulta essere stata compiutamente ottemperata dall’Amministrazione. Non risulta che l’Amministrazione abbia posto in essere il riesame nel senso indicato dal giudice di appello, dal momento che il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri si è limitato a sospendere gli effetti del proprio provvedimento in attesa della presente decisione e a riammettere in servizio l’interessato nelle more della decisione medesima, mentre, la Questura e la Prefettura hanno solo prodotto memorie e documenti ad ulteriore sostegno del loro precedente operato.
Questo giudice – si legge nella sentenza – pertanto, non può che ribadire quanto già evidenziato dal Consiglio di Stato nel proprio pronunciamento cautelare in ordine alla sussistenza di elementi di incertezza nell’istruttoria.
Nel procedimento all’esame, infatti, il coinvolgimento del soggetto da ammonire non deve essere soltanto formale, ma deve permettere al presunto stalker di apprestare tutte le sue difese, mediante una partecipazione proficua ed equamente bilanciata, quantitativamente e qualitativamente, con le accuse mosse dalla presunta vittima, anche nell’osservanza del principio di imparzialità dell’azione amministrativa.
Di conseguenza, il Questore deve formare il proprio convincimento sulla sussistenza della pericolosità sociale del presunto stalker mediante l’esame dei fatti narrati dalla presunta vittima, le controdeduzioni dell’ammonendo, le informazioni degli organi investigativi e le dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, la cui maggiore obiettività potrebbe consentire un apprezzamento più compiuto della realtà di fatto, dato che, a volte, non è agevole individuare quale, in realtà, sia la vittima e quale il persecutore, in particolare nel caso in cui tale istituto venga utilizzato come strumento di offesa tra ex coniugi (T.A.R. Venezia, sez. I, 21 marzo 2018, n. 317; T.A.R. Salerno, sez. I, 16 giugno 2011, n. 1093).
Ciò tanto più quando il destinatario della misura, come nel caso di specie, è un militare, viste le gravose conseguenze che ne discendono sia sul piano personale che professionale.
Non va, peraltro taciuto che, come risulta dal documento caratteristico dell’ Appuntato Scelto successivo alla riammissione in servizio , il militare sua stato valutato del tutto positivamente dai suoi superiori sotto il profilo dell’attitudine allo specifico impiego.
Il ricorso va accolto ai fini di un riesame della complessiva posizione del ricorrente, da svolgersi, da parte delle Amministrazioni coinvolte, ciascuna per la parte di rispettiva competenza, in contraddittorio con quest’ultimo e con le modalità innanzi indicate.
Occorre, tuttavia, precisare – conclude il consiglio – con riguardo al decreto prefettizio che fa divieto di detenere armi e munizioni, che poiché esso, come già evidenziato dal Consiglio di Stato, non è dipendente dal provvedimento di ammonimento in sé, quanto dai fatti cui lo stesso si riferisce, il riesame della Prefettura potrà avere ad oggetto l’apprezzamento dei medesimi fatti al diverso ed autonomo fine del possesso delle armi; ove il divieto dovesse essere riconfermato all’esito del riesame, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri dovrà altresì valutare la possibilità che l’interessato prosegua l’impiego in servizi che non richiedano la legittimazione all’uso delle armi.