UNA RIFORMA DELLE PENSIONI CHE MIRA AL RICALCOLO INTERAMENTE COL SISTEMA CONTRIBUTIVO

 1 marzo 2024 1° Lgt. in pensione Antonio Pistillo

In questi giorni sono stati pubblicati vari articoli che hanno rilevato che il Governo sta studiando una riforma delle pensioni che prevede il passaggio al sistema interamente contributivo già dal prossimo anno, quindi verrebbe meno, per coloro che sono nel sistema misto, la quota di pensione calcolata col sistema retributivo che sarebbe sostituita da un’ulteriore quota contributiva anche per l’anzianità maturata dall’assunzione al 31/12/95.

Gli articoli evidenziano l’intenzione del Governo di definire una riforma previdenziale equilibrata e sostenibile, volta ad adottare un sistema di calcolo delle pensioni uguale per tutti, evitando disparità, soprattutto, per le uscite anticipate rispetto al limite di età, dal momento che, secondo le previsioni della Ragioneria Generale dello Stato, nel 2040 la quota pensionistica potrebbe arrivare a pesare sul PIL per il 17%.

Inoltre, sottolineano, a sostegno di tale tesi, che il Governo, con l’ultima legge di bilancio, ha già fatto un primo passo con il taglio della quota retributiva di pensione per gli ex dipendenti statali ex Inpdap che, dal 2024, godranno di un trattamento di quiescenza inferiore se lasceranno il servizio prima del limite di età.

Premesso, che non è possibile conoscere i propositi del Governo in materia di riforma delle pensioni, ritengo precisare che il riferimento al taglio della quota retributiva prevista nella legge di bilancio del 2024, è improprio per più motivi.

In primis, perché non riguarda tutti gli ex dipendenti statali ex Inpdap, ma esclusivamente il personale del pubblico impiego delle ex casse di previdenza CPDEL (dipendenti degli enti locali), CPI (cassa pensioni insegnanti), CPS (cassa pensione sanitari) e CPUG (cassa pensioni ufficiali giudiziari).

Si tratta prevalentemente dei dipendenti degli enti locali, dei lavoratori della sanità pubblica (medici, infermieri eccetera), degli insegnanti delle scuole primarie paritarie, pubbliche e private, degli asili eretti in enti morali e delle scuole dell’infanzia comunali e degli ufficiali giudiziari.

Inoltre, l’intento del governo non è stato quello di ridurre la quota retributiva, ma uniformare le aliquote di rendimento di cui alla legga n. 965/1965 di tale personale a quelle previste dall’art. 44 del DPR n. 1092/73 per restante personale civile del pubblico impiego.

Con la tabella a seguire, un esempio della disparità della quota retributiva di pensione tra il personale interessato dalla nuova norma inserita in legge di bilancio (esempio insegnante scuole elementari) e il restante personale del pubblico impiego, a parità di anzianità e stipendio.

Fatta questa debita premessa, pare che una eventuale riforma che punti sul sistema interamente contributivo non interesserebbe coloro che lasceranno il sevizio per limiti di età, ma esclusivamente le pensioni anticipate/di anzianità.

Personalmente, consiglio di non approfittare dello scivolo a 59 anni di età ovvero il collocamento in ausiliaria al compimento dei 40 anni di effettivo servizio per vari motivi che non è il caso elencare in questo articolo, oggi, in conseguenza di questa ipotetica riforma, potrebbe essere un motivo in più.

Inoltre, contrariamente al comune convincimento, non è detto che il sistema interamente contributivo sia penalizzante, tant’è che le norme prevedono che chi è un sistema diverso possa optare per quello interamente contributivo che, in alcuni casi, può risultare più conveniente e in caso contrario non essere così penalizzante, in particolare, per coloro che hanno pochi anni di servizio al 31/12/95.

Mentre, per il personale comparto Difesa e Sicurezza per cui, tra l’altro, non è prevista tale opzione, il passaggio al calcolo interamente contributivo è, certamente, più penalizzante in conseguenza delle maggiorazioni di servizio (1/5, 1/3) e del beneficio dei 6 scatti e la penalizzazione è maggiore quanta più alta è l’anzianità maturata al 31/12/95.

Si ritiene che puntare sul contributivo non sia il modo più efficacie per le finanze dello Stato, in quanto la platea degli interessati è modesta, anche in considerazione che la propensione, sia nel privato che nel pubblico impiego, di coloro che sono nel sistema misto è quella di prolungare l’attività lavorativa fino al limite di età, in considerazione di trattamenti pensionistici molto inferiori all’ultimo stipendio percepito.

Una forbice, tra l’ultimo stipendio e il trattamento di quiescenza, che aumenterà ancora nei prossimi anni, non solo per effetto della diminuzione della quota retributiva, ma, soprattutto, in conseguenza degli aumenti stipendiali, in particolar modo, in periodo di alta inflazione, come il triennio 2022/2024 che pare comporterà un adeguamento contrattuale del 5,8%.

Infine, è opportuno sottolineare che coloro che hanno maturato ovvero matureranno i requisiti per il diritto a pensione (41 anni…. 36 + 5), da non confondere col diritto al trattamento (42 anni e 3 mesi), prima dell’entrata in vigore dell’eventuale riforma non saranno interessate dalle modifiche, in quanto il diritto è quesito, cioè cristallizzato ed esercitabile, successivamente, in qualsiasi momento senza effetti peggiorativi.

In considerazione di quanto sopra, in ipotesi di riforma con decorrenza dal 2026, di massima il personale arruolato entro il 31/12/1989 con sarebbe interessato dall’eventuale riforma, avendo maturato il diritto nel 2025, mentre quelli arruolati dopo il 31/12/1989 sarebbero penalizzati.

Il personale arruolato nel 1990 sarebbe quello più penalizzato in quanto con un’anzianità al 31/12/1995 di 6 anni e 1 mesi, mentre quelli arruolati successivamente, con il diminuire dell’anzianità a tale data, un po’ meno, come da tabella a seguire, sempre che la cessazione avvenga in maniera anticipata, in quanto la riforma pare escluderebbe chi cessa dal servizio per limiti di età.

Per un arruolato il 1/10/1990 che maturerà il diritto a pensione il 1 ottobre 2026 e quello al trattamento il 1 gennaio 2028, in caso di cessazione anticipata, la differenza di trattamento sarà di circa 250,00/300,00 euro nette mensili.

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