Un colpo di mitra partito per sbaglio. Basta un attimo. E la tua vita cambia per sempre.
Questa è la storia di Riccardo Zaccaria che ha lavorato nella Marina Militare dal 1980 al 1983, arruolandosi a soli 17 anni.
Un collega inesperto spara un colpo e lo colpisce all’inguine. In un attimo di terrore, tra la vita e la morte, Riccardo dovrà scegliere se lottare o abbandonarsi all’agonia.
Non una morte fisica ma la morte nella vita. Costretto a “vivere” per sempre con un handicap. E tra la strada del dolore e la rassegnazione lui sceglie quella della giustizia. Quella che gli è stata negata nonostante l’evidenza dei fatti.
Sceglie di non piegarsi all’ingiustizia, a non farsi sopraffare dal dolore ma di combattere. Per se stesso e per coloro che hanno subito danni sul luogo di lavoro e ai quali è stata chiusa la porta in faccia.
La storia di Riccardo Zaccaria
“Avevo 17 anni quando mi arruolai come volontario nella Marina Militare. Lessi un annuncio su un giornalino locale e decisi di intraprendere questo percorso, perché a quell’età ero giovane e in cerca di esperienze nuove. Questo lavoro mi avrebbe permesso di viaggiare e vedere il mondo.
Dopo essermi sottoposto alle visite mediche per valutare se fossi idoneo al servizio, mi chiesero di presentarmi a Taranto alle scuole dei sottufficiali dellaMarina Militare e così partii.
Mi trovai improvvisamente catapultato in un nuovo mondo. Prima vivevo a Ferrara con la mia famiglia. In questi due anni svolsi vari tipi di mansioni, ero imbarcato sui sommergibili. Ero un furiere. Il mio lavoro mi piaceva, un’avventura continua“
L’incidente avvenne il 13 ottobre del 1982 alle 13:30 mentre svolgeva servizio di vigilanza: “Ero in attesa del cambio guardia e avevo appena terminato il mio turno. Dopo di me doveva subentrare un altro sottufficiale con la sua squadra ma prima si effettuava il controllo delle armi.
Il commilitone, cioè il ragazzo di Leva che era lì con me in quel momento fece un gesto inconsulto nel controllare il fucile. Partì un colpo dal mitra e mi ferì l’inguine.
Mi sparò a 40 centimetri di distanza, a bruciapelo”.
La reazione di Zaccaria e il dolore
“È impossibile poter descrivere quel momento – continua Riccardo – riuscii a malapena a slacciarmi il cinturone e far cadere la pistola a terra. Mi aprii i pantaloni per capire dove mi aveva colpito. Vidi il foro e capii immediatamente quanto era grave. Quel giorno pioveva e, per non svenire, misi la faccia nella pozzanghera. Sono riuscito a carponi a uscire dalla guardiola”.
Riccardo ebbe la forza di togliersi la divisa. Dopodiché non capì più nulla. Il collega che gli aveva sparato scappò via dopo aver fatto cadere il mitra. Arrivarono, poi, i soccorsi e lo trasportarono all’ospedale più vicino, quello civile de “La Spezia”.
“Ero in stato di shock ma anche il militare che mi ha sparato lo era. Dopo mezz’ora ero in ospedale sul tavolo operatorio. La mia vita era appesa a un filo. Effettuarono un trattamento medico per chiudere i vasi sanguigni.
Il proiettile mi aveva trapassato da parte a parte nella zona inguinale. Ovviamente non ero cosciente durante questa procedura medica. Mi hanno dato della morfina per i forti dolori. Quando mi sono svegliato ero in stato di shock. Non sapevo neanche chi fossi. Venni interrogato in quelle condizioni ma era difficile ricordare. Solo dopo una settimana mi tornò la memoria”.
I disagi dopo l’incidente avvenuto in servizio per la Marina Militare
Purtroppo Riccardo si trovò in una situazione molto dolorosa che comportò disagi fisici e psicologici. “Tutt’ora vedo il bossolo che viene espulso dall’otturatore, il fumo dalla canna. È qualcosa che ti lascia il segno per sempre”. Anche di notte, mi racconta, ha incubi che ricordano questo momento terrificante.
Allora, essendo giovane, il fisico lo sosteneva ma non poteva, comunque, più fare la stessa vita di prima: correre, sollevare pesi, andare in bici, muoversi liberamente senza sentire dolore. “La mobilità con il tempo è diventata sempre più faticosa”.
Dopo 6 mesi dall’incidente Riccardo tornò a lavorare per la Marina Militare. Ancora zoppicava.
A circa 40 anni, il fisico ormai non lo supportava più e si ritrovò nel buio totale. Era consapevole che non ne sarebbe mai più uscito perché la sua situazione fisica si aggravava giorno dopo giorno.
Dopo l’incidente avevo spesso di avere la sensazione che le ferite fossero ancora aperte: “sento ancora la corrente, le lesioni che pulsano. È come se una scossa elettrica mi attraversasse il corpo tutti i giorni per 10-15 minuti. Il dolore mi ha accompagnato per tutta la vita e, purtroppo, soffrirò fino alla morte”.
“Dopo cinque anni dall’incidente ho iniziato a chiedere il risarcimento dei danni tramite un legale del posto. Mi risposero che ero già stato liquidato sufficientemente. Invece non ho avuto nulla. Non ho mai percepito un centesimo. Come se non fossi mai stato sparato”.
“Parlando con un ex collega che era ancora in servizio, nel 2014, decisi di chiedere l’aggravamento. Nel 2015 la CMO confermò il mio stato di peggioramento dandomi l’ottava categoria. Successivamente, durante la causa attuale, il giudice chiese la CTU. Questa, ha confermato quanto dichiarato dalla CMO di La Spezia. Il Sig. Zaccaria è affetto, secondo gli esperti, da “Sindrome dolorosa regionale complessa (CPR) cioè una condizione dolorosa, postraumatica, localizzata a un arto, per la quale ha ritenuto ricorrere il nesso di arma da fuoco e l’attuale quadro clinico”. Riconobbero in parte, l’invalidità del Sig. Zaccaria e gli assegnarono una pensione.
“Dal 2015 percepisco una pensione minima (PPO). Questo è quello che ho avuto dalla Marina Militare”.
L’incontro con l’avvocato Ezio Bonanni e il riconoscimento di “Vittima del dovere”
“Grazie ad Antonio Dal Cin mi misi in contatto con l’avvocato Ezio Bonanni nel 2018. Sapevo, che si occupava di coloro che erano state Vittime del dovere e che non avevano avuto il riconoscimento dei benefici“. Tramite l’avvocato Bonanni fece la domanda di riconoscimento di “Vittima del dovere”. “Mandai a Ezio tutti i referti e documenti riguardanti il mio caso.
Così inizia la sua battaglia legale. A fianco dell’avvocato Ezio Bonanni, un uomo che lotta da anni per le vittime del dovere, per fare in modo che la giustizia sia praticata e non raggirata. Perché la legge sia rispettata, senza disuguaglianze sociali. E dimostrare che, per quanto possa essere doloroso, lottare contro le ingiustizie è l’unico modo per cambiare le cose.
“Grazie a lui ho vinto questa battaglia e tra un mese percepirò i benefici legati allo status di Vittima del dovere”. Anche se questa “guerra ” non potrà restituirgli la sua salute, non potrà più condurre una vita normale solo combattendo potrà avere pace. E vincere per impedire ai potenti di dominare coloro che ” non sono in grado di difendersi”.
“Frangar, non flectar”. Mi spezzerò ma non mi piegherò