Bonus per chi resta in servizio nel privato e nel pubblico impiego. Escluso il Comparto Sicurezza e Difesa

BONUS PER CHI RIMANE IN SERVIZIO VALIDO ANCHE PER GLI STATALI, MA NON PER IL PERSONALE DEL COMPARTO DIFESA, SICUREZZA E PUBBLICO SOCCORSO.

14 gennaio 2023 1° Lgt. in pensione Antonio Pistillo

Con l’art. 1, co. 286- 287, della legge n. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) è stato previsto un bonus per il lavoratore dipendente del settore privato e del pubblico impiego che decide di restare al lavoro una volta raggiunti i requisiti di quota 103 (62 anni di età e 41 anni contributi). Quota 103 è preclusa al personale del comparto difesa, sicurezza e pubblico soccorso, in quanto soggetto alla specifica disciplina del D. Lgs. n. 165/97.

In sintesi, per tali lavoratori sarà previsto l’esonero dei contributi a proprio carico pari al 9,19% della retribuzione lorda che il datore di lavoro, anziché versare all’Inps, inserirà in busta. È opportuno sottolineare che tale opzione è possibile solo per chi richiede la pensione con quota 103 e non per quelli che maturano la pensione anticipata, tanto meno per quelli che andranno in pensione con quota 100 e 102 che hanno maturato il diritto negli anni in cui tali quote erano vigenti, ma lo esercitano successivamente per effetto della c.d. cristallizzazione dello stesso.

La legge rinvia a successivi decreti attuativi, per cui non è ancora chiaro:

  • se l’importo del bonus sarà al netto oppure verrà tassato con aliquote ordinarie (si presume che la seconda ipotesi sia quella più probabile);
  • se l’opzione possa essere esercita anche negli anni successivi, visto che quota 103 è prevista in via sperimentale per il solo anno 2023 (si presume che valga solo per quest’anno);
  • se sarà possibile per il lavoratore revocare l’opzione in qualsiasi momento e così ripristinare la normale contribuzione da versare all’Inps (si presume che la revoca possa avvenire in qualsiasi momento col rispristino dei contributi nella loro interezza dal primo mese successivo dalla data della domanda)
  • se il coefficiente di trasformazione sarà quello relativo alla età effettiva in cui andrà effettivamente in pensione il lavoratore (si presume che sarà quella corrispondente all’età del lavoratore alla cessazione dell’attività lavorativa).

Il datore di lavoro continuerà a versare la contribuzione a suo carico nella misura del 23.81% della retribuzione lorda, pertanto, i contributi, anche se in misura minore, continueranno ad essere versati ai fini del trattamento pensionistico che conseguentemente sarà inferiore, mentre ai fini del Tfs e Tfr l’opzione non produce nessun effetto.

Il provvedimento prende spunto dalla legge n. 243/2004 (c.d. bonus Maroni) che ebbe molte adesione di dipendenti privati (i dipendenti pubblici furono esclusi dal provvedimento), infatti, il super-bonus, introdotto dal novembre 2004 e abrogato il 31/12/2007 dal governo Prodi, era di notevole entità, in quanto, oltre ai contributi a carico del lavoratore, in busta entravano anche i contributi a carico del datore di lavoratore e, per giunta, detassati, ma la pensione, ovviamente, era congelata alla data dell’opzione.

Ad esempio, con uno stipendio di 2.000 euro lordi:

  • il maggiore beneficio in busta del super-bonus “Maroni” era di 660 euro nette;
  • il nuovo bonus sarà, nella migliore delle ipotesi, di soli 184 euro se sarà prevista la detassazione e circa 115 euro se, come si presume, i contributi risparmiati andranno ad incrementare la base imponibile del calcolo dell’Irpef.

È evidente che il bonus “Maroni” era molto più allettante, soprattutto se rapportato al netto in busta di allora circa 1.430 nette (2.000 lorde), in sintesi, un aumento dello stipendio del 46% tutti i mesi.

Invece, l’attuale bonus, limitato ai soli contributi a carico del lavoratore, lo è molto meno e porta, di istinto, a valutarne la conveniente a lungo termine rispetto ai riflessi che avrà sul trattamento di pensione. Pertanto, si ritiene che prima di tale opzione, sia necessario decidere quale sarà la data di pensionamento effettiva e simulare il trattamento pensionistico a tale data, oltre che attendere le risposte ai dubbi succitati.

Di seguito gli effetti sul trattamento di quiescenza a seconda di quando si deciderà di andare in pensione:

  • in caso di pensione anticipata (42 anni e 10 mesi + 3 di finestra), solo dopo 2 anni dalla data di opzione, la pensione sarà inferiore di circa 12 euro nette mensili, ma per sempre;
  • in caso di pensione di vecchiaia (67 anni), cioè 5 anni dopo l’opzione, la pensione sarà inferiore di circa 35 euro nette mensili, ma per sempre.

Una scelta non semplice, ma credo che sarà un problema di pochissimi, in quanto le adesioni a quota 103 (una beffa) saranno esigue per i motivi che ho esposto nell’articolo pubblicato sul sito il 13/12/2022.

Infine, è opportuno sottolineare che è sconveniente rimanere in attività e optare per il bonus del 9,19% se l’intenzione è quella di continuare a lavorare dopo il pensionamento, in quanto attualmente, non esiste più alcun limite al cumulo dei redditi con la pensione anticipata e di vecchiaia.

Fino al 2008 era possibile cumulare la pensione e i redditi da lavoro autonomo, mentre non era possibile per il lavoro dipendente, ma dal 2009 è stata cancellata tale regola di incumulabilità.

Pertanto, nel caso in esempio è sufficiente acquisire la pensione anticipata e riprendere un’attività lavorativa da dipendente (con soluzione di continuità) e percepire sia la pensione che lo stipendio che, però, faranno cumulo fiscalmente (Irpef e addizionali).

A tal proposito, bisogna precisare che alla data di presentazione della domanda di pensione non deve sussistere alcun rapporto di lavoro, essendo in ogni caso necessaria la cessazione del rapporto lavorativo per conseguire il diritto al trattamento pensionistico, quindi deve sussistere soluzione di continuità tra il pregresso rapporto di lavoro e l’eventuale successivo nuovo rapporto lavorativo, anche in caso di datore di lavoro diverso dal precedente ( Ministero del Lavoro, interpello n. 19/2009 – circolare Inps n. 89/2009 – Corte di Cassazione, sentenza n. 14417/2019).

Con i seguenti specchi si evidenzia la convenienza di tale scelta, sempre con uno stipendio annuo lordo di 2.000 euro nel 2023 (netto attuale in busta 1.540) e una pensione anticipata stimata in 1.250 nette (pensione anticipata con 43 anni e 1 mesi di un lavoratore nato a gennaio 1961 e inizio attività lavorativa in gennaio del 1982)

Condivisione
Metti un like alla nostra pagina facebook, Clicca QUI. Ci trovi anche su Telegram, Clicca QUI. (Se non hai Telegram, Clicca QUI)

Lascia un commento