https://banchedati.corteconti.it/documentDetail/PIEMONTE/SENTENZA/2/2020

Art. 54. La Corte dei Conti Sez. Centrale d’Appello boccia il rigetto della Corte dei Conti Veneto

La Corte dei Conti regione Veneto continua a bocciare i ricorsi dei militari collocati in quiescenza che chiedono il ricalcolo della pensione ai sensi dell’Art. 54 del DPR del 1973.

In questi ultimi anni i militari collocati in quiescenza che hanno chiesto l’ormai acclarato riconoscimento dell’applicazione favorevole dell’ aliquota sulla quota calcolata col sistema retributivo,  del 44% di cui all’art54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092. , si sono visti rigettare dalla suddetta Corte regionale tutti i ricorsi.

Però chi non si è arreso ed ha continuato la trafila giudiziaria presso la Seconda Sezione Giurisdizionale d’Appello, è riuscito ad ottenere il diritto al ricalcolo. Lo scorso 7 luglio due militari, rispettivamente un sottufficiale della Marina ed un sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri,entrambi in possesso di un’anzianità contributiva utile alla data del 31 dicembre 1995 compresa tra i 15 e i 20 anni (requisito tra l’altro non più necessario “leggi questo articolo“), hanno vinto la loro battaglia legale. Di seguito uno stralcio della sentenza.

Il giudice di primo grado ( Corte dei Conti Regione Veneto) ha respinto il ricorso,  compensando le spese di lite. A tal fine ha ritenuto che, pur nella consapevolezza di un orientamento giurisprudenziale favorevole ad una interpretazione estensiva della sopra richiamata normativa, il ricorso andasse comunque respinto.

Secondo il giudice , trattandosi di una norma (art. 54 cit.) avente carattere speciale, la stessa, in conformità al principio generale di cui all’art. 11 delle Preleggi, non poteva che trovare applicazione per le situazioni future ovvero per quei soggetti che fossero transitati in pensione con una anzianità contributiva massima non inferiore a 15 anni e non superiore a 20, al fine di garantire, in chiave perequativa, un assegno ordinario tale da evitare penalizzazioni per quei militari che fossero stati costretti a lasciare il servizio con una minima anzianità contributiva, ossia compresa tra i 15 e i 20 anni di servizio.

Secondo la Corte D’Appello, il trattamento di quiescenza degli appellanti è stato calcolato con il “sistema misto”, non possedendo gli stessi, alla data del 31 dicembre 1995, un’anzianità contributiva di almeno 18 anni. Per la componente della pensione calcolata con il sistema retributivo, è stata applicata dall’ente previdenziale l’aliquota del 35% di cui all’articolo 44 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in luogo della più favorevole aliquota del 44% prevista dall’articolo 54 del medesimo testo legislativo.

Ritiene il Collegio che tale modalità di computo non sia corretta. Va innanzitutto evidenziato che l’articolo 44 non può trovare applicazione nei confronti del personale militare (cui appartengono gli odierni appellanti), trattandosi di disposizione inserita nel Titolo III (“Trattamento di quiescenza normale”), Capo I (“Personale civile”), del richiamato decreto del Presidente della Repubblica, e, quindi, dettata esclusivamente per il personale civile, sicché non si comprende su quali basi l’ente previdenziale ritenga di estenderne l’ambito applicativo al personale militare cui, invece, fa espresso riferimento il successivo Capo II (“Personale militare”) all’interno del quale è contenuto, per l’appunto, l’articolo 54.

Tale rilievo appare già di per sé idoneo a palesare l’incongruenza del modus operandi dell’INPS; nondimeno, ma solo per ragioni di completezza, appare opportuno svolgere le seguenti ulteriori considerazioni.

Il citato articolo 54 dispone, ai primi due commi, che «La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo.

La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo». Secondo l’appellato INPS, l’aliquota del 44%, prevista da tale norma, si applicherebbe soltanto a coloro che siano cessati dal servizio con un’anzianità contributiva compresa tra i quindici e i venti anni e, quindi, con esclusione per tutti coloro che abbiano superato tale soglia.

Questo assetto risulterebbe aderente al dato letterale della disposizione e coerente con la natura speciale della disposizione stessa, che, attribuendo un beneficio ad una limitata categoria di soggetti (quelli cessati con un’anzianità compresa nell’intervallo tra 15 e 20 anni), non sarebbe suscettibile di applicazione oltre i casi espressamente previsti, cioè in favore di coloro che fossero transitati in quiescenza con anzianità superiori ai 20 anni.

Inoltre, sempre secondo la prospettazione dell’Istituto previdenziale, la disposizione, introdotta allorché vigeva il sistema retributivo puro, avrebbe una funzione perequativa per quei militari che, per motivi indipendenti dalla propria volontà, siano stati costretti ad abbandonare il servizio non avendo raggiunto i vent’anni di servizio.

Tale soluzione interpretativa non può essere condivisa. In primo luogo, deve escludersi che la disciplina di cui all’articolo 54 sia qualificabile come speciale, in quanto contribuisce a definire gli ordinari criteri di calcolo della pensione per la generalità dei militari.

A ciò consegue che è improprio far riferimento a rigidità applicative tipiche della disciplina che fa eccezione a regole generali. In secondo luogo, non è corretto l’impianto argomentativo dell’appellante secondo cui l’aliquota del 44% sarebbe la risultante della somma di due componenti: il 35%, derivante dall’applicazione dell’aliquota del 2,33% fino a 15 anni (prevista dall’articolo 44, comma 1) ed il 9%, derivante dall’applicazione dell’aliquota al 1,8% per i successivi 5 anni, sicché dopo il ventesimo anno l’aliquota continuerebbe ad essere quella del 1,8% sino al conseguimento dell’80%, massimo conseguibile.

In realtà, per l’inequivoco tenore letterale della disposizione, il 44% per cento della base pensionabile spetta al militare che cessi avendo compiuto “almeno 15 anni”.

Le anzianità superiori contenute entro il limite massimo del ventesimo anno di servizio utile sono sostanzialmente neutre ai fini pensionistici. Del resto, volendo seguire il calcolo esemplificativo elaborato dall’INPS, rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se per il personale civile l’aliquota è in effetti del 2,33% annuo per i primi 15 anni in conformità all’articolo 44, comma 1, per il personale militare, invece, detta aliquota è del 2,93% (44%:15), giacché diversamente opinando non avrebbe avuto ragion d’essere la differenziazione operata dal legislatore tra le due categorie con il riconoscimento del vantaggio del 44% anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno per il personale militare, vantaggio che, come già osservato, non è contemplato dall’articolo 44, comma 1.

Pertanto, superata tale soglia, è indubbio che la percentuale spettante sia pari all’1,80% per ogni anno di servizio, ma tale percentuale, come è agevole desumere dalla piana lettura della norma, è da calcolarsi in aggiunta a quella di cui al comma precedente; tant’è che, nel comma 2, è espressamente previsto che «la percentuale di cui sopra è aumentata», in tal modo instaurando una relazione indissolubile tra le due previsioni della medesima disposizione.

Ne consegue che, con un’anzianità di servizio di 21 anni, il militare ottiene una pensione pari al 45,80% della base pensionabile (44% fino a 20 anni + 1,80% per il 21° anno) incrementandosi di 1,8% per ogni anno aggiuntivo, fermo restando, ovviamente, il limite massimo finale pari all’80 per cento della base pensionabile previsto anche per il personale militare dal comma 7 dell’articolo 54 citato, analogamente a quanto stabilito dall’articolo 44, comma 1, per il personale civile.

In definitiva, per i militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un’anzianità di servizio utile inferiore a 18 anni, per i quali la pensione viene liquidata in parte secondo il sistema retributivo ed in parte con il sistema contributivo, per ciò che concerne la prima parte, continua a trovare applicazione la disposizione di cui all’articolo 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973.

Alla luce di quanto fin qui esposto, non potendo attribuirsi rilevanza ai fini del decidere alle considerazioni, eminentemente metagiuridiche, svolte dall’appellato circa le conseguenze economiche derivanti dalla conferma della sentenza impugnata, e considerato che, come peraltro riconosciuto dallo stesso Istituto previdenziale, la giurisprudenza d’appello di questa Corte dei conti può ritenersi ormai consolidata nell’avallare l’interpretazione sin qui esposta (cfr. Sez. I App. sent. n.422 del 2018; idem, n. 30 del 2020; Sez. II App. sent. n. 205, n. 208,n. 308, n. 310 del 2019; idem, sent. 69, n. 70, n. 71, n. 72 del 2020), giacché anche la sentenza n. 175/2019 della Terza Sezione Centrale, ex adverso citata, risulta dalla medesima Sezione d’appello superata con successive pronunce di differente tenore (cfr. sentenze n. 228, n. 266, n. 267 del 2019; idem, sent. n. 85 del 2020), il gravame deve essere conclusivamente accolto, col riconoscimento agli appellanti del diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico nei termini di seguito statuiti e con la condanna dell’appellato soccombente alla rifusione delle spese in conformità a quanto previsto dall’art. 31, comma 1, c.g.c.

La Corte dei conti, Sezione Seconda giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, riconosce ai militari il diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento, con l’applicazione, sulla quota calcolata con il sistema contributivo, dell’aliquota del 44 per cento di cui all’art54 del d.P.R. n. 1092 del 1973, e con la corresponsione degli arretrati, maggiorati di interessi nella misura legale, oltre a rivalutazione monetaria (quest’ultima limitatamente all’importo eventualmente eccedente quello dovuto per interessi), con decorrenza dalla data di scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento.

Condanna l’appellato al pagamento delle spese di difesa in favore degli appellanti che liquida, per entrambi i gradi di giudizio, in complessivi euro 1.800,00.


METTI UN LIKE ALLA NOSTRA PAGINA FB, CLICCA QUI. SIAMO ANCHE SU TELEGRAM, ENTRA NEL NOSTRO CANALE, CLICCA QUI

Loading…






Condivisione
Metti un like alla nostra pagina facebook, Clicca QUI. Ci trovi anche su Telegram, Clicca QUI. (Se non hai Telegram, Clicca QUI)

Lascia un commento