Negli ultimi anni la diffusione dei gruppi Whats App è aumentata notevolmente, al punto che il fenomeno è diventato virale perfino nelle caserme italiane. Non è un mistero infatti che all’interno delle realtà lavorative esistano più gruppi creati dagli stessi militari , spesso e volentieri fondati proprio dai superiori al fine di poter comunicare più velocemente con i sottoposti.
In verità la materia non è affatto disciplinata dallo Stato maggiore Difesa , né tanto meno dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e perfino il Ministero dell’Interno non ha emesso direttive in merito.
Questo , in parole povere, significa che nessun militare e poliziotto ha l’obbligo di iscriversi a questi gruppi di conversazione. Ciò non toglie che una volta che si è membri e si è abilitati alla scrittura, in determinati ambiti bisogna attenersi alle norme previste dalla disciplina dell’ arma di appartenenza, ovvero , malgrado si tratti di una chat non ufficiale, non ci si deve mai dimenticare che ci si trova in un ambiente ove vigono determinate regole comportamentali, specie se si parla di servizio.
Almeno questo è ciò che sostiene il Consiglio di Stato , al quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva chiesto parere circa il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da un Appuntato Scelto della Guardia di Finanza.
Il militare nel 2017 aveva impugnato il rigetto del ricorso gerarchico del Comandante provinciale avverso la determinazione del Rimprovero inflittagli dal Comandante della Compagnia di -OMISSIS-, per delle relazioni di servizio avvenute nel 2017.
Al militare vennero contestate le violazioni degli articoli 715, 729 e 733 del d.p.r. n. 90/2010, per aver tenuto un “atteggiamento irrispettoso verso i superiori, in quanto si rivolgeva in due distinte occasioni ai superiori gerarchici con toni provocatori e non adeguati al vincolo gerarchico”
Inutile il tentativo di ricorso proposto dai legali del militare. Secondo la difesa, le due conversazioni sarebbero state di natura privata , in quanto avvenute mediante l’utilizzo dell’applicativo denominato WhatsApp , quindi intrattenute con due superiori gerarchici, legati al ricorrente anche da un rapporto di amicizia, con conseguente insussistenza del dovere di rispetto del vincolo gerarchico.
Secondo il parere del Consiglio di Stato il motivo di ricorso è infondato.
Il Collegio intende innanzitutto dare continuità al consolidato principio secondo cui l’individuazione della sanzione applicabile al militare in ragione dell’illecito disciplinare commesso ed accertato costituisce, nell’ambito delle indicazioni fornite dal legislatore, espressione di potere discrezionale dell’amministrazione, censurabile da parte del giudice amministrativo in sede di giudizio di legittimità, solo per difetto di motivazione ovvero per eccesso di potere per illogicità o irragionevolezza; ciò comporta che il sindacato del giudice – onde non debordare in una non consentita invasione della sfera del cd. “merito”, riservata all’amministrazione – deve esplicarsi nella verifica della eventuale presenza di tali figure sintomatiche di eccesso di potere attraverso un esame dell’iter seguito dall’amministrazione, escludendosi ogni sostituzione e/o sovrapposizione di criteri valutativi diversi .
Nel presente caso il ricorrente non contesta i fatti addebitati , ovvero le due conversazioni intrattenute con due superiori gerarchici nel 2017 mediante l’utilizzo dell’applicativo per smartphone denominato WhatsApp , lamentando unicamente l’illegittimità della sanzione disciplinare irrogata (rimprovero), per non aver l’amministrazione considerato la natura privata di tali conversazioni ed il rapporto di asserita amicizia tra gli interlocutori, con conseguente venir meno degli obblighi discendenti dal vincolo gerarchico, affermando che: “Il vincolo gerarchico non può essere richiesto da rispettare fuori servizio ed, inoltre, quando la conversazione amicale è reciproca […]” (pag. 2 del ricorso).
Secondo il Consiglio di Stato, la censura non coglie nel segno. Infatti, a prescindere dalle modalità utilizzate per la comunicazione e la conversazione tra un militare ed il superiore gerarchico, ed anche a prescindere dai rapporti personali esistenti tra gli interlocutori, la gerarchia militare richiede sempre e comunque il rispetto del grado, almeno tutte le volte in cui un militare, in servizio o fuori servizio, rivolgendosi al proprio superiore, intrattiene una conversazione (o uno scambio di messaggi telematici), il cui oggetto concerne questioni lavorative, come appunto è avvenuto nel caso di specie, riguardando entrambe le conversazioni de quibus l’assegnazione dei turni di servizio.
Tale conclusione discende dall’ampia formulazione dei doveri contemplati nelle norme nel d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246”.
L’art. 715, comma 1, lett. b) del predetto d.P.R. n. 90/2010 chiaramente afferma che dal principio di gerarchia derivano per il militare, in linea generale, tutti “i doveri inerenti al rapporto di subordinazione nei confronti dei superiori di grado […]”; il successivo art. 729 del medesimo d.P.R. precisa che il militare, nell’eseguire gli ordini ricevuti “con prontezza, senso di responsabilità ed esattezza”, e nell’osservare “scrupolosamente” le specifiche consegne e le disposizioni di servizio, deve “astenersi da ogni osservazione”, con l’unica eccezione delle osservazioni “eventualmente necessarie per la corretta esecuzione di quanto ordinato”.
Infine il successivo art. 733, comma 2, del predetto d.P.R. n. 90/2010 chiaramente prescrive che: “nei rapporti, orali o scritti, di servizio tra militari di grado diverso deve essere usata la terza persona”, in tal modo potendosi integrare l’illecito disciplinare a prescindere dalle specifiche modalità con cui vengono intrattenuti i suddetti rapporti di servizio tra militari di grado diverso.
Nella presente fattispecie – concludono i giudici – alla luce dei fatti addebitati al ricorrente (il quale non contesta l’esistenza delle due conversazioni in questione), il Collegio ritiene che non sussista né difetto di motivazione, né alcuna figura sintomatica di eccesso di potere per manifesta illogicità o irragionevolezza, avendo la Guardia di Finanza, nell’esercizio della propria ampia discrezionalità in subiecta materia, irrogato congruamente la sanzione disciplinare del rimprovero a fronte della violazione delle norme sopra citate. Di conseguenza il ricorso deve essere respinto.