"data-block-on-consent="_till_accepted"data-auto-format="rspv" data-full-width>

STABILIZZARE IL PERSONALE MILITARE NON DI RUOLO

"data-block-on-consent="_till_accepted">

STABILIZZARE IL PERSONALE MILITARE NON DI RUOLO DOPO LA STABILIZZAZIONE DEGLI UFFICIALI DEI CARABINIERI E DEI VIGILI DEL FUOCO.UN DOVERE POLITICO E UN DIRITTO ACQUISITO RIMASTI SENZA RISPOSTA.

(Valerio Arditi) Roma, 11 aprile 2024.

All’inizio l’eccezione alla stabilizzazione negata alle Forze Armate venne concessa ai Carabinieri per gli Ufficiali ausiliari grazie all’applicazione del famoso comma 519 che portò il Ministero della Difesa a emettere delle procedure speciali per la stabilizzazione di ufficiali in ferma prefissata dell’Arma .

Il problema della stabilizzazione riguardava la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, del personale del pubblico impiego che è stato esteso agli ufficiali in ferma prefissata dell’Arma dei Carabinieri in quanto forze di polizia al fine di sanare situazioni che duravano da tempo e che hanno disatteso il sistema di reclutamento di personale nelle pubbliche amministrazioni.

Un fatto straordinario per militari che si vedono transitare in ruolo a fronte della loro chiara posizione di incertezza, che caratterizza il personale militare vincolato a ferme di durata limitata .

Fonti normative di riferimento erano la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria del 2007), all’articolo 1, comma 519, prevedeva, per l’anno 2007, la stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni e la legge 24 dicembre 2007, n. 244, (legge finanziaria per il 2008), all’articolo 3, comma 93, prevedeva il collocamento in soprannumero rispetto all’ organico dei ruoli. Inoltre la direttiva n. 7 del 2007 del Ministro per le Riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione contemplava la possibilità per le pubbliche amministrazioni di procedere alla stabilizzazione del personale utilizzato con contratti di natura temporanea, ma con riferimento a fabbisogni permanenti dell’amministrazione, e il decreto del Presidente della Repubblica del 29 dicembre 2007 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 21 febbraio 2008, n. 44, autorizzava la stabilizzazione mediante l’assunzione a tempo indeterminato di quasi 800 unità di personale.

Tutte le istituzioni interessate fecero quindi blocco comune contro la stabilizzazione del personale militare, a questo punto possiamo dire legato a forze armate di fatto di rango minore:

Esercito Marina e Aeronautica restano escluse dalla procedura di stabilizzazione prevista per il pubblico impiego in generale. Ma le eccezioni non finiscono e tocca dopo tanti anni ai valorosi Vigili del Fuoco.

Infatti sono I vigili del fuoco volontari che hanno beneficato nel 2020 dell’intervento della Camera, durante l’iter di approvazione definitiva del Decreto “Cura Italia”, quando è stato votato l’ Ordine del Giorno n. 320 in cui il Governo si impegnava a stabilizzare “tutti i vigili del fuoco discontinui attraverso procedure semplificate e straordinarie.

Si è dato quindi dignità e diritto a dei lavoratori facenti parti di un amministrazione (il Ministero dell’Interno) considerata speciale. Si tratta di un passo in avanti che accoglie le richieste che il sindacato di categoria del Pubblico Impiego ha rivolto sia alle istituzioni che a tutte le forze politiche. risolvendo il dramma dei 10 mila vigili del fuoco precari che arrivano quasi all’età della pensione senza aver un rapporto di impiego stabile in uno dei più importanti comparti della Pubblica Amministrazione.

Inutile rimarcare come prevedibile che anche gli insegnanti precari della scuola con almeno 36 mesi di servizio hanno avuto un concorso straordinario a loro dedicato.

I militari volontari a ferma prefissata e gli Ufficiali delle forze di completamento delle Forze Armate con lo stesso periodo di servizio invece sono rimasti gli unici esclusi da ogni stabilizzazione.

Eppure il Governo per bocca dei suoi esponenti lo ha detto ripetutamente: ”nessuno verrà lasciato indietro” e su questa linea ha stabilizzato i precari della sanità, della pubblica amministrazione in genere, dei vigili del fuoco (dal più anziano al più giovane), ma quando si parla di militari nessuno si muove.

Perché? Forse perché’ qualcuno pensa di modificare l’art. 3 della Costituzione ed escludere dai beneficiari i militari? Tanti i tentativi, tanti le discussioni non fanno altro che appesantire l’attività degli organi parlamentari e di rappresentanza militare, alimentano le speranze di tanti uomini con le stellette, ma alla fine la volontà è quella di non includere i militari .

Eppure sarebbe bastato estendere il decreto n. 75/2017 noto come decreto Madia ai militari per avere realizzato appieno l’uguaglianza tra lavoratori militari della pubblica amministrazione con quelli civili. I militari volontari delle forze di completamento cercano di difendere il loro diritto in tutti gli ambiti senza alcun esito reale che dia sollievo alla categoria.

La politica aveva disatteso di fatto le sentenze della Corte europea del Lussemburgo che con due provvedimenti coordinati, ha bocciato la legislazione italiana sull’abuso dei contratti flessibili nella PA, che coinvolge 133 mila dipendenti della scuola, 30 mila della sanità e 70-80 mila tra Regioni ed Enti locali e anche il dimenticato personale militare e civile della Difesa, in quanto in palese contrasto con la direttiva 1999/70/CE.

Infatti i rapporti a tempo determinato non possono essere un problema che grava unicamente sui lavoratori, in quanto il danno non è risarcibile, e quindi vanno assunti dallo Stato in quanto datore di lavoro che deve rispettare le regole comunitarie. Si tratta di due sentenze che indicano chiaramente allo Stato italiano la necessità impellente di rivedere le norme e la prassi in materia.

Se l’Italia dunque che vuole rispettare le norme comunitarie sui dipendenti pubblici a tempo determinato, sì deve preparare ad assumere intanto i 250mila precari con contratti a termine che operano nella pubblica amministrazione di cui circa 133 mila nella scuola, 30 mila nella sanità e 70 – 80 mila tra Regioni ed Enti locali, mentre mancano all’appello ì militari del comparto Difesa.

Cosi è arrivato l’art. 20 del Dlgs. n. 75/17 (cd. Madìa) che ha introdotto una disciplina, di natura transitoria, finalizzata alla stabilizzazione del personale precario attraverso una valorizzazione delle “professionalità da tempo maturate e poste al servizio delle Pubbliche Amministrazioni”

Le nuove disposizioni produrranno i propri effetti solamente per il triennio 2018-2020 e si aggiungono a quelle già previste dall’art. 4 del Dl. n. 101/13 e dall’art. 35, comma 3-bis, del Dlgs. n. 165/01. Il Ministero della Difesa che già ha dato recenti aperture per stabilizzare 600 VFP4, dovrebbe pertanto ripensare il suo modello sulla base di queste nuove sentenze europee senza però dimenticare i suoi attuali “precari” a cui non ha dato ad oggi una chiara destinazione, considerando che da parecchi anni continua a servirsi di militari della categoria VFP1 e VFP4 che possono raggiungere con rafferme successive da 3 a oltre 7 anni di servizio, nonché di ufficiali appartenenti alle Forze di completamento (provenienti da una formazione militare basata su duri corsi ordinari svolti dopo una selezione a concorso pubblico) sono impiegati in servizio a tempo determinato in forza delle loro professionalità non reperibile nell’ambito dell’organico di F.A., coprendo una serie di esigenze tecnico professionali “da esperti” a vantaggio del funzionamento della Difesa e con un risparmio di risorse finanziarie considerevoli.

Ad oggi sono in servizio un numero limitato di ufficiali che ha superato di gran lunga i tre anni di servizio. Questo personale in particolare svolge servizio in più periodi infra annuali patendo uno stato di disagio enorme connesso a questo status particolare.

ADESSO PERO’ SI DEVE PRENDERE ATTO CHE ESISTE UNA SITUAZIONE CHE RIVELA LA MATURAZIONE DI UN DIRITTO A MANTENERE UN IMPIEGO STABILE CON L’AMMINISTRAZIONE DIFESA

dentro la dichiarata promessa governativa che “nessuno sarà lasciato indietro”.

Da questa condizione il Ministero della Difesa deve prendere atto che è necessario predisporre un piano di stabilizzazioni che in esecuzione delle sentenze europee, provveda a eliminare, in fase di riordino, queste sacche di militari a tempo determinato ammettendole al diritto per la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Tale operazione prima ancora che in applicazione delle sentenze europee, deve essere inquadrata soprattutto come un vantaggio dell’Amministrazione Difesa per il raggiungimento delle proprie finalità, grazie all’utilizzo non solo di personale che ha svolto formazione militare con corsi e brevetti di particolare interesse, ma soprattutto di competenze professionali specialistiche che non essendo reperibili all’interno degli organici, comportano un risparmio di risorse finanziarie in relazione ai costi di mercato a cui si dovrebbe fare ricorso.

L’azione di stabilizzazione dovrebbe operare in via principale nei confronti di quel personale che al di fuori dell’impiego nella F.A. non ha un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con nessun datore di lavoro.

Questo sarà possibile o con una conversione diretta del rapporto di lavoro in transito nel servizio permanente, ovvero tramite concorso a titoli, onde evitare che di fronte ai diritti maturati dagli interessati l’ Amministrazione Difesa possa essere chiamata ad affrontare un contenzioso di grande onere complessivo.

Con il il Decreto 75/2017 la stabilizzazione è diretta.

Le eccezioni alla normativa che escludeva le amministrazioni speciali di cui al decreto n. 165/2001, secondo il quale alcune categorie di personale restano disciplinate dai rispettivi ordinamenti e caratterizzate da un rapporto di impiego non contrattualizzato, a differenza del restante personale del pubblico impiego, sono state violate due volte.

Una ragione giuridica e politica per un ripensamento per completare l’uguaglianza tra cittadini in uniforme. Intanto ufficiali e militari delle Forze Armate Italiane a tempo determinato continuano con la massima dedizione e passione a prestare servizio per il loro Paese nella speranza che qualcuno si ricordi del loro impegno e delle loro speranze considerato che le sentenze europee valgono anche in Italia.

Una soluzione rapida sarà estendere il Decreto 75/2017 ai militari che ne hanno i requisiti previsti dalla norma realizzando un trattamento paritario tra tutti i lavoratori pubblici, o comunque procedere di pari passo come si è fatto per i “colleghi” che hanno già goduto della stabilizzazione a un rapporto di lavoro permanente. Ma il Governo che ha tanto decantato l’eliminazione del precariato militare sarà sensibile a questo tema?

Condivisione
"data-block-on-consent="_till_accepted">
"data-block-on-consent="_till_accepted"data-auto-format="rspv" data-full-width>