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SIULP: Le offese in chat e i reati di ingiuria e Diffamazione

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Quando l’offeso non risponde tempestivamente alle frasi offensive inviate tramite chat condivisa con altre persone, non ricorre la fattispecie dell’ingiuria ma quella della diffamazione, poiché viene meno il presupposto dell’immediatezza.

Il principio è stato enunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 409/2024 che ha dichiarato inammissibile un ricorso confermando la decisione di merito che in base alla considerazione che “la chat su cui si svolse la conversazione incriminata permetteva ai diversi iscritti di partecipare e di intervenire anche non in tempo reale; e che, all’atto della pronuncia delle frasi offensive (..), la persona offesa non era presente”, aveva ritenuto che la condotta fosse riconducibile alla fattispecie di diffamazione “in quanto l’offesa è stata profferita ai danni di persona in quel momento assente e comunicata ad almeno due persone, presenti o distanti”.

La Corte, dopo aver brevemente ripercorso i fatti di causa, rilevando in particolare che “come si trae dalle stampe delle conversazioni su chat delle frasi incriminate la persona offesa non era presente, tant’è che replicò intervenendo sulla chat a distanza di oltre venti minuti”, ha considerato che, il Giudice di legittimità ha ritenuto che la qualificazione compiuta dalla Corte territoriale fosse ineccepibile, dal momento che “integra il delitto di diffamazione, e non anche la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, l’invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una “chat” condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell’immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito”.

Concluso l’esame in punto di fatto e in punto di diritto, la Corte ha dunque rigettato le richieste avanzate dal ricorrente e condannato lo stesso al pagamento delle spese processuali.

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