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USIF: Rateizzazione TFS / TFR e altro… tanto altro.

USIF, con un documento a firma del Segretario Generale – Vincenzo Piscozzo e del Presidente – Umberto Condemi, scrive al Presidente del Consiglio, al Ministro dell’Economia e delle Finanze e al Comando Generale, in merito alle tempistiche dell’erogazione del T.F.S. ed altre criticità.

Il tema richiamato nell’oggetto della nostra missiva è delicato al punto che, per essere trattato con la dovuta perizia ed il necessario rispetto (per la sconfinata platea di persone che vi sono direttamente interessate), si potrebbe fare ricorso alle care e vecchie enciclopedie (ci riferiamo, con ciò, a quei tomi in carta rilegata, del cui piacere in tanti non hanno più reminiscenza mentre altri, ci spiace per loro, non hanno la minima conoscenza).

Recentemente il TAR Lazio[1] è intervenuto richiedendo una nuova pronuncia della Corte Costituzionale in merito al carattere divenuto ormai strutturale della dilazione dei tempi di pagamento del TFS, violando palesemente il diritto alla “giusta retribuzione” che include anche l’esazione tempestiva delle somme maturate durante il rapporto di lavoro.

In questa sede non vogliamo fare un excursus sull’iter che nel corso degli anni ha determinato una dilazione insopportabile dei termini di liquidazione (fino a ventisette mesi per veder pienamente riconosciuta la corresponsione del proprio TFS).

Vogliamo semplicemente avviare una riflessione ritenuta ancora più doverosa se raffrontata alla situazione vigente in altri contesti.

Partiamo da un assunto. È INGIUSTO ed IMMOTIVATO prevedere che la liquidazione del TFS di un servitore dello stato (che, ricordiamolo, quasi sempre presta il proprio onorato servizio per non meno di 40 anni!!!) avvenga in più tranches e che trovi il definitivo completamento in oltre due anni di vita. Un servitore dello Stato (nello specifico, poniamo attenzione al nostro status di militari) ha diritto a non dover attendere oltre due anni per la completa corresponsione di “soldi suoi”.

Dopo decenni di servizio è giusto che i progetti di una vita legati al TFS non siano frustrati dalle tempistiche INPS (figli, case, mutui, auto, viaggi o il semplice e bisogno di affrontare con serenità una nuova fase della nostra vita).

Per anni abbiamo ascoltato la litania di frasi quali siete dei fortunati”, avete garanzie e tutele che altri non hanno”, il vostro stipendio è sin troppo alto”, nel settore privato si lavora per davvero” ed altre ancora

È ora di smetterla!

Per anni ci è stato rinfacciato che le dinamiche contrattuali relative ai nostri rinnovi erano decontestualizzate rispetto al mondo reale. Simili considerazioni hanno avallato nel tempo scelte scellerate che hanno determinato, inizialmente, il passaggio da rinnovi contrattuali biennali a triennali (con la previsione di una ridicolissima ed offensiva, per gli importi, indennità di vacanza contrattuale[2]) e, successivamente, l’accettare senza colpo ferire (anche per ciò che concerne l’opinione pubblica abituata a dipingerci tutti, indistintamente, come dei fannulloni) un blocco decennale (di fatto) degli stipendi (ed evitiamo di ripetere, anche in questa sede, quanto siamo stati presi in giro col penultimo rinnovo contrattuale:

quanti di voi ricordano che con il combinato disposto – quanto amiamo questa espressione – rinnovo contrattuale/riordino delle carriere la nostra busta paga è risultata più leggera di quando percepivamo il BONUS di € 80 destinato alle forze dell’ordine?

E c’è anche qualcuno che ancora ringrazia per quel provvedimento che ha determinato tante storture (invece di sanare quanto esisteva) e pochissimi benefici, quasi univocamente in un’unica direzione (soprassediamo, poi, le doverose considerazioni sui provvedimenti semplicisticamente denominati riordino” e  correttivi al riordino”: si avvicinano le ferie e le occasioni per rendere il nostro sangue ancor più amaro non mancano. Anzi …).

Ma torniamo all’amato leit motiv “nel settore privato si lavora per davvero”. Per una volta, almeno per una volta, vorremmo una parificazione non in pejus con il settore privato: qui, le regole per i datori di lavoro sono ferree.

Mediamente (sottolineato) il TFR viene liquidato con l’ultima busta paga o, sulla base di contratti collettivi di settore, la liquidazione non può superare i 45 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro!! 45 giorni!!! Siamo arrivati al paradosso che festeggeremmo per avere la garanzia di ricevere il nostro TFS entro 12 mesi dal congedo … Non bisogna nascondersi dietro un dito (in questo caso facendo pura semantica): conosciamo benissimo la differenza tra TFS e TFR.

In questo caso l’oggetto del contendere non è la qualificazione giuridica di un istituto ma il diritto preminente che determina la nascita di quell’istituto, prescindendo dalle modalità esplicative dello stesso: corrispondere al lavoratore una somma accantonata nel corso degli anni dal datore di lavoro. Punto.

La parificazione (o presunta tale, auspicata o meno) tra pubblico e privato potrebbe avvenire anche attraverso un ampliamento dei diritti di un settore non unicamente (casistica tipica dei governi italiani) paventando ad entrambi i settori la possibilità di estendere all’uno le limitazioni intrinseche dell’altro. Si parla spesso della volontà di attuare politiche e scelte coraggiose.

Ecco per una volta il governo potrebbe farla. Decidere di dare il giusto rispetto a chi spende decenni della propria vita per difendere principi e valori di uno Stato che, a volte, dando per scontato lo spirito di sacrificio che ci denota, dimentica di trattare col dovuto rispetto il figlio prediletto.

Ci piace sottolineare la parola coraggio: già in passato abbiamo sottolineato come altri paesi abbiano avuto davvero coraggio nei confronti dei propri dipendenti pubblici in sede di rinnovo contrattuale o, genericamente, nell’attuazione di nuove politiche salariali. Abbiamo già chiesto in passato di ispirarsi (solo su questo tema, evitiamo banali e futili semplicistiche speculazioni) ad iniziative come quelle adottate, per esempio, dalla Cina[3].

Rincariamo la proposta in questa sede offrendo un altro modello da emulare ed a cui ispirarsi sul tema: la Spagna[4].

Come promemoria, riportiamo le parole del Ministro del Lavoro spagnolo, Yolanda Diaz:

In Spagna abbiamo cambiato paradigma aumentando diritti e salari per tutti sanando una disfunzione. L’altra cosa bella sa qual è? Che funziona!!”
D’altronde, riteniamo che anche i nostri parlamentari, prossimi alla conclusione della legislatura, siano consci che meritiamo la giusta attenzione (nulla di più, nulla di meno) anche alla luce del fatto che presumiamo che anche per tutti loro verrà effettuata una liquidazione del TFR dovuto e non crediamo che ciò accadrà in tempi particolarmente lunghi.

Ecco, abbiamo appena fatto cenno ad un’altra tematica che ci sta particolarmente a cuore (la stabilità politica del nostro paese), perché intimamente connessa a due situazioni di esiziale importanza per gli appartenenti alle forze dell’ordine in genere ed ai militari in particolare: rinnovo contrattuale e legge sui sindacati militari.

In questi mesi, alcuni eventi stanno condizionando in maniera quasi opprimente la vita di ogni italiano: guerra, inflazione record (com’era la storia che dovevamo essere contenti delle somme destinate al rinnovo del contratto perché l’inflazione era bassa?), aumenti ingiustificati di carburanti e costi di utenze, transizione ecologica (che forzata da tempi e modi si sta riversando unicamente sulle spalle dei cittadini), tassi di interesse che stanno aumentando rapidamente (perché, come recitano i manuali, cosi si fermerebbe l’inflazione).

In questa che sembra essere la tempesta perfetta” (per chi non si sa) mentre i partiti (o presunti tali) si riorganizzano per prepararsi alle imminenti elezioni palesando stati di fibrillazione dovuti all’impellente necessità di voler combattere per far fronte alle necessità del paese reale (ora ovviamente, non nei mesi precedenti), mentre i media sono impegnati ad aggiornarci sulla ripresa dei contagi, sulla siccità, sull’evolversi della guerra (ormai più attenti alle ripercussioni economiche che non alle vite dei cittadini ucraini e russi sacrificati sull’altare di principi che forse non siamo in grado di comprendere) e sui divorzi di grandi sportivi che ci hanno dato lustro nel mondo, tanti dimenticano due cose:

il nostro contratto (triennio 2022-2024) è nuovamente scaduto (e le polemiche connesse a quello appena approvato ancora non si placano; ma avremo modo di parlarne) e qualcuno ha dimenticato che la legge sui sindacati, la stupenda Legge 46 del 28 aprile 2022 è entrata in vigore e nulla si muove sul fronte “Decreti di attuazione”(anche qui vi diremo la nostra).

Ma andiamo per ordine. Il nostro contratto è nuovamente scaduto.

È vero, ci viene corrisposta una ricchissima indennità di vacanza contrattuale ma, dato che l’inflazione è quasi al 7 per cento e la famiglia di un finanziere monoreddito faticava già prima ad arrivare alla fine del mese, figurarsi adesso in un momento in cui vi è una congiuntura astrale che per essere ritenuta perfetta difetta unicamente dell’attacco delle cavallette, sarebbe auspicabile che la nostra classe politica si ricordi ADESSO di noi e metta mano SERIAMENTE ad un degno rinnovo contrattuale (a nostro avviso sembra non sia codificato da alcuna parte che per rinnovare un contratto sia necessario ogni volta arrivare alla conclusione di un triennio già scaduto) tanto, e questo siamo in grado di dirlo con cognizione di causa, nel dubbio, tralasciando l’ambito puramente normativo di un contratto (fiumi di parole potrebbero poi essere spesi – o sprecati che dir si voglia – su questo profilo), basterebbe aumentare decentemente i nostri stipendi, subito, con importi netti almeno tripli rispetto quanto appena statuito con l’ultimo rinnovo del contratto.

Anche perché è vero che il militare italiano affronta il proprio lavoro mettendo davanti a tutto i propri doveri, ma fingere attenzione nei nostri confronti unicamente in prossimità delle tornate elettorali quando, stranamente, tutti si ricordano di noi con i soliti slogan “bisogna tutelare gli appartenenti alle forze dell’ordine”, “prevedere l’introduzione di istituti moderni e contemporanei che agevolino il loro lavoro”, “bisogna dotarli di mezzi idonei ad aumentare gli organici e favorire il cambio generazione”, “bisogna adeguare i loro stipendi a quelli europei” (quest’ultima, perdonate l’enfasi, ma è la nostra preferita) potrebbe essere considerata quantomeno una presa in giro. Non credete?

Tra l’altro, proprio come appendice, sarebbe anche carino” fare una valutazione sul fatto che i soggetti deputati ad intervenire ai tavoli di contrattazione (non più concertazione) dovrebbero ora essere i sindacati. O no?

Veniamo al secondo ed ultimo punto; la legge sui sindacati militari.

La legge (in questa sede evitiamo, per l’ennesima volta le critiche ad un testo inaccettabile) prevederebbe (ormai anche a fronte di un testo pubblicato in Gazzetta sentiamo di dover utilizzare il condizionale – per qualsiasi dubbio consigliamo all’attento lettore di consultare l’articolo 16) delle tempistiche precise in relazione all’adozione dei decreti che sanciranno (sancirebbero) la piena operatività dei sindacati militari e il superamento della rappresentanza militare; come ripeteva il saggio: “ed è qui che casca l’asino”.

Alla fine del 2021 avevamo vaticinato ciò che è poi, purtroppo, puntualmente accaduto:

dilungarsi dei tempi di approvazione della legge e conseguente, giustificata, proroga della Rappresentanza militare (il decreto legge mille proroghe”, il 23 dicembre 2021, ha formalmente prorogato la Rappresentanza militare sino al 31.12.2022.

Ecco. Abbiamo paura (ci piacerebbe essere smentiti dai fatti) che si ripeta la medesima situazione.

Ad oggi, non vi è alcun segnale di volontà di approvazione dei decreti di attuazione di cui sopra né, tantomeno, volontà di coinvolgere nel relativo iter (non sia mai) i sindacati esistenti; ci sembrano i presupposti ideali per far si che, unitamente a crisi politica che potrebbe portare ad elezioni anticipate di qualche mese non vi sia il tempo (o la voglia, oseremmo dire) di dare attuazione a ciò che una legge prevede (d’altronde, ci son voluti solo 4 anni per completare – ed in che modo – un iter generato unicamente da una sentenza della Corte Costituzionale perché affrettarsi adesso…) e si crei, l’ennesimo, ulteriore, spiraglio per una proroga della rappresentanza sino al 31.12.2023 (almeno).

Ciò che lascia a dir poco basiti gli ormai disillusi operatori del settore (giusto definirsi così dato che, strumenti giuridici alla mano, vien difficile avere il coraggio di far ricorso all’appellativo sindacalista”) che da quattro anni continuano utilizzare i propri giorni di licenza, il proprio tempo libero e, spesso, a rimetterci di tasca propria, è il paradosso che i tanti membri della rappresentanza che da anni decantavano la necessità dell’avvento del sindacato come un’evoluzione dell’istituto da essi rappresentato abbiano perso la voce e la forza di insistere per chiedere di dare piena attuazione alla legge; al contempo, da parte della classe politica, anche la stessa che persino in tv professava la necessità di prevedere come naturale” il ricorso al giudice del lavoro (sigh!) in quello che allora era definito DL Corda, si è assistito, in sede di approvazione, ad un’esaltazione di un testo che avrebbe dovuto essere innovativo (ma che in realtà, a voler esser buoni, non fa altro che privatizzare la rappresentanza militare) che non ha avuto seguito in termini di lavoro per una rapida approvazione dei decreti di cui sopra.

Rappresentanza militare (nella stragrande maggioranza dei casi) e classe politica dicono che il sindacato sia il futuro ed ora che c’è la legge bisogna schiacciare l’acceleratore in direzione dell’evoluzione dei diritti verso la creazione di un rapporto paritetico con le amministrazioni (anche il TAR Lazio[5], recentemente, ha affermato, tra l’altro le prerogative delle associazioni sindacali militari non sono soggette a potere autoritativo dell’Amministrazione, e che, anzi, i Sindacati sono PARITETICI E ANTAGONISTI rispetto all’Amministrazione.

È proprio nel rapporto di parità si sostanzia la differenza tra gli Sindacati e Rappresentanza Militare); dicono. Appunto. Ma i fatti? Perché non vi è alcuna evoluzione? Se nessuno dei soggetti coinvolti è contrario all’ultimo definitivo step, cosa giustifica l’attuale impasse?

Saremmo grati, ma davvero tanti, se almeno uno dei soggetti coinvolti fosse in grado di darci una risposta plausibile. Ma credo che non riceveremo una risposta.

E allora ci verrà nuovamente in mente un vecchio, triste, adagio: “A pensar male degli altri si fa peccato ma spesso si indovina”.

Roma 17.07.2022

USIF                                                          

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