SINDACATI MILITARI. MININNO: IL MODELLO DA SEGUIRE E’ LA LEGGE DEI SINDACATI DI POLIZIA

Dopo l’approvazione della Camera dei Deputati, il disegno di legge sull’esercizio della libertà sindacale del personale militare è approdato nella Commissione Difesa del Senato della Repubblica.

Il Sen. Mininno, vicepresidente della Commissione, ha rilevato diverse criticità nel testo e ha manifestato la volontà di modificarlo rendendolo più aderente possibile alla legge 1 aprile 1981, n. 121 relativa ai diritti sindacali delle Forze di polizia ad ordinamento civile, in modo da evitare disparità, di ottemperare alla sentenza della Corte Costituzionale e di applicare l’art. 39 della Costituzione, fornendo al personale uno strumento sindacale efficace.
Di seguito il testo dell’intervento:

«L’art. 19 della legge n.183/2010 riconosce la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, separandone la disciplina rispetto al restante pubblico impiego e creando un unico raggruppamento con il preciso intento di regolarne il complesso dei diritti e doveri in maniera congiunta.

Il Comparto è stato però segnato, per lungo tempo, da una profonda differenza tra i Corpi ad ordinamento civile (Polizia di Stato, Polizia penitenziaria e Vigili del fuoco), il cui personale ha avuto il diritto di organizzarsi in sindacati, e le Forze armate e Forze di polizia ad ordinamento militare (Carabinieri e Guardia di finanza), il cui personale, secondo l’indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale, ha potuto tutelare i propri diritti soltanto attraverso gli organi di rappresentanza, introdotti dalla legge n.382/1978.

Con la sentenza della Corte Costituzionale n.120/2018 è finalmente caduto il dogma per il quale i militari non possano costituire associazioni sindacali e il Parlamento è chiamato a regolarne per legge la disciplina.

Ma il sindacato è qualcosa di già definito, che non ha bisogno di essere costruito. Esiste già un modello dal quale partire e cioè quello stabilito quarant’anni fa dalla legge n.121/1981, che ha riconosciuto il pieno diritto degli appartenenti alla polizia di associarsi in sindacato con l’unico limite dell’indipendenza da altre organizzazioni sindacali e ciò per il timore di una politicizzazione delle forze di polizia. Questo è peraltro l’unico limite che ha indicato la stessa Corte Costituzionale, avendo stabilito che “i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale”, ma “non possono aderire ad altre associazioni sindacali”.

La legge per la polizia non solo non è mai stata messa in discussione dal legislatore ma, nel tempo, lo stesso è intervenuto con modifiche più permissive sotto il profilo dei diritti sindacali.
Per esempio la modifica all’art. 83, operata dal decreto-legge n. 101/2013, ha esteso la possibilità di formare, dirigere e rappresentare i sindacati del personale di polizia anche al personale in quiescenza (al riguardo il ddl sui sindacati militari esclude espressamente il personale in congedo), oppure la modifica all’art. 92, operata dal decreto-legge n. 387/1987, ha esteso il diritto di utilizzo gratuito di un locale dell’amministrazione da adibire ad ufficio sindacale anche a livello provinciale (il ddl sui sindacati militari non prevede neppure questo diritto a livello centrale, anzi vieta di stabilire la sede o il domicilio sociale del sindacato presso unità o strutture ministeriali).

Queste sono solo alcune delle differenze che rilevo in questo ddl rispetto alle norme sui sindacati delle forze di polizia ad ordinamento civile e che non voglio esaminare in questo momento, anche alla luce del fatto che ci sarà sicuramente un ciclo di audizioni che ci permetterà di approfondire meglio l’argomento.
Quello che però voglio fare è un ragionamento di metodo che dovrebbe accompagnare la discussione sul ddl dei sindacati militari.

Sono cosciente che lo status di militare comporta delle limitazioni e ovviamente tengo al fatto che le Forze armate e le Forze di polizia ad ordinamento militare possano continuare a svolgere correttamente i loro compiti, cosa che sono sicuro voglia ogni singolo militare, ma su ognuna delle modifiche che stiamo introducendo per i sindacati militari rispetto alle regole dei sindacati della polizia, che mi pare siano solo peggiorative, dobbiamo chiederci se è realmente necessaria al buon funzionamento dell’amministrazione militare o se costituisca soltanto una limitazione nell’esercizio dell’azione sindacale. Perché temo che l’insieme di queste limitazioni possa rendere difficile o addirittura inefficace l’azione sindacale.

Per quale motivo le controversie sindacali sono riservate al giudice amministrativo e non al giudice del lavoro?

Perché il personale in congedo è escluso dal diritto di libera organizzazione sindacale?
Perché gli allievi delle scuole militari e delle accademie, anche se in servizio permanente, non possono iscriversi ai sindacati?

Perché è esclusa la possibilità di concessione gratuita di locali da adibire ad ufficio sindacale?

Perché ai sindacati militari è preclusa la competenza delle materie afferenti ai criteri per l’articolazione dell’orario di lavoro obbligatorio giornaliero e settimanale e dei turni di servizio, alle misure per incentivare l’efficienza del servizio, alle aspettative, i distacchi ed i permessi sindacali, ai criteri di massima per l’aggiornamento professionale?
Perché la rappresentanza di una singola categoria non può superare il 75 per cento degli iscritti?

E’ necessario definire in maniera così stringente i requisiti e le durate delle cariche elettive che dovrebbero invece essere regolati dagli statuti delle associazioni?
Perché la soglia di rappresentatività viene calcolata sulla forza effettiva e non su quella sindacalizzata?

La risposta a queste domande deve dimostrare inconfutabilmente che estendere i diritti delle associazioni sindacali delle Forze di polizia ad ordinamento civile a quelle militari provoca una compromissione della coesione delle unità militari e un pregiudizio al buon funzionamento delle amministrazioni.

Ma se così non è, abbiamo il dovere di non creare disparità nei diritti, di ottemperare alla sentenza della Corte Costituzionale e di applicare l’art. 39 della Costituzione, fornendo al personale uno strumento sindacale efficace.»

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