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Violata consegna aggravata per tre marinai di Mare Nostrum. La Cassazione conferma la condanna

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Condannati dal Tribunale Militare per violata consegna aggravata in concorso a sei mesi di reclusione militare. Concessi i benefici della pena.

Con sentenza del 18.1.2018, il Tribunale Militare di Napoli dichiarava tre marinai responsabili del reato di violata consegna aggravata in concorso (artt. 120 c.p.m.p., 110 c.p., 47 n. 2 c.p.m.p.),  ad esclusione della parte – dalla quale venivano assolti – relativa all’aver obbligato i migranti “man mano che venivano perquisiti, a distogliere lo sguardo dalle successive operazioni e a restare inginocchiati, girati verso il mare”, e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, condannava alla pena di tre mesi di reclusione militare due di loro,  ed un terzo alla pena di sei mesi di reclusione militare, tutti con i benefici di legge.

Il Tribunale dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in ordine al reato di cui all’art. 624 c.p., così riqualificato l’originario reato di peculato militare pluriaggravato in concorso ascritto al militare al quale era stata comminata la pena maggiore che era poi,  con il grado di Sergente, il comandante del team impiegato a bordo di Nave Chimera nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum .

I tre marinai, in servizio presso la Brigata Marina San Marco 2° Reggimento Brindisi, furono tutti accusati  di aver violato le disposizioni contenute nel ruolo C.F.M. (Controllo Flussi Migratori) — “Accoglienza e controllo” e riguardanti il Team Controllo Individuale BMSM e il Team Controllo effetti personali, con le seguenti modalità:

ritiravano, durante le operazioni di controllo delle persone, anche il denaro e gli oggetti preziosi nella disponibilità dei migranti, anziché limitarsi a ritirare solo le armi e il materiale pericoloso ; li inserivano cumulativamente in apposite buste, prive di numerazione e altri segni di riconoscimento (che venivano, a loro volta, collocate all’interno di buste di plastica più grandi, anch’esse non numerate e sottratte alla disponibilità dei migranti, senza redigere, peraltro in triplice copia, il prescritto verbale di ritiro, contenente l’elencazione dettagliata del materiale ritirato e senza sigillare i sacchetti con la spillatrice e distinguerli con numeri progressivi, corrispondenti a quelli assegnati a ciascun migrante.↓

I fatti risalgono all’ottobre del 2013, ma soltanto nel 2020 si è giunti alla sentenza della Corte di Cassazione. I  militari nell’occasione avrebbero dovuto prelevare soltanto gli oggetti ritenutiin qualsiasi modo pericolosi, lasciando ai migranti ogni altro oggetto personale, compresi gli oggetti di pregio, come gioielli e denaro contante.

Alla base delle accuse, era stato scoperto un significativo scambio di SMS tra il Sergente ed uno dei marinai coinvolti, in cui il primo riferiva al secondo di essere stato visto da alcuni bambini mentre tagliava i sacchetti contenenti i beni dei migranti e prelevare soldi e oro e pertanto bisognava far “capire che i bambini erano altrove durante le perquisizioni”

Significativa anche la testimonianza di una marinaia ascoltata come teste, poiché addetta al controllo delle donne:

Il giorno prima i militari della San Marco avevano disposto di togliere il velo alle donne per rimuovere le spille suscettibili di arrecare una lesione alla persona, ma di non togliere gli oggetti non pericolosi, nell’episodio in esame avevano voluto far prelevare tutti gli oggetti ma non avevano fatto togliere i veli, così lasciando, in violazione delle consegne, le donne in possesso delle spille da velo, cioè di oggetti pericolosi.

Nella scelta del diverso comportamento era ravvisabile la strategia furbesca di concedere il rispetto della religione per non urtare gli animi, e così di rendere più arrendevoli i migranti nel privarli degli oggetti, lasciando credere che si trattasse solo di una separazione momentanea.

Da segnalare, infine, nella vicenda, l’uso anomalo degli apparecchi di registrazione, in quanto, nonostante solo un apparecchio su otto fosse non funzionante, nessuna registrazione era stata effettuata. Da ultimo, andava disposta l’esclusione della non menzione per uno dei militari coinvolti, in quanto egli aveva già goduto del beneficio con la sentenza di condanna del Tribunale militare di Napoli emessa nel maggio del 2000 e divenuta irrevocabile nel dicembre del.2001. Due dei tre militari hanno proposto ricorso per Cassazione, di seguito la decisione dei giudici.

Stralcio di sentenza della Corte di Cassazione

Entrambi i ricorsi vanno dichiarati inammissibili. Il reato di violata consegna, previsto dall’art. 120 c.p.m.p., non è concepito in funzione di tutela della finalità del servizio , ma delle puntuali modalità di esecuzione di questo, da osservarsi tassativamente.

E’ stato precisato che, ai fini della configurabilità del reato, tutte le prescrizioni della consegna hanno pari forza cogente, senza che siano dati al militare, tenuto alla loro rigorosa osservanza, spazi di discrezionalità finalizzati a valutare se alcuna di esse possa non influire sulla regolarità e sull’efficienza del servizio. 

E’ del tutto irrilevante, ai fini dell’esclusione del dolo generico richiesto per l’integrazione del detto elemento soggettivo, il convincimento dell’imputato, più o meno fondato, che la sua condotta non conforme alle prescrizioni possa non influire sulla regolarità e sull’efficienza del servizio

Semplicemente assertivo è il rilievo, comune a entrambi i ricorrenti, circa la mancanza di chiarezza delle “consegne” che erano state violate. I Giudici di merito hanno adeguatamente spiegato – apprezzando in modo logico gli elementi probatori acquisiti (documento contenente le consegne, deposizioni testimoniali, intercettazioni e ammissioni dell’imputato in capo al Team) – che le consegne impartite nella “comunicazione di servizio dell’Ufficiale in II^  e, segnatamente, quelle previste dallo step 6, comprendevano il dovere di prelevare gli oggetti in qualsiasi modo pericolosi, lasciando, conseguentemente, ai migranti ogni altro oggetto personale, inclusi quelli di pregio, come gioielli e denaro contante.

Che si trattasse di “consegne” specifiche e cogenti lo avevano riferito, del resto, altri tre militari uditi come testi. 

Occorre evidenziare – sostengono gli ermellini – che il reato di violata consegna non mutua, concettualmente, la sua esistenza dall’altro, nel senso che anche qualora non fosse provato il furto in altra sede, questo non influirebbe in alcuna maniera sulla sussistenza e integrazione della violata consegna.

Manifestamente infondato, infine, è anche il motivo sulla revoca della non menzione della condanna nel certificato del casellario, beneficio, quest’ultimo, che, a mente dell’art. 175 cod. pen., può essere concesso una volta sola e che uno dei ricorrenti aveva già ottenuto con una precedente sentenza di condanna irrevocabile.

In conclusione, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


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