Addio golpe, i militari possono fare politica

Viva la democrazia. Il maresciallo Carmelo Cataldi ha vinto il braccio di ferro con l’Arma: la divisa non è e non può essere un ostacolo alla carriera politica.

Nessuna incompatibilità. Il Tar del Piemonte ha dato ragione al sottufficiale di Fossano, oggi in congedo, che si era iscritto ad una formazione peraltro sconosciuta al grande pubblico, il Partito per gli operatori della sicurezza e della difesa, e ne era diventato segretario regionale. L’Arma, fedele ai vecchi dogmi, l’aveva presa male e lui si era preso una sanzione, cinque giorni di consegna di rigore, che la diceva lunga sul disagio percepibile in una delle istituzioni più amate dagli italiani. La catena gerarchica non perdonava al militare di aver fatto di testa sua e di aver scelto una strada particolare, ritenuta evidentemente non consona agli standard ecumenici dei Carabinieri.

Ma i tempi cambiano, le barriere saltano, l’asticella del politically correct si sposta di continuo e anche dentro le caserme automatismi collaudati non funzionano più. O almeno così la pensa il Tar: certi divieti, che profumano di silenzio e obbedienza, appaiono oggi fuori luogo. O più banalmente sproporzionati.

Negli anni Settanta la coppia Monicelli-Tognazzi metteva alla berlina le tentazioni golpiste che covavano ai piani alti del mondo militare tricolore, fin dai tempi del piano Solo, ideato dal generale Giovanni De Lorenzo. «Vogliamo i colonnelli» è una pellicola meravigliosa, ma il film ci parla, per fortuna, di un’epoca che non c’è più, anche perché è finito il bipolarismo, è crollato il Muro e antiche, feroci appartenenze sopravvivono solo nelle nicchie dell’ideologia.

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