Un carabiniere scelto ha tentato la rivalsa sul superiore gerarchico dopo che quest’ultimo era stato condannato per il reato di “minaccia e ingiuria continuata ad inferiore”. Per il Consiglio di Stato non ci sono gli estremi per riconoscere il danno Biologico e morale. Di seguito uno stralcio della sentenza contenente parte delle motivazioni.
FATTO e DIRITTO
Il signor -OMISSIS-, carabiniere scelto, ha prestato servizio presso la Caserma dell’Arma di -OMISSIS- dal 28 settembre 2000 all’ottobre 2001. Nello stesso periodo egli ha sostenuto di essere stato oggetto di comportamenti aggressivi e ingiuriosi da parte del Comandante della stessa Caserma (l’intimato maresciallo -OMISSIS-) per i quali quest’ultimo è stato poi condannato per il reato di “minaccia e ingiuria continuata ad inferiore” (art. 81 c.p. e 196, commi 1 e 2, c.p.m.p.), nonché al risarcimento del danno dal Tribunale militare di Roma, con sentenza n. 34 del 18 maggio 2006.
A seguito della sentenza del Tribunale militare, per ottenere il disposto risarcimento del danno, il signor -OMISSIS- ha quindi proposto azione davanti al Tribunale civile di Roma, Sezione lavoro, che con sentenza n. 20608 del 17 dicembre 2008 ha declinato la propria giurisdizione, ritenendo la controversia rientrante tra quelle attribuite al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva sul rapporto di impiego dei militari.
Il signor -OMISSIS- ha quindi riassunto la causa dinanzi al Tar per il Lazio, chiedendo che l’Amministrazione della Difesa fosse condannata, in virtù del nesso di immedesimazione organica con il sottufficiale condannato, al pagamento di euro 16.003, a titolo di danno biologico, di euro 8.001, a titolo di danno morale ex art. 2059 c.c. derivante dalla pregiudizialità penale del pubblico dipendente accertata dal Tribunale militare di Roma con la sentenza soprarichiamata, e di euro 8.001,50, a titolo di danno morale conseguente alla lesione di valori costituzionalmente garantiti.
In particolare, nel caso di specie, il giudizio penale si sarebbe concluso con una condanna generica al risarcimento, senza una pronuncia specifica sul quantum.
Il Tar ha quindi rilevato che non fosse provato il danno non patrimoniale subito, escludendo al contempo la sussistenza del nesso causale tra il danno biologico lamentato (aggravamento della patologia -OMISSIS-) e la condotta illecita tenuta dal superiore gerarchico, ed ha di conseguenza respinto la domanda tesa alla definizione del quantum del risarcimento del danno biologico e morale, già accertato nell’an (nei rapporti con l’imputato) in sede di giudizio penale militare, nel quale l’esponente si era costituito parte civile.
Il giudice di primo grado ha ritenuto altresì applicabile l’art. 1227 c.c., rilevando che, “Se il comportamento scorretto del superiore gerarchico fosse stato immediatamente rappresentato ai superiori, questi sarebbero stati messi in grado di esercitare il potere di vigilanza e l’azione repressiva-correttiva ed in tal modo si sarebbe evitato il prodursi del danno lamentato. Invece il ricorrente ha atteso mesi prima di segnalare al Comandante di Compagnia (solo) alcuni degli atteggiamenti prevaricatori del superiore (le “corvée” ingiustificatamente pretese quali il ripulire il garage dagli escrementi dei cani di proprietà dello stesso), senza menzionare le ulteriori richieste non attinenti al servizio (quali la pretesa di andargli a prendere il figlio a scuola o portagli cibarie e bevande all’ora di pranzo, etc.) ed anzi coprendo diversi abusi dallo stesso commessi (uso privato del telefono di ufficio, falso in atti d’ufficio, uso di elettrodomestici privati nell’archivio etc). Ed ha ulteriormente atteso prima di segnalare il comportamento “pilatesco” del Comandante di Compagnia ai livelli gerarchici superiori: solo a seguito dell’escalation dell’ostilità da parte del Maresciallo (evidentemente irritato per il coinvolgimento del superiore della cui complicità egli tanto si vantava) il ricorrente si è deciso ad investire della questione il Comandante del Gruppo, il quale ha finalmente risolto la situazione con un trasferimento del ricorrente. Solo successivamente nel luglio 2004 ha inviato un esposto anonimo da cui è scaturito il processo penale conclusosi con la sentenza in questione.
Ne consegue che, anche a ritenere che nel caso in esame sia configurabile un danno in re ipsa per effetto degli insulti e delle minacce subite dal predetto Maresciallo (cfr., nel senso del danno in re ipsa per il caso di ingiurie, Trib. Trento, Sent., 22-09-2014; Trib. Taranto Sez. II, Sent., 30-09-2014), il risarcimento del danno stesso va comunque escluso in applicazione dell’art. 1227 c.c. in quanto avrebbe potuto essere evitato e se il ricorrente avesse per tempo rappresentato la incresciosa situazione sovradescritta ai superiori richiedendo di conferire per le vie gerarchiche”.
Contro la parte della predetta sentenza che non ha riconosciuto i danni richiesti, il signor -OMISSIS- ha proposto appello, non fondato secondo i giudici del Consiglio di Stato.
Va in primo luogo rilevato che – sottolineano i giudici – dalla documentazione depositata in esito all’istruttoria disposta con la citata ordinanza n. -OMISSIS-(cfr. relazione esplicativa della Legione Carabinieri Lazio, Gruppo -OMISSIS-, del 16 luglio 2019) – si evince che l’appellante fin dal suo arrivo presso la sede di servizio di -OMISSIS- ha palesato difficoltà di inserimento, tanto da presentare istanza di trasferimento per la stazione di -OMISSIS-, non accolta dal Comando di Corpo per esigenze di organico e di servizio.
Una successiva richiesta di trasferimento nel dicembre del 2001, motivata da incompatibilità caratteriale con il proprio comandante di Stazione, veniva respinta per le stesse regioni, mentre nel 2003 il ricorrente non accettava il trasferimento proposto dal Comando presso la Stazione di -OMISSIS-.
Dalla stessa documentazione è inoltre emerso che, sebbene ascoltato dal Comandante della Compagnia di -OMISSIS-, egli non ha poi recepito i consigli di quest’ultimo, tesi a ripristinare un clima di serenità con il Comandante della Stazione e gli altri colleghi, restando di fatto isolato e non intraprendendo specifiche iniziative verso il comportamento vessatorio del superiore.
Quanto alle infermità sofferte, la documentazione depositata in esisto all’istruttoria indica che dal 2000 al 2001 il ricorrente ha sofferto di -OMISSIS-ed ha anche accusato un disturbo -OMISSIS-.
11. Va poi sottolineato che la sentenza del Tribunale militare di Roma all’origine della vicenda, pur condannando l’intimato maresciallo -OMISSIS- al risarcimento del danno in favore del ricorrente, costituitosi parte civile, non ha stabilito l’ammontare dello stesso, in assenza di una istanza provvisionale fornita di prove sull’esatta dimensione dello stesso.
In questo quadro dunque il giudice, che deve apprezzare la sussistenza e la determinazione del danno, non può prescindere dall’esame del contenuto probatorio prospettato, non potendo il solo accertamento dell’an ritenersi sufficienti per disporre il risarcimento richiesto.
Nel primo motivo di appello il ricorrente sostiene che – pur non avendo mai negato la preesistenza della patologia “-OMISSIS-I grado sec. -OMISSIS–” – gli eventi dannosi verificatisi durante la permanenza alla stazione di -OMISSIS- (settembre 2000-ottobre 2001) avrebbero aggravato la stessa patologia.
Tuttavia, il solo accertamento della condotta e la sua qualificazione in termini di illecito non possono ritenersi sufficienti, come detto, alla condanna dell’autore del reato al risarcimento dei danni conseguenti, essendo invece necessario che l’interessato dia prova sia dell’esistenza del danno risarcibile, sia del nesso causale tra questo ed il fatto illecito (il ricorrente quanto all’esistenza del danno biologico ha depositato un referto del 26 giugno 2003 in cui si attesta la patologia “-OMISSIS-”. La prova dell’esistenza del nesso causale con gli eventi oggetto della sentenza del Tribunale militare sarebbe poi costituita dalla relazione del suo consulente medico del 21 maggio 2008).
L’Amministrazione correttamente ha invece sostenuto che il ricorrente era già affetto dai medesimi disturbi prima di assumere servizio presso la sede in questione ed ha quindi contestato l’esistenza del nesso di causalità (peraltro, lo stesso appellante ha presentato istanza di riconoscimento della causa di servizio in data 30 marzo 2000 per “-OMISSIS–”, istanza poi respinta sulla base del parere del Comitato di verifica).
In sostanza, la patologia rappresentata risultava essere preesistente al suo arrivo nella Stazione di -OMISSIS- e quindi non è stata né causata, né aggravata dalla condotta del superiore gerarchico (dall’istruttoria è anche emersa l’esistenza nell’agosto 2001 di uno stato di preoccupazione legato alla gravidanza difficile della moglie – cfr. osservazioni sulla proposta di trasferimento della Compagnia di -OMISSIS- del 13 settembre 2003).
Con il secondo motivo di appello, il ricorrente sostiene che per il Tar sarebbero stato sufficiente richiamare, per dichiarare la sussistenza del danno morale, le risultanze dell’istruttoria dibattimentale e le sommarie informazioni raccolte in sede penale, dai quali è emerso lo stato di vessazione psicologica subito.
La tesi non può essere condivisa. L’efficacia della sentenza di condanna di cui all’art. 651 c.p.p. nel presente giudizio ha rilievo solo con riferimento all’accertamento del fatto reato, ma non su gli altri elementi emersi nel corso del procedimento penale.
In pratica le informazioni emerse in quella sede non possono essere ritenute, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, presunzioni gravi, precise e concordanti ai sensi dell’art. 2729 c.c. in ordine alla sussistenza del danno morale.
Nei reati di danno, inoltre, la decisione di condanna generica al risarcimento emessa dal giudice penale contiene implicitamente l’accertamento del danno evento e del nesso di causalità materiale tra questo e il fatto-reato, ma non anche quello del danno conseguenza, per il quale si rende necessaria un’ulteriore indagine, in sede civile, sul nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (cfr. Cass. civile, Sez. III, n. 8477/2020).
D’altra parte, la lamentata lesione di diritti inviolabili della persona, come l’onore e la reputazione, garantiti dall’art. 2 della Costituzione, che fa sorgere, ex se, in capo all’offeso il diritto al risarcimento del danno morale ai sensi dell’art. 2059 c.c., costituisce pur sempre un’ipotesi che deve essere oggetto di allegazione e prova (cfr. ex multis, Cass. civile, Sez. VI, n. 10596/2020).
Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e per l’effetto va confermata la sentenza impugnata. Sussistono giusti motivi, anche connessi alla vicenda penale, per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
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